• Per dirsi con la scrittura...
  • di
  • Agostino Forte
  • La strada 2
  • Iniziai
  • a scrivere quando ebbi la spinta da ciò di cui mi trovai via via a sentire, a leggere. Un turbinìo. Un turbinìo, all’inizio sconvolgente, dove tutto si trovava schiacciato per essere detto o scritto in qualsiasi licenza verbale. Poi, nel tempo, quel vortice andò mano a mano quietandosi, affievolitisi i venti dell’impeto, stazionando sempre più nelle correnti ascendenti e discendenti dello sguardo, della visione, della riflessione, dell’errore, del ripensamento, del ripiegamento, del distanziarsi, del mettere a fuoco, del distinguo al coacervo, del sì e del no.
  • Non sono approdato a nulla. Nell’esprimermi sulla carta faccio difficoltà a sgarrare dal vocabolario del mio tempo, qui non mi sento per nulla innovatore, e non solo qui. Per quanto riguarda il pensiero, i miei modelli di bellezza non hanno confine, giurisdizione o imprimatur, non mi affibbio scuole ma tento la strada dell’incontro. Vivo, fortemente vivo l’ascendenza della parola, anelo al suo trarre oltre le patrie minime, oltre gli stazzi ideologici per i più appetibili pascoli dei crocevia. Sono un migrante della parola, molto più fortunato di quelli che si sono posti in cammino tra le ali del bisogno e del terrore.
  • Io, così attento a che il lembo della veste non s’insudiciasse nel fango della strada, scopro a volte coprirmi il volto con la tunica polverosa.
  • Non brillando per acume, non eccellendo nella ricerca, negligentemente all’oscuro della scienza della Lingua, bastandomi il comprensibile, ho perciò spesso accantonato, per quanto più volte ne abbia tentato l’approccio, tutte quelle scritture quali ai miei sensi apparivano dileguarsi più che a farmisi dattorno, a sciogliersi più che ad annodarmisi. Non ho mai amato né altrettanto son riuscito a tenere le tracce di tutte quelle scritture che mi disorientavano dalla luce della comprensibilità: giusta sempre, tuttavia, ho ritenuta l’obiezione, mai rigettata, che nel mio andare ci fosse un’inadeguatezza di comprensione, di lettura, una levatura monca. Per cui, facendomi appartato e solitario, volli tenermi distante dal demone della finzione e della tuttologia; avrei dovuto proseguire, mi dicevo, nel segno del semplice apprendere le cose sapendo - e come me ne accorgo a tutt’oggi nel cammino - che il discorso sarebbe scaturito solo nell’immediata sincerità e utilità del momento. E ancora, solamente, avrei avuto la responsabilità del modo in cui profferire l’eventuale colloquio. Volli tenermi discosto dalla finzione ma non bastò l’intenzione.
  • Nemmeno alcuni maestri d’un tempo mi sono più compagni. Chi tra noi sarà stato l’artefice del distacco? Oziosa domanda. Mi resta la memoria sulle loro lezioni - che tanta importanza ebbero nel districarsi della mia vita -, sui nostri dialoghi mentali a distanza. Mi resta un ricordo; per alcuni sembra essersi abbassata una cortina quasi a renderne oramai inaccessibile la vista. Nessun rancore, alcuna purgazione, un semplice fluire delle cose, un impallidire. Oggi, la scrittura che qui mi si presenta è solo un’immagine. Domani un sogno. Questa scrittura cela in sé ogni opzione oppure si fa solitaria e unica, rimembra e svanisce ad altro cospetto, vale solo per una ipotesi evocativa, per una sua dimensione affettiva e di racconto. Questa scrittura è destinata a solversi (un leopardiano naufragare) nell’immemore. Essa, in qualche modo, è un’impressione, un’impronta utile a riprendere un discorso interrotto o in attesa e, come un conio, a misurare il valore di ciò che ha tralasciato e di quello a cui si è vòlta.
  • Questa scrittura consiste quindi nel ricondurre qualche lettore a una spensieratezza, per qualcuno forse il sintomo di un male, cui non difetta affatto la notazione di un itinerario percorso e in corso, cui, inoltre, non è estranea una sua gemmazione intrinseca ovvero il vedervi orme di contributi molteplici o di altre note scritture.
  • Questa scrittura è dunque un tratto, il quale, come visto dal cielo, disegna una storia singolarissima, un memoriale, un silenzio eterno e pure l’ombra del nulla che spia i pensieri serali, il rincorrersi di voci, una levata di braccia, una familiarità assoluta con l’esistenza, una pace in attesa, un’attesa dell’evento.
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  • Sono cresciuto in un luogo
  • un luogo sperduto ai miei sensi
  • poi
  • volli vedermi
  • e cercando uno specchio
  • persi di nuovo i sensi e il cammino.
  • Oggi, deposto dalle onde
  • su questa nuova spiaggia
  • prosegue un’altra vita.
  • Ai tuoi occhi non saprei chi sono,
  • e tu chi sei?