• L’esperienza dell’archetipo femminile
  • nella formazione
  • del giovane Evola, 1920-1930, 
  • di
  • Marco Rossi.

 

evola nudo donna afroditica

 

Siamo in Italia agli inizi convulsi degli anni Venti: il dopoguerra ha lasciato fratture insanabili nella politica e nella società, intanto le arti vivono una ben strana epopea nel nostro paese, il futurismo e il dadaismo si contendono gli scenari che sembrano sottolineare il trapassare di un crinale storico irripetibile, fatale.  La tradizione storica, letteraria europea e italiana sembrano scontrarsi e fondersi con nuove esigenze, trascinate da eventi traumatici, come se una urgente palingenesi spirituale attendesse, inevitabile, come giustificazione morale degli innumerevoli sacrifici che ha imposto la Grande Guerra, appena conclusa. 

  • Julius Evola è un giovanissimo pittore futurista e dadaista,1 anche lui è reduce dalla guerra, ma il suo interesse aristocratico e radicale per i risvolti interiori del conflitto spirituale di quegli anni, lo porta a presentarsi come protagonista di un approfondimento estremo e rivoluzionario della funzione palingenetica dell’arte. In questa ricerca esistenziale ed artistica, filosofia e magia, pittura e poesia, distacco aristocratico e militanza ideologica si fondono in uno straordinario interventismo creativo ed organizzativo, dove Evola diventa uno dei centri ideologici anche della concezione filosofica dell’arte di allora.2  In un recente articolo Michele  Olzi ci ricorda che proprio in quegli anni, precisamente nel 1921, una delle più interessanti composizioni poetiche dell’Evola artista, appunto La parole obscure du paysage intérieur – Poème à quatre voix3  “pubblicata ufficialmente tra il settembre e l’ottobre del 1921” in realtà sembra che sia “stata già introdotta e interpretata durante più d’uno degli incontri organizzati da Evola.”4    Mentre sembra accertato che: “In occasione della serata del 29 ottobre del 1921 Maria de Naglowska declama La parole obscure du paysage intérieur presso le  Grotte dell’Augusteo.”5   Le grotte dell’Augusteo sono effettivamente un luogo magico, una specie di cenacolo artistico ricavato da alcuni ambienti sotterranei che si trovano sotto l’antico Mausoleo di Augusto; ma quello che qui importa sottolineare è proprio   il fatto che la recitazione di questa ‘alchemica’ composizione poetica dell’Evola, poeta Dada, è affidata all’affascinante scrittrice e poetessa, aristocratica esule russa, che in quel 1921 aveva 38 anni, quindici in più dei 23 di Evola.  E’ certo infatti che i rapporti tra Evola e la Naglowska non si siano ovviamente limitati a quella significativa collaborazione, ma abbiano invece intrecciato varie manifestazioni artistiche, editoriali e forse, molto probabilmente, rapporti personali che non siamo certo in grado di monitorare con precisione. Con esattezza però possiamo affermare che nella storia umana, artistica e ideologica di Evola, finiamo per trovare il poeta, il pittore, il filosofo e persino l’esoterista sempre accompagnato da affascinanti figure femminili; smaglianti figure che sembrano imporsi ogni volta come incarnazioni particolari del paradigma dell’eterno femminino, direbbe Platone “dell’archetipo della femminilità”, dell’Alma Venus di lucreziana memoria.  Del resto la Naglowska era certamente una personalità straordinaria e non solo come autrice di poesie d’amore, che in quegli anni sembra abbia dedicato al giovane Evola, ma perché la troviamo probabilmente all’origine dell’interessamento dell’allora pittore dadaista per la magia sessuale: infatti l’affascinante esule russa pubblicò vari testi sull’argomento, scritti che impegnarono l’interesse anche dell’Evola maturo di Metafisica del sesso,6 oltre a consolidare i rapporti con Evola almeno sino agli inizi degli anni Trenta. 7   I due personaggi sommarono, al di là della vocazione per l’arte d’avanguardia, il comune interesse per la magia sessuale all’attrazione per la visione esoterica dell’esistenza; se a tutto ciò aggiungiamo le consuete vicende quotidiane, sovente “umane, troppo umane”, che sempre si intrecciano tra mille contraddizioni, è evidente che si deve parlare di un forte rapporto tra i due. 8
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  • Ma una testimonianza davvero particolare ci può aiutare ad illuminare ulteriormente le tormentate vicissitudini artistiche ed esistenziali di Evola di allora;  ci viene addirittura da Benito Mussolini e si colloca tra i colloqui che il capo del fascismo trionfante, degli ultimi anni Trenta, concede a Yvon De Begnac, giornalista e scrittore che avrebbe dovuto in seguito utilizzarli per scrivere una biografia ufficiale del duce.  Riporta dunque il De Begnac: “Di Freud mi ha parlato per primo Julius Evola. Evola mi fu presentato da Marinetti, prima dell’ottobre del 1922. Marinetti era stato il massimo sostenitore della pittura di Evola, al tempo in cui Sprovieri s’era fatto profeta dei pittori moderni. Evola vedeva in Freud lo scopritore di ogni mistero della psiche. Il mondo di Freud, diceva, doveva divenire il mondo vero del pensiero. Questo discorso, lo confesso, lo trovavo e continuo a trovarlo un poco umoristico. Non esistono rivelatori di coscienza, di subconscio, che non siano, in tutto o in parte, coloro che ne sono, volutamente o non, i protagonisti: meglio, gli artefici.”9    Ora, a parte le idee di Mussolini su Freud e l’ennesima testimonianza della infinita generosità del fondatore del Futurismo, diventa molto interessante sapere che Evola agli inizi degli anni Venti, mentre realizzava le sue opere dadaiste, si applicava anche e con serietà nello studio di uno psicologo che in Italia, allora, era  quasi sconosciuto.  Qui bisogna ricordare che agli inizi degli anni Venti le opere di Freud non erano ancora state tradotte in italiano, inoltre addirittura il fondatore della psicoanalisi doveva ancora scrivere e pubblicare alcune delle sue opere fondamentali;10  e infatti Evola conosce il tedesco e legge Freud nella sua lingua madre, come  del resto farà probabilmente quasi negli stessi anni con i classici dell’idealismo tedesco, con Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, che lo porteranno all’elaborazione della sua Teoria e Fenomenologia dell’Individuo Assoluto, opera che finisce di scrivere nel 1925.  Dunque i temi della “libido”, dell’Eros che si contrappone al Thanatos, della sessualità con tutte le dinamiche inconsce che finiscono per condizionare la vita psichica della cosiddetta “normalità”, della coscienza di veglia, sono in realtà già parte integrante della Weltanschauung dadaista dell’Evola artista, e infatti, se siamo disposti ad osservare attentamente alcune notizie di quegli ambienti avanguardistici di quegli anni, possiamo rinvenire le tracce non dico di un conflitto irrisolto, ma certo di una forte polarità interiore, quasi cristallizzata in una lacerazione che sembra oscillare tra il disprezzo ontologico e l’attrazione fatale nei riguardi della potenza dell’archetipo  femminile.  Esiste un brano di Evola, pubblicato su Cronache d’Attualità nel gennaio del 1921, che s’impone come un manifesto sconcertante di affermazioni contro l’essenza della donna, e dunque anche nei confronti dell’eterno femminino: si intitola Gehst zu frauen?, appunto, “Vai a donne?”, e intende riprendere lo spirito della famosa frase di Nietzsche: “Vai a donne? Ricordati di portare la frusta.”   Tra i padri ispiratori dello scritto evoliano emergono esplicitamente Nietzsche, ma anche Otto Weininger, autore del celebre Sesso e carattere che Evola stesso tradurrà in seguito nella nostra lingua:11 dal breve scritto emerge dunque un disprezzo assoluto della donna e della femminilità, ma si ritiene opportuno segnalare almeno qualche contraddizione, che il testo stesso tenta di leggere come una “apparente” contraddizione.  Intanto: “Tu disprezzi tanto le donne: allora le frequenti e le ami? Oh, ma la miglior maniera per disprezzare una donna è amarla: vale a dire farla essere quel che è: una massa sporca e sudata che attende…”;12 dunque nel brano si ammette che in qualche modo sembra che “non si possa” non frequentare le donne, anche se: “Esse traggono la loro possibilità di essere unicamente da un ricatto enorme e sfacciato perpetuato ogni giorno sulla foia dei bruti e sulla detumenescenza cardiaca dei poveri sentimentali tipo Werther: vale a dire che, come i vermi, vivono solo per la carne marcia.”13  Non si intende qui certo interpretare Evola attraverso i paradigmi della psicoanalisi di Freud, sulla quale del resto pochi anni prima aveva espresso forti critiche anche l’esoterista Rudolf Steiner,14  e dobbiamo certo concedere allo scrittore dadaista tutto il diritto al paradosso ed alla provocazione culturale che la militanza avanguardistica imponeva,  ma certo siamo costretti a registrare un “disprezzo” che sembra andare in parallelo ad una simmetrica “dipendenza”, che non appare nemmeno adeguatamente mascherata.  Un’altra apparente contraddizione sembra poi descriverci l’essenza dell’autentica bellezza femminile: “La sana bellezza, in una donna è proporzionale alla quantità (e qualità) di artificiale ch’essa ha in sé. Una donna naturale sarà sempre banale per chiunque abbia un briciolo di coscienza intellettuale; la più bella donna, nuda, farà sempre ribrezzo a chiunque nelle vene non abbia sangue di scaricatore di porto.”  Segue infine una presa di distanza dal sapore molto aristocratico: “Per me, avere una donna, prendere un tè, passeggiare in una via elegante è assolutamente la stessa cosa.”    Chiude una più che ambigua conclusione: “Fra noi e loro non v’ha nulla di comune: appunto per quel che abbiamo e che in ogni caso non possiamo che avere in comune.”15  Ora, affermare che la vera bellezza della donna sta solo nella “quantità e qualità di ciò che essa ha di artificiale” e svalutare completamente la naturalità, dunque l’essenza formale, la manifestazione diretta dell’archetipo femminile, che rimane la forma corporea, sembra piuttosto la confessione di una estenuazione passionale molto decadente, il riconoscere che solo il sovraccarico ornamentale di una femme fatale da postribolo di alta classe, può smuovere una sensualità che forse ha perso la sana rispondenza delle forme naturali agli archetipi divini, appunto quella forza e quella polarità primordiale che l’Evola maturo invece disegnerà compiutamente in Metafisica del sesso16.  Su questa idea, che solo lo scaricatore di porto può essere attratto da una donna nuda, al naturale, mentre l’aristocrate dovrebbe nutrire un “sano ribrezzo”, in quegli anni, della militanza artistica, il nostro autore tornò più volte, in un intreccio di salate battute paradossali con Anton Giulio Bragaglia, il direttore di Cronache d’Attualità; affermazioni che più tardi, quando Evola si presentò come esponente prima dell’Imperialismo Pagano (1927-28) e poi dell’ideologia tradizionalista (dal 1930 in poi), non mancarono di ritorcersi contro la sua onorabilità.  Nello stesso numero di Cronache d’Attualità che aveva pubblicato l’articolo di Evola “Gehst zu frauen?”, il direttore Anton Giulio Bragaglia, nella sua famigerata rubrica I misteri di cabala, riporta che “J. Evola, dadaista, pittore e filosofo (gli piace tanto d’esser detto filosofo) ci ha formalmente assicurato che il movimento DADA prospera sfruttando le donne. Curioso però che tra i dadaisti  ci siano tanti  pederasti!”17  Va confermato dunque che anche quando Evola era nel pieno della temperie artistica, quando soprattutto dipingeva e scriveva poesie, si segnalava già per la sua tempra filosofica, per la sua vocazione filosofica, la quale dunque non si esauriva certo nei pur pregevoli scritti sull’avanguardia, che abbiamo citato, ma piuttosto quel “gli piace tanto d’esser detto filosofo”, ci ricorda che l’Evola artista già lavora in profondità su Freud, su Nietzsche e pure sui grandi idealisti tedeschi.  Le affermazioni paradossali sul fatto che “DADA prospera sfruttando le donne” non esauriscono però la carica di equivoci ricercati sempre in quel numero della rivista del gennaio 1921; rincara infatti la dose Renato Mucci, che dirige la rubrica Cronache letterarie, dove segnala che: “J. Evola nell’articolo da noi pubblicato in questo numero, ci dichiara le sue sensazioni avanti a una donna nuda; ma conserva in delicato riserbo le impressioni che prova avanti un uomo nudo!”18 Tutto questo sparlare di argomenti intorno alla simulata ambiguità sessuale, dove lo sfruttamento delle donne si accompagna all’ipotetica pederastia di molti dadaisti, non lascia Evola indifferente; al contrario, proprio mentre organizza alcune delle sue più importanti manifestazioni dadaiste, tra le quali una specie di “Jazz-Band-DADA-Ball” con “strumenti a percussione, voci, fischi, rivoltelle.”,19 intende rilanciare la provocazione sessuale autorizzando l’amico Anton Giulio Bragaglia a precisare quanto segue: “L’amico Evola, ci ha, nello scorso numero, dato le sue impressioni sulla nudità femminile. Ora ci prega di comunicare come gli uomini nudi gli destino ribrezzo quasi come le donne nude. La qual cosa, per lui, è tutto dire. Aggiunge che è molto desolato di non poter accontentare gli amici che amerebbero ora vederlo pederasta: ma fa sperare che, col tempo, possa anche diventarlo, per vederli contenti.”20  Naturalmente quel “quasi” avventatamente e provocatoriamente inserito nel marzo del 1921 su un brano dove si intendeva giocare tra pederastia e disprezzo della donna procurerà non pochi guai all’Evola tradizionalista dei primi anni Trenta, almeno sino a quando personaggi importanti del regime fascista, quali Giovanni Preziosi e Roberto Farinacci, gli garantiranno una specie di discreta protezione all’interno di importanti pubblicazioni fasciste a partire dal 1932.  Ancora nel 1930, nell’ambito delle roventi polemiche che scatenò il quindicinale La Torre diretto da Evola sino al giugno di quell’anno, troviamo infatti Gherardo Casini che sulle colonne di Critica Fascista, la famosa rivista di Giuseppe Bottai, parlava riguardo ad Evola prima del “Profeta in mutande”, poi del “Profeta senza mutande”,21 ma il culmine della diffamazione contro la presunta pederastia di Evola la raggiunse senza dubbio l’ex-ardito e futurista Mario Carli, il quale sulle pagine della rivista futurista Oggi e Domani scrisse un violentissimo brano dal titolo: “Aristocrazia o pederastia?”22  Lo scritto del Carli voleva rispondere a delle critiche che Evola aveva espresso nei confronti di alcuni ambienti futuristi e fascisti che sembravano interpretare l’idea aristocratica come una semplice militanza politica, magari contrassegnata anche dalla consueta violenza squadrista che il regime ancora in quei tempi tollerava, inoltre nella polemica si intendeva colpire direttamente il Duca Carlo Rossi di Lauriano, autore che nel quindicinale diretto da Evola aveva pubblicato un articolo sull’argomento, tirando in ballo direttamente e malevolmente il Carli.23  Il Carli comunque sparava decisamente a zero, senza nemmeno vergognarsi di chiedere esplicitamente l’intervento della polizia: “Che cosa vuol difendere, questo signor Duca di Lauriano, ignoto al portalettere, che sulla Torre, il giornale degli invertiti (sul quale non sappiamo come mai la Polizia non abbia gettato un’occhiata), scrive delle scemenze contro di noi… Che cosa può avere di comune con la signorina J. Evola l’aristocrazia d’Italia?” …e si continuava definendo le idee della Torre  come il “ truogolo evoliano.”24  Naturalmente la rovente polemica finì anche in una concreta aggressione fisica ad Evola, in una scazzottata dove sembra però che abbia avuto decisamente lapeggio Mario Carli;25 comunque la polizia alla fine risolse, seppure discretamente, la questione, arrivando a proibire a tutte le stamperie di Roma di editare il quindicinale di Evola, così gli ambienti squadristici che La Torre aveva così apertamente criticato e combattuto riuscirono per il momento a prevalere sulla prima testata  tradizionalista italiana.  Certo, in quell’occasione la “signorina” Evola aveva sistemato concretamente e a dovere l’“eroico” ex-ardito futurista, ma intanto il tradizionalista direttore de La Torre aveva dovuto per il momento “ritirarsi in montagna”, esasperato da tutte quelle oblique difficoltà che la polizia di regime poneva innanzi, probabilmente anche in cerca di quella concentrazione che in quegli anni lo porterà a scrivere le sue opere più importanti di interprete della Tradizione.  In effetti, dal punto di vista della maturazione ideologica di Evola, gli ultimi anni Venti erano stati fondamentali ma tutt’altro che lineari: le vicende biografiche, politiche e intellettuali si erano intersecate e confuse, con tutte le loro con- traddizioni.  Va segnalato così un famoso saggio che Evola pubblicò su una rivista diretta  da Arturo Reghini,26 Ignis, nel gennaio-febbraio del 1925, dove si tornava sul tema della donna, dell’eterno femminino e sulla stessa concezione metafisica della polarità tra archetipo maschile e femminile, mettendo assieme temi idealistici, alchemici e prospettive del  tantra-yoga.  Nel saggio, dall’eloquente titolo: La donna come cosa,27 l’autore parte dalle tematiche filosofiche che in quei mesi stava sistemando organicamente nel suo Teoria e fenomenologia dell’Individuo Assoluto,28 dove la donna sembra risultare “nulla di reale”; e l’articolo afferma esplicitamente che l’essenza della donna “la sua sostanza è fondamentalmente desiderio, passione – non un essere, ma un negarsi e un chiedere, un rimettersi ad altro.”   Evola sottolinea che la donna “è natura, non spirito”, dove si intende riecheggiare le classiche contrapposizioni dialettiche dell’idealismo tedesco degli inizi del XIX secolo:  così, come in Schelling e in Hegel, la natura è sostanzialmente negazione dialettica di un principio che troverà una sua regale attuazione solo nella sintesi ulteriore e definitiva, in un superamento che realizzi le potenzialità “reali” sia della tesi che dell’antitesi.   Ma, anche qui, Evola sostiene una posizione ben più radicale di quella dell’idealismo classico tedesco: infatti in lui l’Io vale come un sovrano assoluto, come “signore del sì e del no”, di conseguenza la donna-natura non è una parte, simmetrica e complementare che rimanda ad una unità da realizzare, bensì è solo un ostacolo “apparente” sulla strada della realizzazione dell’Individuo Assoluto: addirittura la comparsa nel reale della donna è semplicemente il segno tangibile dell’insufficienza della volontà dell’uomo.  Su questa strada, che costeggia le amenità del solipsismo,29 l’autore non esita a contestare lo stesso concetto o archetipo di Androgine; egli infatti ritiene che tale simbolo tradizionale “...porta con sé un equivoco: esso lascia pensare come se alla donna spettasse una realtà propria “mentre l’unica evoluzione che può aspettare la donna è il processo della sua annichilazione.”30   Alla fine, logicamente, anche la sessualità e “...l’atto della generazione animale è un atto impuro, e cioè imperfetto, e la donna non è che il simbolo dell’impotenza dell’Io a darsi da sé un corpo (tale è l’impurità dell’atto della generazione animale).”31  Ora, a partire dalle premesse di un idealismo così radicale, dalle venature esplicitamente solipsistiche, Evola intende interpretare il Tantra-yoga, che in quegli anni costituiva un suo piano di studi e di “sperimentazioni” molto importante, con risultati che si possono facilmente immaginare: basti segnalare che secondo l’autore, attraverso il padroneggiare la corrente Kundalini l’Io giunge alla supre- ma liberazione, di modo che “[...] egli può generarsi da sé, può da sé darsi un corpo come anche mantenerlo o cambiarlo ad arbitrio e, signore delle leggi di vita e di morte, può veracemente dire: Ho messo fine al regno della donna.”32   Su queste posizioni ideologiche, che mischiavano le tematiche dell’idealismo magico più radicale alle istanze delle discipline esoteriche del Tantra-Yoga, e che l’Evola maturo in buona parte rettificherà, non ci si può meravigliare se l’autore in quegli anni arriverà a scontrarsi frontalmente, in una rovente polemica, con lo stesso René Guénon proprio in merito all’interpretazione della tradizione indù e  in particolare sulle dottrine del Vedanta.33  Ma l’aspetto che a noi qui interessa è l’integrazione reale, nella vita concreta, delle posizioni teoriche, culturali, che abbiamo visto essere radicali nella critica alla sfera del femminile, dell’archetipo della donna, con quello che l’autore sperimentava nella sua esistenza di giovane intellettuale inserito in ambienti e circoli fra i più importanti della cultura italiana del tempo. 
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  • In questa prospettiva diventa illuminante considerare uno fra i tanti rapporti amorosi che il giovane Evola allora stabilì, perché proprio in quel 1925 l’autore visse una storia molto controversa e appassionata con la famosa scrittrice Sibilla Aleramo, alias Rina Faccio, poetessa, autrice di romanzi, di saggi e articoli, che allora aveva 49 anni (era nata nel 1876), mentre Evola ne aveva 27.  Anche qui, si potrebbe osservare come il giovane autore dell’idealismo magico sembra essere attratto piuttosto da donne mature, ma è anche vero che una tale affermazione potrebbe far torto alla grande personalità di talune donne, com’era stato senz’altro nel caso anche della Naglowska.  Del resto l’Aleramo era stata un personaggio straordinario della cultura italiana, com’è noto, e dopo un matrimonio in giovanissima età, subìto secondo le tradizioni più arcaiche e retrive delle nostre campagne e dopo un figlio, non ebbe timore di abbandonare tutto e tutti, e di intraprendere una carriera di indipendente intellettuale donna, nell’Italia dei primi decenni del Novecento.  Donna bellissima e libera da ogni moralismo Sibilla Aleramo diventò famosa non solo per i suoi scritti, ma anche per le sue tumultuose ed appassionate storie d’amore che coinvolsero intellettuali straordinari della nuova cultura italiana di allora: basti rammentare i nomi di Giovanni Papini, Vincenzo Cardarelli, Umberto Boccioni, Dino Campana, Salvadore Quasimodo ed altri ancora.   Ma a noi interessa ovviamente Evola e in parte anche Giulio Parise, che ebbe anche lui una storia con la donna dal 1926 al 1929, insomma a seguito di Evola; perché queste due “avventure” della scrittrice ci testimoniano una certa vicinanza della Aleramo alle tematiche della magia e dell’esoterismo.  In un bel saggio del 1995 Giovanni Monastra ha trattato questo argomento, assai spinoso per l’ambiente del tradizionalismo italiano,34 dove vengono evidenziati i contorni di un romanzo che in fondo racconta sinceramente le contraddizioni di due storie d’amore e di passione, appunto quella con Evola e quella di seguito con Parise, che coinvolsero tumultuosamente l’autrice.  Il Monastra evidenzia bene il perduto amore dell’Aleramo per Evola, nel testo nominato Bruno Tellegra, sinceramente sottolinea anche certe caratteristiche dell’autrice, donna libera e assoluta nel suo vivere la passione e l’amore, caratteristiche che ricordano direttamente i paradigmi che in una certa misura si possono ritrovare nell’idea dell’amante assoluta “nella sua essenzialità”, che in Metafisica del Sesso si contrapporrà alla donna come madre.35    Ma nel libro della Aleramo, appunto il romanzo epistolare Amo, dunque sono36, che volutamente intende rifondare ontologicamente la formula cartesiana, spostando il fondamento dal pensiero all’amore (anche in questo, confermando la propria essenza di donna amante assoluta..), c’è molto di più.   Intanto va segnalato che il romanzo viene scritto proprio durante la relazione tra la donna e Giulio Parise, l’esoterista massone, amico del Reghini, che aveva collaborato con Evola e con il gruppo di UR sino alla fine del 1928; addirittura le lettere furono scritte dalla donna mentre il Parise era in una specie di ritiro iniziatico, assieme al Reghini, in una torre sulle rive del mare in Calabria.  La vicenda si contestualizza dunque mentre l’autrice vive, tra mille contraddizioni sentimentali ma anche intellettuali, una breve stagione della sua vita che la vede vicina alla costellazione ideale della magia e dell’esoterismo.  Inoltre, visto il tono spregiudicato dello scritto, non è lecito pensare ad invenzioni ed esagerazioni estemporanee: al contrario l’Aleramo si presenta e si descrive impietosamente con tutte le sue più grandi fragilità, persino nei confronti di altre donne rivali; non si può pensare dunque che ciò che scrive riguardo ad Evola ed a Parise, del resto coperti da falsi nomi, sia inventato. Molto interessante è poi la testimonianza della scrittrice su alcune pratiche di “ritiro magico o iniziatico” che in alcuni numeri di UR verranno descritti in seguito con tanto di  istruzioni:    "Bruno Tellegra, disse pure a tutti che lasciava la città per un ritiro spirituale di qualche settimana – e si chiuse invece in casa. La sua famiglia era assente; una donna gli recava al mattino pane, frutta, latte, poi se ne andava. La casa si impregnò di aromi strani, incenso, benzoino, eucalipto, sui quali alla fine dominò l’etere. Io sola sapevo. Una sera lasciò che lo visitassi: pochi minuti. Salvo l’aria, quasi irrespirabile, e le finestre chiuse nel bel mezzo dell’estate, il piccolo studio che tu conosci non aveva nulla di mutato: lo stesso ordine, la stessa disposizione dei mobili, dei libri, dei quadri. Sullo scrittoio, aperto, un trattato antico di magia. Come segna pagine, un nastrino verde smeraldo col quale io avevo legato la matassa de’ miei capelli il giorno che li avevo recisi e mandati romanticamente a lui – che s’era affrettato a bruciarli. M’apparve più smunto del consueto: con qualcosa nella persona che dava l’idea di logoro, sebbene egli fosse vestito irreprensibilmente come sempre. Portai via nelle nari, per giorni e giorni quell’atroce odor d’etere." 37
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  • Da questa eloquente e realistica descrizione ci appare il giovane Evola durante un periodo, definiamolo “operativo”, del proprio percorso di “costruzione interiore”:38 siamo nel 1925, quando ancora l’autore era esplicitamente antifascista, come del resto antifascista era anche la sua amante, l’Aleramo, la qualefirmò persino il manifesto degli intellettuali antifascisti organizzato da Benedetto Croce il 1° maggio di quell’anno.39   Ma dal brano si può notare un’altra questione non priva di importanza, i vari aromi, soprattutto l’etere, ci confermano l’utilizzo “operativo” di determinate sostanze, sostanzialmente droghe, le cosiddette “acque corrosive” di alcuni brani di UR, che in qualche modo segnano il percorso e l’esistenza di Evola dal periodo della Prima Guerra mondiale, per sua stessa ammissione ne Il Cammino del cinabro,40 almeno sino al 1925; certo si tratta di esperienze che “finirono in anni giovanili”, ma che segnarono evidentemente il tragitto artistico, filosofico e soprattutto anche il passaggio dalla filosofia alla magia operativa.  Il racconto della scrittrice ci illumina però anche su un aspetto più vicino al nostro argomento, appunto quello del rapporto concreto tra la donna reale e l’ideologia evoliana di allora della “donna come cosa”, e lo fa, com’era consueto nella prosa della Aleramo, spregiudicatamente, senza pudori.  Il romanzo infatti riporta un concitato dialogo tra Piera Vasco, amante di Evola (e non solo di Evola) almeno dal 1922 a quel 1925, e la disperata Sibilla, che era andata dalla rivale ad implorarla che le lasciasse vivere la sua passione e il suo amore con il giovane amante: situazione vergognosa e squallida quanto mai per una donna, che si umilia di fronte all’“altra” per conservare l’amante.  Proprio per l’estremo imbarazzo della situazione e la confessione di una tale disarmante fragilità è assai improbabile che la scrittrice si sia inventata il contenuto  del dialogo.  Parla dunque la Vasco all’Aleramo:   "È mio schiavo. – diceva – è mio schiavo. L’ho veduto piangere, quante volte, rotolarsi a terra, lui, il superbo misogino. Non soffrire, non impallidire così, non ne vale la pena! – Il mio viso, certo, più che pallido, si faceva livido. – Siamo stati amanti tre anni, ma io ero già stanca dopo qualche mese, ho avuto altri contemporaneamente, l’ha saputo, non gli importava, purch’io continuassi a prenderlo, anzi gli piaceva trovarmi ancor calda d’un altro. M’ha fatto conoscere lui il tale e il tale e il tale, tutti bei ragazzi. Un giorno però ho detto basta, non dei bei ragazzi, basta di lui, alla fin fine. L’ha creduto dapprima un capriccio, ha accettato; studiava molto in quel tempo; poi, ha avuto crisi di disperazione, l’ho ripreso, una, due volte, per placarlo, ma è già più d’un anno. Sensualmente, ormai, mi ripugna. E sì che m’è piaciuto. Curioso. Oggi non posso imaginar di baciarlo. Ancor l’altra sera, m’ha afferrata ai polsi, su per le scale, voleva gli mostrassi una lettera che avevo trovato giù in cassetta, l’ho graffiato a sangue. Non può accettare ch’io abbia una vita segreta, ora. Ed è convinto che mi riavrà. Anche solo una volta, dice. E’ un puntiglio. Ma intanto posso fare di lui ciò che voglio. Perché ti torci così? Così si torceva lui. Non pensarci più! Una donna come te! Mi fai pena! Diventi brutta! Che t’importa d’uno che non t’ama, d’uno che t’ha mentito, che ti raccontava d’andar a sedute magiche, mentre invece correva da me! Lascialo!" 41      L’Aleramo continua poi la narrazione precisando onestamente che non seguì il consiglio della rivale e che fu invece Bruno Tellegra, appunto Evola, che in seguito la lasciò per una sua inderogabile decisione: ma quanta strada deve essere stata percorsa e quanta fatica deve essere stata necessaria per la costruzione “pratica” dell’autarca, dell’Individuo Assoluto.  La Vasco, come ogni “amante assoluta”, è perfettamente consapevole del suo potere “sessuale” e sembra logicamente godere in modo particolare della disperazione e del “rotolarsi a terra” del giovane amante che, intanto, si atteggiava all’esterno come un distaccato dandy dadaista, oppure come un terribile misogino che disprezza le donne (ma ricordiamo che aveva allora scritto, che il vero disprezzo della donna doveva coincidere con l’utilizzo della donna stessa, non con il suo rifiuto…), arrivando a teorizzare in filosofia addirittura la loro nullità ontologica.  Il vivido quadro che ci riporta la scrittrice è del resto consono con l’ambiente familiare e diciamo ‘di classe’ del giovane Evola: siamo nel contesto dell’aristocrazia e dell’alta borghesia italiana del tempo, e infatti anche dai suoi scritti spesso si evidenziano segnalate le località di villeggiatura più alla moda dell’epoca e non solo di allora: in montagna a Courmayeur e a Cortina d’Ampezzo, al mare nell’isola di Capri.  Inoltre il contesto sociale spiega adeguatamente la possibilità economica di poter impiegare tempo e denari per finalità culturali, artistiche e certo anche politiche, dove il ricorso a droghe, vacanze più e meno ‘pittoresche’, contorni e maneggi vari di plurali amanti, con annessi i tradizionali intrighi sentimentali e psichici che han dato così tanti ripetitivi argomenti alla letteratura del Novecento, disegnano l’humus dal quale il giovane Evola ha dovuto, progressivamente, prendere le distanze ‘pratiche’ ed  ideologiche.   Si deve ripetere che Amo, dunque sono fu scritto e pubblicato dall’Aleramo  nel periodo della sua vita nel quale era più vicina alle idee della magia e dell’esoterismo, e non solo per i suoi amori, appunto con Evola e con Parise; questo momento sembra terminare dopo il 1930.  Se il romanzo fu edito nel 1927, esiste anche una interessante intervista alla scrittrice di certo Famulus, uscita nel novembre del 1928, nella quale l’Aleramo racconta di essere stata a Parigi, dove aveva incontrato tra gli altri Valery ed i surrealisti, in particolare Breton e Aragon, poi a Gardone da D’Annunzio, infine Famulus le chiede di alcune critiche che erano state fatte ad Amo, dunque sono, e lei risponde: “Io tengo, nell’arte come nella vita, alla mia femminilità: non cerco di scimmiottare gli uomini… Il mio cosiddetto esibizionismo, credete, non deriva se non dalla mia appassionata volontà di esprimere l’anima della donna.”42  Risposta che sicuramente non sarebbe dispiaciuta al tradizionalista Evola, ma la scrittrice precisa ancora meglio la propria ottica artistica ed umana: “Mi si può obiettare che nel titolo dell’ultimo mio romanzo mi contraddico perché l’amore  è la negazione della libertà. V’ingannate. Io affermo che la donna soltanto quando ama veramente può raggiungere una perfetta coscienza del proprio essere.” Così Famulus replica: “Se lo dite voi, Sibilla…” 43   E’ singolare, ma le affermazioni della scrittrice “proto-femminista” sembrano riflettere puntualmente il ruolo della donna tradizionale, che nell’amore trova la sua più piena realizzazione, inoltre incarnano in una certa misura il paradigma della donna “amante assoluta”, la donna afroditica di Metafisica del sesso, che appunto “raggiunge una perfetta coscienza del proprio essere “soltanto quando “ama veramente”.   La frizzante intervista si conclude con un’insolita dichiarazione della donna: “Sapete che mi sono data alla magia, nella quale credo fermamente?”, mentre l’intervistatore conclude ambiguamente: “Anche questa, Sibilla, è una vittoria dell’amore. O una sconfitta”. Quanto la scrittrice, per influsso di Evola o del Parise, si sia data veramente alle pratiche magiche non è dato certo di saperlo, ma l’influsso di quell’ambiente si fece sentire profondamente: del resto il 1928 è l’anno di UR e dell’Imperialismo Pagano di Evola, una stagione che portò conflitti durissimi all’interno dell’ambiente magico ed esoterico italiano, ma che segna anche uno degli apici intellettuali e forse “operativi” della storia dell’esoterismo occidentale. 44  Ma il nostro percorso intende chiudersi con uno straordinario brano che Evola pubblica sulla sua rivista, stavolta compiutamente tradizionalista, La Torre,  nel maggio del 1930.  A nostro avviso con questo quindicinale, che fu chiuso dal regime per l’opposizione di gran parte della cultura fascista, si conclude la lunga traversata umana  e spirituale di Evola che, dalle secche nichiliste del dadaismo e dell’idealismo terminale e solipsistico dell’Individuo assoluto, lo portò ad abbracciare consapevolmente la Weltanschauung tradizionale di René Guénon. Ciò non significa naturalmente che la visione di Evola coincise da allora con quella di Guénon (bisogna infatti ricordare le differenze che continuarono a dividere i due intellettuali in merito alla politica, al cristianesimo o alle possibilità dell’iniziazione), ma è palese l’identico impianto teorico e dottrinale del concetto di Tradizione e di Tradizione  esoterica che emerge dalle opere dei due autori  da quel 1930.  
    • ***
  • Dunque sul n. 8 del 15 maggio 1930 de La Torre esce un lungo articolo che commenta positivamente un libro di Claude Anet, pubblicato in  Francia  nel 1927: si tratta del romanzo La rive d’Asie,45 dove l’autore difendeva la scelta  di una donna occidentale che, per amore del suo uomo, si sposta appunto in Turchia ed entra in un harem e lì scopre la serenità e la profonda calma “della spiritualità asiatica”.  Ora Claude Anet in realtà era il nome de plume di uno stravagante scrittore svizzero-francese che si chiamava Jean Schopfer (1868-1931); famoso prima per essere stato un pioniere e campione del tennis, aveva infatti vinto i campionati internazionali di Francia nel 1892, poi per essere diventato un brillante autore di libri di viaggio, di romanzi e persino di testi teatrali.  Ma il brano de La Torre prende solo spunto da questa storia per affermare con decisione di argomenti psicologici e spirituali (oggi parleremmo di temi antropologici) della superiorità assoluta della realizzazione spirituale della donna tradizionale musulmana, capace di abbandonare ogni gelosia ed ogni egoismo per donarsi, in modo assolutamente disinteressato, al suo amato, dentro le sbarre di  un harem.  L’autrice di questo scritto, che avrebbe sicuramente incontrato l’encomio del Guénon (che proprio in quell’anno abbandonava la Francia per stabilirsi a Il Cairo e sposare nel 1934 la figlia dello Sceicco Mohammed Ibrahim) si chiamava Marcella d’Arle ed era un personaggio non meno straordinario.  Marcella (1906-2002) era figlia di uno dei personaggi più importanti del socialismo italiano, Giovanni Lerda (1853-1927) e dell’ultima discendente di un’antica famiglia prussiana Oda Oldberg: nata in Italia nel 1906, la giovane e bellissima Marcella inizia “La sua carriera di avventuriera a ventuno anni, gratis in prima classe verso l’Egitto. Marcella aveva stretto un accordo con la società di navigazione, accettando di farsi intervistare a ogni porto: non che fosse famosa, ma era bella, bionda, e portava dei bellissimi sandali tedeschi, che nessuna donna avrebbe osato indossare nel 1927.”46  In seguito Marcella lascerà l’Italia per trasferirsi in Austria, dove sposerà l’avvocato Carlo Bochskandl e inizierà una brillante carriera di scrittrice, si troverà, come Evola, sotto i bombardamenti russi nella Vienna dei primi mesi del 1945 (chissà che i due non si siano rivisti, prima della catastrofe), infine ritornerà nel nostro paese, in una casa sulla costa amalfitana, negli anni Ottanta.  Molti dei suoi libri sono stati stampati in Italia da Garzanti, Le Monnier ed altre case editrici; si tratta di libri che indagano profondamente l’identità e la spiritualità femminile a partire dal primo romanzo El Harem47 del 1939 e da Eva madre del mondo.48  Marcella in realtà aveva fatto l’esperienza dell’harem sia in Arabia Saudita che presso alcune popolazioni beduine del deserto, ma a un tempo sarà anche donna libera e spregiudicata, capace di intrattenere rapporti persino con l’ex casa regnante austriaca; insomma una personalità che deve aver intercettato l’interesse di Evola, il quale le affida la compilazione di questa aperta Difesa della donna islamica.49   Per la D’Arle la scelta dell’harem risponde ad un significato sacro, ad una offerta di sé che libera da ogni vincolo umano, una specie di superamento nel sacrificio che è paragonabile a quello delle monache nei conventi cristiani.  Una tale opzione è contrapposta fieramente alla falsa libertà della donna occidentale, inquieta, ‘mascolinizzata’, che tende a perdere il mistero della propria natura profonda nella “standardizzazione asessuata della vita moderna”; mentre  al contrario “…nell’Islam il riferimento si sposta, e porta la donna, secondo le possibilità della sua natura, sullo stesso piano a cui giunge l’asceta, così come la regola dell’harem imita quella dei conventi. L’offerta integrale dell’antica donna turca esprime la più alta possibilità spirituale della donna. L’amore le diviene l’ara in cui essa arde e libera sé stessa.”50  Come non comprendere l’accordo intellettuale e spirituale tra il giovane tradizionalista trentaduenne e la giovanissima e bionda ventiquattrenne Marcella che biasimava con furia: “I sessi si livellano, le relazioni, immiserite, quando non hanno per mira l’esasperazione artificiale, più che da amanti, sono da compagni quasi casti, associati negli stessi abbrutimenti della vita di lavoro e d’ufficio, allenati agli stessi sport, ma assolutamente privi di ogni caratteristica individuale e della grandezza travolgente di quei sentimenti che fanno di tutta una vita un solo sacrificio, che distruggono un’anima e la trasportano al di là di sé stessa.”51  Nelle pagine appassionate della D’Arle c’è già la sostanza archetipica di Metafisica del sesso, la polarità naturale, misterica e sacra dei sessi, l’arcano generarsi della vita e il superarsi iniziatico di essa ancora una volta dalla magia dei sessi: insomma, ancora una volta il giovane Evola incontra una donna speciale nel suo percorso. 
    • ***
    La nostra indagine si conclude però con una riflessione sul vecchio Evola: siamo durante gli anni Sessanta, il tradizionalista è oramai recluso nella sua casa romana, tra i suoi libri e i suoi quadri, reso parzialmente infermo dal bombardamento di Vienna del gennaio 1945,52 le sue opere oramai sono ampiamente ripubblicate da vari editori, sino alle ultime versioni delle Mediterranee. Anche la sua antica pittura dadaista è stata allora riscoperta e rivalutata, almeno dal 1963, le sue opere sono state vendute e lui, per diletto o per ispirazione, ridipinge alcune opere che ha venduto, ma dipinge anche alcune nuove tele, almeno quattro.  Ebbene, negli ultimi due dipinti Evola abbandona l’astratto e l’informale delle sue antiche tele dada e ritorna potentemente al figurativo: in una atmosfera arcana, piena dei suoi consueti simboli, si stagliano così sovrane due figure femminili.  La prima tela (cm. 65 per 43) ha nome: Nudo di donna afroditica, mentre la seconda (cm. 73 per 53) addirittura si intitola La genitrice dell’universo. 53   In merito a queste opere commenta giustamente la Valento: “E’ la donna, quale principio femminile divinificato, la depositaria del mistero del divenire e come tale è anche forza dissolvente, che uccide. Ma è sempre per suo mezzo che si può spezzare la catena del mutamento e conquistare ‘l’attributo della divinità   e dell’immortalità’.” 54     Il vecchio pagano e tradizionalista, l’intellettuale che ha percorso occulti itinerari esoterici sente ancora il bisogno di rappresentare l’archetipo arcano della genitrice cosmica, della madre, amante, compagna, insomma di ciò che attrae  alla vita e sollecita al suo superamento. E chissà quante volte si saranno confuse le fisionomie di Maria de Naglowska, di Piera Vasco, di Sibilla Aleramo, di Marcella D’Arle e di quante altre, nella memoria e nel cuore del vecchio saggio, in un continuo rimandare dalla manifestazione all’archetipo e viceversa…

  • Note:
  • 1 Tra le opere su Evola artista rimane fondamentale lo studio di Elisabetta Valento, Homo faber – Julius Evola fra arte e alchimia (Roma: Fondazione Julius Evola, 1994).
  • 2 Cfr almeno Julius Evola, Arte astratta (Zurigo: Collection Dada,1920).
  • 3 Cfr. Evola, La parole obscure du paysare intérieur, Zurigo: Collection Dada, 1920); (Roma: Fon- dazione Evola, 1992).
  • 4 Cfr. Michele Olzi, Dada 1921: un’ottima annata, in La biblioteca di via Senato, anno VIII, n. 1, (Gennaio  2016), 23.
  • 5 Ibidem
  • 6 Cfr. il capitolo “La «Luce del Sesso» e la «Legge del Telema»”, in Evola, Metafisica del sesso  (Roma: Mediterranee, 1994), soprattutto  294-297.
  • 7 Infatti apprendiamo da un interessante scritto di Marcello De Martino che nel 1927 un poemetto della Naglowska apparve sul mensile Ur, mentre un saggio di Evola apparve nel 1930 sulla rivista della russa La Flèche; cfr. Marcello De Martino, Tantra e Idealismo magico, ovvero East and West, saggio introduttivo a L’uomo come potenza, di Julius Evola (Roma: Mediterranee, 2011).
  • 8 Il De Martino in un altro libro parla esplicitamente della Naglowska in relazione ad Evola, definendola come “la sua amante russa ma naturalizzata francese… una seguace della Magia Sexualis di Pascal Beverly Randolph. “, cfr. De Martino, Rasputin, il “povero (santo)diavolo”, prefazione all’edizione italiana di Andrei Cook, Uccidere Rasputin – Vita e morte di Grigori Rasputin (Roma: Settimo Sigillo, 2013), 21.
  • 9 Yvon De Begnac, Taccuini mussoliniani (Bologna: Il Mulino, 1990), 646.
  • 10 Occorre ricordare che la traduzione completa dell’opera di Freud in lingua italiana è stata realizzata abbastanza tardi, a cura di Cesare Musatti dal 1968 al 1980, edita per Boringhieri, Torino; mentre Freud pubblica Psicologia delle masse e analisi dell’Io, nel 1921, L’Io e l’Es, nel 1923, Avvenire di un’illusione, nel 1927 e Il disagio della civiltà nel 1929.
  • 11 Cfr. Otto Weininger, Sesso e carattere, Vienna, 1903, in italiano Mediterranee, Roma, 1992.
  • 12 L’articolo Gehst zu frauen?, venne pubblicato su Cronache d’Attualità, anno IV, gennaio 1921, riprendo la citazione dalla ripubblicazione del testo in Evola, Scritti sull’arte d’avanguardia (Roma: Fondazione Julius Evola, 1994), 32.
  • 13 Ibidem.
  • 14 Cfr. Rudolf Steiner, Sulla Psicoanalisi (Milano: Antroposofica, 2006), che raccoglie puntuali dichiarazioni su Breuer, Freud, Jung, Adler che risalgono addirittura al 1917.
  • 15 Tutti i brani sono ripresi da Gehst zu frauen? Evola, Scritti sull’arte d’avanguardia, 32-33.
  • 16 Cfr. Evola, Metafisica del sesso (Roma: Atanor, 1958).
  • 17 Cfr.  Anton Giulio Bragaglia, “Curiosità dadaiste”, in Cronache d’Attualità (Gennaio 1921),  43.
  • 18 Cfr.  Renato Mucci, “Cronache letterarie”, in Cronache d’Attualità (Gennaio 1921),  49.
  • 19 Cfr. Anton Giulio Bragaglia, “Misteri della Cabala”, in Cronache d’Attualità (Febbraio-Marzo 1921), 46.
  • 20 Bragaglia, “Misteri della Cabala”, 45-46.
  • 21 Cfr. a firma “Il Doganiere”, ma si trattava di Gherardo Casini, “Un profeta in mutande”, in Critica Fascista, n. 4, 15 (Febbraio 1930), 70-71 e “Il profeta senza mutande”, n. 6, in Critica Fascista, (15 Marzo 1930), 111.
  • 22 Mario Carli, “Aristocrazia o pederastia?”, in Oggi e Domani, n. 6, (26 Maggio 1930), 2.
  • 23 Cfr. Carlo Rossi di Lauriano, “Spirito aristocratico e casta aristocratica”, in La Torre, n. 8 (15 Maggio 1930), nella riedizione completa della rivista (Milano: Società Editrice Il Falco, 1977), 285-290.
  • 24 Vedi nota 22.
  • 25 Sull’ultimo numero de La Torre, del 15 giugno 1930, si può leggere un eloquente riassunto dello scontro nel brano: Mario Carli fustigato, op. cit. p. 386, dove l’autore, sicuramente Evola, ritorna sull’appellativo “la signorina”, che in quel caso sembra aver scudisciato violentemente l’ex-ardito Carli.
  • 26 Sulla figura di Arturo Reghini vedi Natale Mario Di Luca, Arturo Reghini – Un intellettuale neopitagorico tra massoneria e fascismo (Roma: Atanòr, 2003); Roberto Sestito, Il figlio del sole – Vita e opere di Arturo Reghini filosofo e matematico (Roma: Associazione Culturale IGNIS, 2003) e Marco Rossi, “L’interventismo politico-culturale delle riviste tradizionaliste negli anni venti: Atanòr (1924) e Ignis (1925)”, in Storia Contemporanea, anno XVIII, n. 3 (Giugno 1987), 457-504.
  • 27 Evola, “La donna come cosa”, in Ignis, n. 1-2 (Gennaio-Febbraio 1925), 18-29 della ristampa anastatica a cura di Gastone Ventura (Roma, Atanòr, 1980).
  • 28 Opera che fu terminata da Evola appunto nel 1925, ma che trovò pubblicazione, in due volumi, nel 1927 e nel 1930, per Fratelli Bocca Editori di Torino.
  • 29 Evola in quel periodo arriverà a sostenere seriamente e con forza le ragioni del Solipsismo in un saggio pubblicato su L’Idealismo Realistico, anno II, n. 6-7, (15 Marzo-1 Aprile 1925), 38-44.
  • 30 Evola, “La donna come cosa”,  23. 31 Ibidem. 25.
  • 32 Ibidem. 28-29.
  • 33 Cfr. René Guénon, “A proposito della metafisica indiana: una rettifica necessaria”, in L’Idealismo realistico, anno III, (15 maggio 1926), 18-26, dove leggiamo anche una ulteriore risposta di Evola.
  • 34  Per alcuni ambienti del tradizionalismo italiano, naturalmente non per tutti, fare riferimento alle contraddizioni esistenziali, della vita concreta, veramente vissuta, di alcuni grandi protagonisti del tradizionalismo e dell’esoterismo del Novecento, tra i quali indubbiamente va inserito Evola, appare come una specie di volontà di “sminuire il personaggio”, come se se ne volesse “demolire l’autorità” morale ed ideologica. Chi scrive pensa decisamente il contrario e crede che chi così sente, dimostra di non aver ben riflettuto sui reali rapporti spirituali che intercorrono tra “mondo iperuranio”, quello delle Idee platoniche, che sono Ousìe, cioè Dei, e mondo spazio-temporale, il nostro, quello che il grande Eraclito definiva del “pànta réi”, appunto del divenire.
  • 35 Cfr. Giovanni Monastra, “Evola nel giudizio di una donna: Sibilla Aleramo”, in Futuro Presente, n. 6, (1995), 107-110.
  • 36 Sibilla Aleramo, Amo, dunque sono, Milano, 1927 (Milano: Mondadori,  1982).
  • 37 Aleramo, Amo, dunque sono, 48.
  • 38 Del resto già nel 1924 Evola aveva pubblicato un articolo molto esplicito su questo genere di attività sul quotidiano antifascista Il Mondo, che faceva perno su Giovanni Amendola e Adriano Tilgher, cfr.  “La costruzione dell’immortalità”, ne Il Mondo (12 aprile  1924).
  • 39 Su queste vicende cfr. Evola, Il Mondo (1924-1925) Lo Stato Democratico (1925) Il Sereno (1924), a cura di Marco Rossi (Roma: Lucarini, 2012).
  • 40 Cfr. Evola, Il Cammino del cinabro (Roma: Mediterranee, 2014), soprattutto la parte finale del capitolo, “Il fondo personale e le prime esperienze”, 51-54.
  • 41 Aleramo, Amo, dunque sono, 108-109.
  • 42 Cfr. Famulus, “Che dicono, che fanno – Sibilla Aleramo”, in La fiera letteraria, anno IV,  n. 47  (18 novembre 1928), 3.
  • 43 Ibidem.
  • 44 Cfr. Marco Rossi, “Neopaganesimo e arti magiche nel periodo fascista”, in Storia d’Italia – Annali 25 – Esoterismo, a cura di Gian Mario Cazzaniga (Torino: Einaudi, 2010), 599-628.45 Claude Anet, La rive d’Asie, Paris, 1927.
  • 46 Cfr. Giovanna Providenti, “Marcella d’Arle”, in Enciclopedia della donne, accesso effettuato 24 giugno   2016,  http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/marcella-darle.
  • 47 Marcella D’Arle, El Harem (Vienna: Zsolnay 1939).
  • 48 D’Arle, Eva madre del mondo (Milano: Garzanti,  1948).
  • 49 D’Arle, “Difesa della donna islamica”, in La Torre, n. 8, (15 maggio 1930), 294-298.
  • 50 Ibidem. p. 295.
  • 51 Ibidem. p. 297.
  • 52 Cfr. Gianfranco de Turris, Julius Evola Un filosofo in guerra 1943-1945 (Milano: Mursia,  2016).
  • 53 I quadri si possono ammirare a colori in fondo all’ottimo libro di Elisabetta Valento, Homo faber – Julius Evola fra arte e alchimia, rispettivamente alle foto 42 e 43.
  • 54 Ibidem. 135.

  • Bibliografia:
  • Relativa a “L’esperienza dell’archetipo femminile nella formazione del giovane Evola, 1920-1930.”
  • Aleramo, Sibilla. Amo dunque sono. Milano: Mondatori, 1927. Anet, Claude. La rive d’Asie. Paris: 1927.
  • Bragaglia, Anton Giulio. “I Misteri della Cabala – Curiosità dadaiste.” Cronache d’Attua- lità, gennaio 1921.
  • “I Misteri della Cabala.” Cronache d’Attualità, febbraio-marzo 1921.
  • Carli, Mario. “Aristocrazia o pederastia?” Oggi e Domani, 26 maggio 1930.
  • Casini, Gherardo ( Il Doganiere ). “Un profeta in mutande.” Critica Fascista, 15 febbraio 1930.
  • “Il profeta senza mutande.” Critica Fascista, 15 marzo 1930.
  • D’Arle, Marcella. “Difesa della donna islamica.” La Torre, 15 maggio  1930.
  • El Harem. Wien: 1939.
  • Eva madre del mondo. Milano: Garzanti, 1948.
  • De Begnac, Yvon. Taccuini mussoliniani. Bologna: Il Mulino, 1990.
  • De Martino, Marcello. Introduzione a L’uomo come potenza, di Julius Evola. Roma: Me- diterranee, 2011.
  • Introduzione a Uccidere Rasputin – Vita e morte di Grigori Rasputin, di Andrei Cook.
  • Roma: Settimo Sigillo, 2013.
  • De Turris, Gianfranco. Julius Evola Un filosofo in guerra 1943-1945. Milano: Mursia, 2016.
  • Di Luca, Natale Mario. Arturo Reghini – Un intellettuale neopitagorico tra massoneria e fascismo. Roma: Atanòr, 2003.
  • Evola, Julius. Arte astratta. Zurigo: Collection Dada, 1920.
  • La parole obscure du paysage intérieur. Zurigo: Collection Dada, 1920.
  • Metafisica del sesso. Roma: Atanòr, 1958.
  • “Gehst zu frauen?” Cronache d’Attualità, gennaio  1921.
  • Scritti sull’arte d’avanguardia. Roma: Fondazione Julius Evola, 1994. “Mario Carli fustigato.” La Torre, 15 giugno  1930.
  • “La donna come cosa.” Ignis, gennaio-febbraio  1925.
  • Teoria dell’Individuo Assoluto. Torino: Fratelli Bocca Editori, 1927. Fenomenologia dell’Individuo Assoluto. Torino: Fratelli Bocca Editori, 1930. “Sulle ragioni del Solipsismo.” L’Idealismo Realistico, 15 marzo-1 aprile 1925. “La costruzione dell’immortalità.” Il Mondo, 12 aprile  1924.
  • Il Mondo (1924-1925) Lo Stato Democratico (1925) Il Sereno (1924), a cura di Marco
  • Rossi. Roma: Lucarini editore, 2012.
  • Il cammino del cinabro. Milano: Vanni Scheiwiller, 1963.
  • Famulus. “Che dicono, che fanno – Sibilla Aleramo.” La fiera letteraria, 18 novembre 1928.
  • Freud, Sigmund. Opere di Sigmund Freud, a cura di Cesare Luigi Musatti. Torino: Borin- ghieri, 1968-1980.
  • Guénon, René. “A proposito della metafisica indiana: una rettifica necessaria.” L’Ideali- smo Realistico, 15 maggio 1926.
  • Monastra, Giovanni. “Evola nel giudizio di una donna: Sibilla Aleramo.” Futuro Presen- te, primavera 1995.
  • Mucci, Renato. “Cronache letterarie.” Cronache d’Attualità, gennaio  1921.
  • Olzi, Michele. “Dada 1921: un’ottima annata.” La biblioteca di via Senato, gennaio  2016.
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  • Rossi di Lauriano, Carlo. “Spirito aristocratico e casta aristocratica.” La Torre, 15 maggio 1930.
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  • Roma: Associazione Culturale IGNIS,  2003.
  • Steiner, Rudolf. Sulla psicoanalisi. Milano: Edizione Antroposofica, 2006.
  • Valento, Elisabetta. Homo faber – Julius Evola fra arte e alchimia. Roma: Fondazione Julius Evola, 1994.
  • Weininger, Otto. Sesso e carattere. Wien, 1903.