• Klossowski Nietzsche

  • Nietzsche
  • e l’'origine sempre possibile'.
  • La lettura di
  • Pierre Klossowski
  • di
  • Giovanni Sessa
  • Il pensiero di Nietzsche rappresenta il punto apicale della frattura rivoluzionaria, per dirla con Karl Löwith, della filosofia del secolo XIX. La storia dell’esegesi di tale esperienza speculativa ed esistenziale è articolata, complessa e, a volte, contraddittoria. Un ruolo di rilievo, tra gli interpreti del filosofo di Röcken, va attribuito a Pierre Klossowski. A lui si deve la rilevante monografia, Nietzsche e il circolo vizioso, da tempo disponibile nella nostra lingua, che, a nostro parere, non rappresenta però il meglio del suo contributo esegetico in tema. Senz’altro più significative sono le pagine del volume, Nietzsche, il politeismo e la parodia, nelle librerie per Adelphi, nella traduzione di Giuseppe Girimonti Greco (pp. 116, euro 10,00). Il libro raccoglie due saggi finora inediti in italiano, che rappresentano una sintesi delle acquisizioni teoretiche cui Klossowski era pervenuto negli scritti giovanili e che, d’altro lato, aprono la strada agli studi della piena maturità.

 

 

  • Tratto più rilevante di questo testo è la ricerca del volto autentico di Nietzsche, oltre le maschere interpretative. Le più invadenti e depistanti tra esse sono state indotte dallo spirito del tempo che, di volta in volta, ne hanno fatto un profeta della razza o dello spirito libertario. Nietzsche non è riducibile a semplicistiche categorie definitorie. Per avere acconcio accesso al suo mondo ideale, Klossowski muove dal frammento 377 della Gaia scienza, dal quale è possibile evincere che la «modernità» per Nietzsche è: «un’attitudine a una simpatia mai raggiunta prima, in virtù della quale lo spirito entra direttamente in contatto non solo con ciò che appare quanto mai estraneo, ma anche con il mondo più lontano nel tempo, con il passato più remoto» (p. 15). Ciò chiarisce come Nietzsche sia lontano tanto dal nomadismo cosmopolita contemporaneo, quanto da un atteggiamento meramente reazionario nei confronti del moderno. D’altro lato, è proprio per l’affermarsi dello spirito negatore moderno che risulta possibile esperire la «necessità» dell’origine, non riducibile al mero passato.
    Il tema della ri-nascita, presentatosi con l’Umanesimo, è pienamente esemplificato dall’avventura di Faust, quint’essenza della modernità, la cui fortuna consiste nel rivivere la propria vita. Si potrebbe dire Faust o dell’eterno ritorno dell’identico: un ritorno che può essere attivato dalla volontà di potenza: «Per Nietzsche il mondo “moderno” […] non è che un intermezzo di tenebre, così come per gli umanisti lo era il mondo scolastico» (p. 17). La liberazione dell’inespresso del passato potrà realizzarsi a condizione che gli uomini si sottraggano al peso incapacitante dello storicismo. Perché ciò accada la memoria deve accompagnarsi all’oblio, l’istante allora tornerà a mostrare la pienezza persuasa. La vita dell’animale indica la possibilità di un’esistenza astorica, quella del bambino rappresenta, invece, una vita che non ha alcun passato da ripudiare, solo l’uomo adulto sospira: «mi ricordo». Per porre termine ai sospiri, ai rimpianti, è necessario l’oblio. L’istante sarà rischiarato dalla serenità e l’universo apparirà: «non più come qualcosa di imperfetto ma sotto l’aspetto di un bambino che gioca» (p. 21).
    Comprendere la storia implica, quale conseguenza, il conseguimento di una vita fuori della storia: bisogna agire per agire, volere il già stato, senza scopi, oltre ogni prospettiva futuro-centrica. L’origine, rileva Klossowski, è sempre possibile (parole sue) a condizione che si dichiari guerra all’immaginario colonizzato dalla morale borghese e utilitarista e dall’organizzazione scientifica della società. Il cristianesimo è stato via d’uscita dall’antichità e, nonostante viva in agonia nella nostra epoca, per questo è considerato da Nietzsche possibile via di ritorno all’antico. Lungo tale percorso è necessario tornare ad evocare «immagini non storiche», tornare ad ascoltare l’appello del mito. Esso parla, per il filosofo tedesco, in modo essenziale nel platonico racconto di Er, rendendo edotti gli uomini che ci è possibile «ri-cordare» e quindi «ri-conoscere» i tratti di ciò che è stato, e di proiettarli in nuove ri-nascite.

  • Il senso ultimo, suggerisce Klossowski, della lezione nietzscheana sta nell’aver colto l’ininsegnabile, vale a dire: «i momenti in cui l’esistenza, sottraendosi ai concetti di storia e di morale […], si rivela come restituita a se stessa senza altro scopo se non quello di tornare su se stessa» (p. 55). Tale apprensione dell’ex-sistere per Nietzsche viene testimoniata dai simulacri dell’arte e della religione, negata, invece, dall’approccio scientifico. Infatti, nel momento in cui la modernità si è sbarazzata del sovramondo, si è liberata anche del mondo apparente, il quale non poteva diventare reale solo perché a volerlo era il positivismo. Il mondo è stato ridotto a fabula, racconto, interpretazione. Ciò significa che, paradossalmente, nel moderno è implicita una possibilità di rifabulizzazione del mondo, di ritorno al mito: «nell’oblio il passato sov-viene all’uomo, sotto forma di avvenire che al tempo stesso è figura del passato» (p. 62). Altro aspetto di rilievo va rilevato nella svalutazione nietzscheana del pensiero cosciente, cui segue la messa in discussione della comunicazione linguistica. Ciò in quanto la razionalità è espressione di forze impulsive originarie: dentro e fuori non hanno, in tale prospettiva, più confini, così come la distinzione tra vita individuata e cosmica.
    I principi logici, identità e non-contraddizione, sono l’arma degli impulsi più forti, in essi l’aggressività si traduce in affermazione e negazione, in distinzione. La coscienza è esperita quale funzione minacciosa dal tratto antivitale, per cui, di là dell’istinto di verità, l’errore (l’illusione leopardiana) viene sentito quale tutore della vita. L’animo del pensatore è il campo di battaglia in cui si confrontano gli errori utili a conservare l’esistenza e l’istinto di verità. Conoscere, a differenza di quanto sostenuto da Spinoza, non è per Nietzsche, come esplicitato in un aforisma della Gaia scienza, semplicemente intelligere, in quanto un’effettiva comprensione implica anche ridere, lugere, detestari (ridere, piangere, detestare), implica il riferimento a quel pathos che è all’origine del pensare. Esso si muove in un’ottica politeista, gli è estraneo l’approccio monoteistico religioso od ateo che sia, perché conosce che al pianto tragico è consustanziale l’ilarità: entrambe espressioni di una gnosi senza scopo, sintonica ad una natura che ha il medesimo tratto.  Il Nietzsche di Klossowski è filosofo che insegna a vivere contro la coscienza, in una dimensione in cui tragedia e parodia sono in uno: «in questa necessità che mi ha sorpreso a ridere e a piangere senza motivo io riporrò tutta la mia volontà e tutta la mia fiducia» (p. 82). In cammino verso l’origine del pensiero, in cammino verso l’origine della storia.