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  • Contro la gioventù 
  •    Come si cessa di essere ciò che si è      
  • di
  • Michele Ricciotti
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  • Vi è una fondamentale aporia che caratterizza la condizione della gioventù oggi. Da un lato i giovani sono al centro di ogni dibattito che si affacci sulla scena pubblica e sociale, a testimonianza di una tendenza che, soprattutto in campo politico, pare velocemente portare il mero dato anagrafico a sostituirsi a criteri di merito, competenza, preparazione; dall’altro lato, la stessa gioventù si vede puntualmente estromessa dagli ambiti di cui pur viene detta parte essenziale, basti pensare a quello lavorativo. Contro la retorica giovanilistica si scagliava Robert Poulet, già intimo amico nonché biografo di Louis-Ferdinand Céline, nel caustico pamphlet Contre la jeunesse, pubblicato nel 1963 e da pochi mesi riproposto in traduzione italiana per Oaks Editrice.
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  • Basterebbe anche solo una rassegna di alcune significative massime e dei più mordaci aforismi contenuti nel breve libello per restituire l’idea dell’inattualità di un autore che scrisse ciò che scrisse in anni che preparavano quel simulacro di rivoluzione che fu il ’68 e dava vita, nel giro di pochi anni, a trattati che prendevano di mira oltre che la gioventù, anche l’amore, la plebe, e perfino l’automobile, ‘miti’ contemporanei verso cui Poulet non esitò ad indirizzare i propri strali dissacratori. Tutta la sua vis polemica si rivolge dunque verso il clima imbevuto di ‘giovanilismo’ che nei primi anni ’60 andava diffondendosi in Francia, senza che la sua critica scada mai in forme di stantia e un po’ moralistica “deprecatio iuventutis”.
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  • La trasvalutazione dei valori messa in campo da Poulet coinvolge anzitutto la caratteristica principale, e non la meno dannosa, del ’68 europeo, vale a dire l’attivismo politico giovanile. A tal proposito, si chiede Poulet: «Come potrebbero i giovani avere delle opinioni politiche? È come se i ciechi si pronunciassero per l’azzurro o per il rosso. L’oggetto della politica è l’organizzazione del mondo. Ma si può organizzare ciò di cui non si ha la minima idea?» (p. 76). La diagnosi della malattia giovanilistica conduce inoltre a far della tanto magnificata infanzia poco più (o poco meno) che un’‘età ingrata’ – colma com’è di insopportabili finzioni, ripugnanti menzogne e irrealizzabili promesse – e ad un’impietosa invettiva rivolta agli ideali egualitari che a nient’altro avrebbero portato se non ad un assurdo appiattimento nell’educazione scolastica, con conseguente avvilimento del vero ed autentico genio.
  • Fa da panorama all’intera trattazione, quale suo fondamento, un’antropologia tutt’altro che ottimista, orientata da un realismo di cui si fatica a distinguere la linea di confine con la sarcastica rassegnazione, l’amara consapevolezza che su cento individui che la natura «si affatica a creare, se ne trovano novanta mal riusciti, nove mediocri, uno presentabile» (p. 155). Né la gioventù si limita ad essere una condizione apoditticamente sancita dalla carta d’identità, ma si costituisce quale categoria definitoria di talune disposizioni ed attività umane, prima tra tutte la filosofia, considerata al rango di gioco puerile, «scienza d’adolescenti», professata da «fanciulli protratti» (p. 59).
  • La comunemente deprecata fuoriuscita dalla gioventù, consueto oggetto di accorate nostalgie, si traduce, all’interno della appena abbozzata Weltanschauung di Poulet, nell’apertura dell’orizzonte di possibilità che solo un uomo formato, portatore di un carattere, un uomo, per così dire, ‘sulla trentina’, può vedere dispiegarsi innanzi.
  • L’indagine dal sapore freudiano intorno alla sessualità e al sistema familiare si accompagna ad una veloce rassegna di alcune significative espressioni letterarie, onde rintracciarvi le radici narrative dell’assurda infatuazione per infanzia e giovinezza.
  • Ma lungi dall’assumere una posa reazionaria, l’anziano Poulet (che per totale mancanza di ironia della sorte morirà vecchissimo) offre coerente esito alla profonda convinzione, manifestata un trentennio prima, che “la revolution est a droite”, seppur filtrata dalle maglie della storia, attraverso la drammatica esperienza bellica e la condanna a morte rimasta ineffettuata, mantenendo però vivo quell’impeto rivoluzionario che l’imberbe gioventù tenderebbe a mortificare: «È un luogo comune, e totalmente falso, che la gioventù sia rivoluzionaria e la vecchiaia conservatrice. Non si deve confondere il gusto della novità con quello del disordine. Nessun ambiente aderisce alle tradizioni più di quello degli apprendisti, dei collegiali, degli universitari; per mantenerle basta loro che il tradizionalismo sia esteriormente scamiciato» (p. 60). Ainsi parlait.
  • (Poulet, Contro la gioventù, introduzione di L. Mascheroni, Oaks Editrice, Sesto San Giovanni 2018, pp. 168, € 10,00.)