• Volpe

  • Volpe e la religione della nazione
  • L’Italia tra le due guerre
  • di
  • Giovanni Sessa

  • Gioacchino Volpe, tra gli intellettuali che affiancarono il fascismo, è stato certamente il primo ad ottenere riconoscimenti significativi della propria grandezza di studioso. Fu apprezzato da Gramsci, che rintracciò, nella lezione esegetica dello studioso, il merito di collocare il processo storico risorgimentale nel contesto europeo, oltre che di rinvenirne le radici culturali tra il X e l’XI secolo, nel Medioevo, originario oggetto di studio di Volpe.  Alla sua morte, avvenuta il 1 ottobre 1971, sulle colonne del settimanale L’Espresso, comparve un articolo di Giuseppe Galasso, nel quale si rendeva allo storico l’onore delle armi accademiche.  Lo ricorda, nella prefazione ad un libro di Volpe edito recentemente dalla OAKS, L’Italia tra le due guerre, Gennaro Malgieri, curatore del volume (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 303, euro 20,00).    Il libro raccoglie testi esegetici che lo storico scrisse a partire dagli anni concitati che precedettero il primo conflitto mondiale, fino alla conquista del potere da parte del fascismo e al consolidarsi del suo apparato statuale.
  • Ci pare illuminante il giudizio espresso da Mussolini sullo studioso nel momento in cui questi accettò di collaborare a, Il Popolo d’Italia: «Non è un professore nel senso pedantesco della parola, ma un uomo dallo spirito agile e complesso, che partecipa alla vita contemporanea e ne coglie gli aspetti e ne traccia le direzioni» (p. 19). Per questo Volpe, nell’Italia tra le due guerre fu protagonista assoluto. In quel frangente pensò di rintracciare la possibile ‘costruzione’ dell’idea di nazione, che aveva iniziato storicamente a delinearsi subito dopo le invasioni barbariche, ma che non era giunta a darsi un assetto storico-politico chiaro, definito, cogente.  Tale esegesi lo indusse a partecipare sul campo all’esperimento che il fascismo stava cercando di realizzare.  Lo si evince, in particolare, dalla sua Storia del movimento fascista, testo centrale del libro che presentiamo. In esso, il pensatore innova dall’interno le modalità del fare storia, innervando il dato oggettivo e documentale, che non è mai assente nelle sue analisi, con il tratto empatico che connota di sé: «la descrizione e la penetrazione dello spirito del tempo» (p. 8).
    Nell’indagare gli sviluppi del movimento fascista egli presta attenzione tanto alle strutture giuridiche, quanto a quelle economiche, sociali ed intellettuali di quegli anni fatidici. Dalle sue pagine emergono le figure di Oriani, Pareto, Labriola, protagonisti indiscussi di quella stagione. Congerie storica, quella primo novecentesca, nella quale Volpe avvertiva per l’Italia, come scrisse in, Programmi e orientamenti per una storia dell’Italia, la necessità di concedere centralità allo Stato: «per dare ordine ai corpi naturali e sociali in un insieme organico» (p. 11), nota Malgieri. L’Italia era impegnata nel momento culminante della propria formazione nazionale, costruiva una ‘vita nova’, mentre l’Europa era, a sua volta, alla ricerca dell’identità.  La cosa stava determinando scontri dirompenti. Volpe era fermamente convinto che solo la valorizzazione delle identità nazionali avrebbe potuto condurre al riconoscimento della dignità delle diverse nazioni europee. Queste non potevano essere ridotte, riconosceva lo storico, come invece successivamente è accaduto,: «ad un indistinto agglomerato economico finanziario tenuto insieme da una oligarchia tecnocratica» (pp. 11-12). Una nazione, sia essa quella italiana o europea, deve essere sostenuta dall’interno da un’anima che, all’esterno, deve potersi manifestare nello Stato, quale principio etico-spirituale. In ciò va rintracciata la grande attualità della visione politica di Volpe.
    Tale volontà costruttiva la si evince dalla lettera inviata a Mussolini, pubblicata su, Il Popolo d’Italia il 21 novembre 1920, in cui la rivoluzione fascista era letta come inevitabile tentativo dell’Italia risorta di opporsi all’offesa rappresentata dai trattati di pace. Per non perdere se stessa, sosteneva lo storico, l’Italia avrebbe dovuto difendere il proprio territorio, il proprio patrimonio ideale, le specificità culturali. Avrebbe dovuto evitare che nella scuola popolare penetrassero le infiltrazioni materialiste. In particolare, la borghesia avrebbe dovuto inverare il tratto classista-economicista che la caratterizzava e, innervata delle migliori forze della nazione, avrebbe dovuto porsi all’avanguardia della trasformazione politica innescata dal fascismo. Il movimento, altresì, avrebbe dovuto valorizzare il tratto più profondo dell’Italia: «terra delle molte vite sempre rinascenti» (p. 15), vale a dire la sua dimensione metafisica ed eterna, ereditata dalla tradizione romana.  Per Volpe, il popolo italiano, pur essendo: «abbarbicato alla terra […] anela all’immortalità» (p. 16).  Speranza questa che, alla fine del secondo conflitto mondiale, si sarebbe mostrata vana.
    Tale idea dell’Italia, lo studioso l’aveva maturata durante il primo conflitto mondiale, quando, come con acume riconobbe Prezzolini, le classe dirigenti, gli intellettuali incontrarono il popolo, nelle manifestazioni di piazza e poi nel fumo delle trincee.  La storia italiana è andata formandosi nei secoli, assieme alla storia degli altri popoli europei.  Fin da allora, Volpe ebbe contezza che ‘questione italiana’ e ‘questione europea’ sono indissolubili. Il suo seguire passo passo la rivoluzione fascista, come ideologo e militante, l’essere solidale con l’Italia in cammino, discendevano dalla sua straordinaria memoria storica, dall’aver individuato nel Medioevo, nei Comuni, con il loro sostanziale differenzialismo, le radici di ciò che andava realizzandosi nei primi decenni del XX secolo. Egli guardò sempre alla ‘religione della nazione’ ed operò per realizzarla.
    Non sono, pertanto, casuali queste parole poste a conclusione di una sua lettera del 1884 alla famiglia, dopo un’escursione nella campagna romana: «Io sentivo riaffacciarsi in me l’antico spirito pagano che la civiltà cristiana e il sentimento cattolico hanno affievolito in noi; e comprendevo, e quasi me ne sentivo compenetrare, il culto italico dei boschi e delle sorgenti» (p. 22).  Questa Italia è eterna, vive ancora in noi.