• Antaios

  • Gli scritti di Evola per Antaios
  • Una rivista di grande rilevanza
  • di
  • Giovanni Sessa
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  • La Fondazione Evola rende finalmente disponibili, per i lettori, i cinque scritti che il filosofo pubblicò sulla rivista Antaios. Lo fa nel volume, Julius Evola, Antaios (1960-1970) edito da Fondazione Evola-Pagine editore, per la cura di Luca Siniscalco (per ordini: 06/45468600, pp. 145, euro 16,00). Il volume è aperto da un saggio di Hans Thomas Hakl che ricostruisce tanto la storia editoriale del periodico, quanto la collaborazione dell’ intellettuale italiano. Negli anni Quaranta, l’editore Klett ed Ernst Jünger, decisero di fondare una rivista culturale di orientamento conservatore, che avrebbe dovuto annoverare tra le proprie prime firme, il fisico Heisenberg,   Friedrich Georg Jünger, Schmitt ed Heidegger. Dato il clima politico dell’epoca in Germania, il progetto naufragò. Fu ripreso invece nel 1957, quando lo scrittore tedesco riprese i rapporti con Mircea Eliade: il primo propose allo storico delle religioni il ruolo di co-direttore, in quanto gli ambiti di indagine del periodico dovevano essere il mito, la simbologia e la letteratura. Eliade accettò.

 

  • Caporedattore del periodico divenne Philipp Wolff-Windegg, nipote dell’editore Klett, vero deus ex machina della pubblicazione, in quanto, per ragioni diverse, come ricorda opportunamente Hakl, tanto Jünger quanto Eliade si disinteressarono della realizzazione della rivista. Il nome Antaios è: «da ricondursi con molta probabilità ad Ernst Jünger» (p. 10). Anteo, gigante figlio di Gea, stando al mito, fu sconfitto da Eracle solo quando fu sollevato da terra. La perdita del contatto con la dimensione tellurica, propria anche dell’uomo moderno, fu causa della sconfitta patita da Anteo. Resta il fatto che, il richiamo alla terra in Antaios, si accompagnò con quello allo spirito. Jünger scrisse nel presentare la pubblicazione: «la rivista vuole servire la causa della libertà nel mondo. Un mondo libero può essere solamente un mondo dello spirito» (p. 10). La rivista ebbe vita abbastanza lunga, dal 1959 al 1971. Poté vantare tra i suoi collaboratori intellettuali di primo piano del panorama europeo: Cioran, Gnoli, Kerény, Corbin, Schuon, Filippani-Ronconi e, naturalmente, Evola.
  • Il primo articolo evoliano apparve nel 1960: si trattava di uno scritto su mito e simbolo, che sarà inserito nel 1968 nella silloge, L’arco e la clava. Il secondo contributo uscì nel 1962: si occupava di virilità e simbolismo erotico. Era una versione ampliata di un pezzo comparso su East and West. Nel terzo testo il filosofo discuteva di iniziazione, in una modalità lievemente diversa rispetto allo scritto poi inserito in L’arco e la clava. Questo articolo influenzò von Dürkheim, maestro Zen. Il quarto saggio, Temporalità e storicità è molto simile ad un articolo firmato Ea, pubblicato su Ur, mentre il quinto contributo, Del mito dell’Occidente, rappresenta la prima parte di un saggio compreso in L’arco e la clava. La collaborazione evoliana, ricorda Hakl, fu in qualche modo limitata e «tenuta sotto controllo»: in particolare il romeno temeva che Evola usasse toni troppo critici nei confronti di Jung, con il quale aveva stabilito rapporti positivi ad Eranos.
  • Molti sono i motivi di originalità dei testi evoliani di Antaios. Lo ricorda, nel suo contributo chiarificatore ed organico, Siniscalco. Innanzitutto l’originale lettura della cultura tedesca e, in particolare, dell’esistenzialismo, interpretato quale «insufficiente presentimento» di una verità tradizionale, l’illusorietà del mondo fenomenico, dal quale gli esistenzialisti, per mancanza di una visione iniziatica, non riuscirono ad ascendere ad una effettiva trasfigurazione. Davvero rilevante e sintonica con le intenzioni della rivista è l’esegesi del simbolo. Ad esso Evola attribuisce una: «natura unificatrice, foriera di un pensiero sintetico e analogico opposto […] al razionalismo analitico» (p. 24). Nel simbolo, i contenuti fenomenici e parziali vengono assunti in un’unità trasfigurante. Tale tematica è essenziale, tra l’altro, per avere accorto accesso alla lettura dell’iniziazione di Evola. L’iniziazione, in epoca moderna, per il filosofo poteva avvenire solo lungo la «via d’eccezione», sulla verticale e non per la via orizzontale, attraverso catene iniziatiche, in quanto il pensatore romano, a differenza di Guénon, dubitava della loro sopravvivenza in Occidente.
  • Tutto ciò rinvia, e ben lo coglie Siniscalco, alle intenzioni di Antaios. Il gruppo di intellettuali che vi collaborò avrebbe voluto realizzare una renovatio mundi. Essa poteva darsi esclusivamente nel: «rinnovamento del nostro rapporto con quel mondo mitico-simbolico che la modernità secolarizzata ha radicalmente espunto ed obliato» (p. 28). Il mito, in tale contesto, deve essere inteso quale potenza fondativa, precedente autorevole della storia e sempre vigente in essa. Al richiamo ad Anteo, alla dimensione ctonia, alla immersione nel caos, doveva far seguito, come detto, il riaffacciarsi dello spirito, l’affermazione del cosmos. Lungo tale iter, mito e simbolo avrebbero svolto la funzione di medium: «cogliendo olisticamente la trascendenza nei frammenti, rinvenendo nelle maglie del reale un’ontologia plurale e multidimensionale, contemplando la gerarchia delle forme che sempre rimanda all’Origine da cui tutte scaturiscono» (p. 29).
  • La crucialità di Antaios, nella cultura europea del Novecento, e ciò vale anche per il pensiero di Tradizione di Evola, sta nell’aver indicato una via possibile di oltrepassamento del moderno, una via mitico-simbolica o del «metodo tradizionale», che consente di guardare all’Origine, all’arché, senza pensarla necessariamente in termini reazionari, come retroflessa in un passato irrecuperabile. Al contrario, la via mitico-simbolica di Antaios permette di esperire la Tradizione come meta, come futuro al quale tendere nostalgicamente.