Luca Siniscalco

 

 

LUCA SINISCALCO:
Sei connesso da dove?..
Note a margine di una suggestiva e precaria connessione. 



“La società moderna si concede il lusso di tollerare
che tutti dicano ciò che vogliono
perché oggi, di fondo,
tutti pensano allo stesso modo”.
(N. G. Dávila)
 
 
Digitare come nuova via di redenzione. Le dita toccano rapide e flemmatiche la superficie del tablet, si rincorrono in una danza esagitata e parossistica verso l'apice della realizzazione. I polpastrelli si agitano sulla tastiera percorrendo i pulsanti con fare sicuro e spigliato, persa ogni incertezza di fronte alla risolutezza del nuovo mezzo espressivo.

 

 

Le distanze si accorciano drasticamente. La vicinanza si dilata in uno spazio frammisto di chip, download, inbox e mails. Lo spazio sfuma e nel medesimo istante il tempo sfugge all'osservatore, nell'incedere scomposto dei secondi, dei minuti e delle ore.
“Sei connesso? Da dove digiti?” mi chiedono ripetutamente, senza requie. Io non so rispondere, perché la connessione non dipende tanto dalla mia volontà, peraltro assai fragile di questi tempi, bensì dall'incidere amorfo ed impersonale della macchina, il titano del nuovo millennio. La tecnologia moderna è assisa sempre più in alto nella reputazione collettiva. La cultura pop e di massa non fa che prodigarsi nell'incensare i vantaggi e la Bellezza – sì, con la b maiuscola, quale categoria ideale e trascendente – degli sviluppi della tecnica d'Occidente.
La terra dove il sole tramonta doveva tramontare a sua volta. Spengler scrisse quasi un secolo fa Il tramonto dell'Occidente. Oggi non si può più mettere in dubbio la natura veridica della riflessione del pensatore tedesco. Eppure molto resiste ancora al crollo nella consapevolezza dell'uomo figlio d'Europa. E la tecnologia supporta paradossalmente la dinamica dello status quo. Ammaliante e sensuale, novella sirena si atteggia a frutto proibito dell'amore del povero Odisseo moderno, bramoso di un mondo patinato e scintillante, linea proteiforme di un orizzonte continuamente spostato nell'ulteriorità. A noi tocca inseguire questo orizzonte senza poterlo mai raggiungere, restando perennemente fermi nel movimento, incapaci di abbandonare questo non-luogo per riapprodare all'Heimat, il focolare presso cui un tempo albergavamo.
La tecnica è un nuovo titano, dicevamo. É il Prometeo del mito riemerso nei frangenti della modernità. Indossa vesti nuove e abita villaggi differenti, ma non ha mutato identità e obiettivi. Opera in tutti noi, come archetipo inesausto. Pertanto sarebbe scorretto ritenere che la sua nascita possa collocarsi in un preciso contesto storico. La tecnologia non nasce con la Prima o Seconda Rivoluzione Industriale, non sorge con la società di massa né può  essere retrodata al Rinascimento o a qualsivoglia periodo storico. Essa è con noi da sempre. Oggi ha scelto di emergere con virulenza e personalità nell'esteriorità di un mondo ove apparenza e manifestatività richiamano all'evidenza le ragioni più intime e segrete. Da sempre, tuttavia, essa si agita in noi come fiamma dell'azione, linfa del pragmatismo, essenza del movimento, combustibile dello slancio, scintilla della conquista.
Così il fatto che sia connesso ed abbia percezione del luogo da cui digito diviene imprescindibile per la mia collocazione nel mondo. La mia personalità, che è conquista ed obiettivo, non dato di fatto da recepire senza creatività, necessita di quel supporto come di uno scudo tramite cui fronteggiare il resto del globo. Siamo tutti scudi nel nuovo millennio, armature e corazze destinate a proteggere un involucro inerme, fragile nell'assenza di convinzioni. Digito, ergo sum. Forse bisognerebbe prima essere per poi digitare, affermarsi come persona per poi pensare, comunicare, sentenziare e strillare, conseguire la potenza, quella interiore ed autentica, per poi su diritti e doveri legittimamente disputare.
Forse il titano archetipale, poi estrinsecatosi nel prodotto Apple e Microsoft, richiede qualcuno in grado di fronteggiarlo. Un altro titano, forse, una figura eroica quale Il Lavoratore intuito da Ernst Jünger. Qualcuno capace di entrare a contatto sinergico con l'elementare, comunque. Questo giacché con l'autore de Il trattato del Ribelle si può affermare che “La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla. Possiamo partecipare alle vibrazioni e alle oscillazioni di quest'ultimo soltanto se capiamo la tecnica. Altrimenti restiamo esclusi dal gioco”. E l'esclusione è il peggiore dei destini. É infingarda e malevola, giacchè annulla il potenziale senza portar null'altro in atto.
“Sei connesso ?” Penso di sì. Sono collegato alle vicende del mondo, e il mondo è spettatore della mia vita. Finalmente possiamo dire di essere persone, nel senso etimologico del latino persona, che è maschera d'attore. La nostra vita si distende su una passerella illuminata di un teatro in cui ciascuno è insieme interprete e spettatore.
Ma io vorrei tornare a illuminare il segreto del mondo senza lampadine, avvalendomi soltanto di due pietre e un bastoncino di legno. Aspirerei a incendiare di fiamma imperitura l'altare di Vesta, senza ricorrere a supporti chimici e a risorse della fisica avanzata. In fondo non vedrei che un'alba tramontare ed un tramonto albeggiare in una rinnovata esperienza del mondo. Eppure è bene domandarsi se la pietra focaia sia davvero a tal punto dissimile dall'accendino, se l'imposizione tecnica sia intrinsecamente antitetica alla cura del dispiegarsi autonomo delle potenze naturali. Questioni troppo complesse che lasciano il posto a nuove domande, poiché, come asseriva il grande Martin Heidegger, “Il domandare è la pietà del pensiero”.  La connessione, tramite il suo portato capillare, diviene rete che avvince, net capace di imbrigliare nelle pieghe di un tessuto di cui è impossibile scorgere l'estensione. Persa la cognizione di ogni polarità si permane in un centro indefinito ed inqualificato, così simile alla mediocrità e anonimità cui le grandi metropoli ci hanno ormai abituato. Nella rete siamo tutti Anonymous, maschere senza volto fornite dell'identità che meglio ci aggrada nell'attimo in cui scegliamo la parte da impersonare. Assistiamo al dispiegarsi di un enorme apparato bellico in cui la nostra libertà e indipendenza è inversamente proporzionale alla penetrazione nei meccanismi del sistema.  Eppure necessitiamo di tecnica, connessione e interattività. Siamo nati sotto la stella dell'homo digitans e tali permarremo. Oltre ogni luddismo, passatismo e conservatorismo anacronistico, dobbiamo indirizzare il destino verso il futuro, poiché la salvezza è sempre riposta nello sviluppo metamorfico, in quella modificazione creativa delle radici tradizionali necessaria ad impedire la morte della pianta originaria. La tecnica è una pro-vocazione per l'uomo moderno, uno stimolo che pungola, appassiona, inquieta, richiama alla responsabilità. Divenuta ormai titanicamente autonoma necessita di un controbilanciamento di cultura, spirito e civiltà. Richieda la “principesca apparizione dell'uomo”, per impiegare un'espressione cara a Ernst Jünger. Si tratta di una sfida ardua e impegnativa, ma irrevocabile, su cui si giocan le sorti dell'uomo, a cui spetta la conversione destinale della tecnica stessa o l'oppressione da parte della medesima.
Così il mio gesto di connessione a un social network non è un semplice movimento corporeo determinato da un legame psicofisico, ma acquista il ruolo simbolico di una sfida futurista alle stelle, di un conflitto fra forze elementari. Quando ogni cosa soggiace a un fluido e liquido movimento si perdono i punti d'appoggio: all'uomo spetta conseguire nuovi posizionamenti al fine di riconquistare le terre perdute.  I computer ci squadrano come laconiche sfingi enigmatiche: hanno nel proprio cuore le fattezze di Giano bifronte. Nella rovina della civiltà riposa la rinascita, così come nelle ceneri della fenice hanno sede i fondamenti della sua resurrezione.  Non è più tempo d'ignorare la tecnica, rifiutandola aprioristicamente, né è opportuno abbracciarla acriticamente, in quanto espressione delle “magnifiche sorti e progressive”.
Rimane il compito della vigilia, che è insieme “veglia” e “sentinella”: è la postura di chi erge uno stile ed una forma di contro al caos, di chi rimane eretto fra le rovine con lo sguardo rivolto al cielo, di colui che crea un mondo altro rispetto al presente, ma che in esso ha fondamenta e basamento. Alla componente formale e meccanicistica della tecnica si richiede un'integrazione con l'epistème, il sapere filosofico e l'intuizione interiore che generano conoscenza. La poesia e la verità che sgorgavano nella natura e nella creazione artistica possono oggi insorgere in nuovi ambiti. Le complesse strumentazioni tecniche di cui disponiamo possono ambire al significato di ponti creativi e trasvalutativi, la cui progettualità potrà tuttavia realizzarsi soltanto a seguito di una metànoia integrale, un rivolgimento interiore diretto a cogliere l'essenza della tecnica stessa. É nell'annullamento dell'alienazione dimorante nella tecnologia che si aprono gli spiragli di un futuro radioso, in cui la técnhe acquisti valore liberatorio. Compito non facile se, come nota Heidegger, “al segreto della strapotenza planetaria dell'essenza impensata della tecnica corrisponde la provvisorietà e l'inapparenza del pensiero che tenta di pensare questo impensato”. D'altra parte si può ritenere che “solo a partire dallo stesso luogo del mondo nel quale è sorto il moderno mondo tecnico, possa prepararsi anche un rovesciamento (…). Per cambiare modo di pensare è necessario l'aiuto della tradizione europea e di una sua riappropriazione. Il pensiero viene modificato solo da quel pensiero che ha la stessa provenienza e la stessa destinazione”. Volenti o nolenti, questo è il compito che ci attende. Comprendere oltre alla crisi dei valori il valore della crisi sarebbe un punto di partenza adeguato alla ricerca della salvazione.  Battiamo tutti le lettere di una medesima tastiera. Sono le faglie di un mondo nuovo, agitato da perturbazioni geologiche e sommovimenti tellurici: nuove terre da esplorare, lande stupefacenti su cui gioire, piangere, esultare.
Così, io sono connesso e digito. E lo continuerò a fare con passione e trasporto, perché questo è il mio mondo, il contesto destinale che con tutte le sue contraddizioni porta inscritta la mia storia in lettere marchiate a sangue su un cielo color purpureo.