• Adorno

  • Adorno e il radicalismo di destra  
  • Un’ esegesi fuorviante 
  • di
  •   Giovanni Sessa
  • Nel mondo editoriale tedesco va registrato lo straordinario successo conseguito, nell’ultimo periodo, da una pubblicazione rimasta finora inedita, del filosofo francofortese Theodor W. Adorno, Aspetti del nuovo radicalismo di destra. In pochi mesi il volumetto ha venduto oltre settantamila copie, trasformandosi in un vero proprio bestseller. Un segno dei tempi. Il libro è ora presente anche in traduzione italiana, per i tipi della Marsilio (pp. 91, euro 12,00), arricchito dalla postfazione di Volker Weiss, storico specialista dei movimenti politici della destra contemporanea. Si tratta della trascrizione della conferenza che dà titolo al volume, Aspetti del nuovo radicalismo di destra, tenuta dal filosofo all’Università di Vienna nel 1967. Questo libro del pensatore francofortese è, in fondo, la continuazione di un’altra sua conferenza, Che cosa significa elaborazione del passato, che egli tenne nel 1959. Da questa precisazione si evince come la lettura adorniana sia collocabile all’interno della trattazione critica del «passato che non passa», centrale nella cultura storica tedesca, e non solo, nella seconda metà del secolo XX. Il testo mirava a spiegare al pubblico austriaco i successi elettorali fatti registrare, negli anni Sessanta, in Germania dal NPD, partito politico di destra.

 

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  • Adorno, in queste pagine, dedica attenzione: «alle disposizioni socio-psicologiche dei tedeschi e al modo in cui opera l’agitazione fascista» (p. 65). La trattazione muove dal nazionalsocialismo, individua i tratti socialmente rilevanti degli anni Sessanta e preconizza un futuro in cui le destre sarebbero tornate a giocare un ruolo significativo, indotto dalla recessione economica. In ciò l’attualità del libro. Adorno annuncia quello, che, per lui, era un pericolo: le élite borghesi, come era accaduto negli anni Trenta, erano sul punto di dare nuovo ascolto alla propaganda politica del NPD e tale tendenza era stata propiziata dalla «guerra fredda» e dalle scelte anticomuniste della classe dirigente della Repubblica Federale. Il fascismo, fino ad allora, era rimasto latente in Germania e cresceva in un risentimento «non pubblico», senza rappresentanza partitica. Infatti, la vera problematicità del neofascismo e la conseguente sua pericolosità, stando ad Adorno, andavano colte non nella propaganda anti democratica, tipica delle destre degli anni tra i due conflitti mondiali, ma nella «scelta democratica», che le nuove destre misero in atto tra gli anni Sessanta e Settanta.
  • L’analisi di Adorno principia dal «nazionalismo patico», indotto dalla: «ferita narcisistica nella società prodotta dalla sconfitta» (p. 72). Essa ha, a suo dire, per protagonista un soggetto caratterizzato dalla «personalità autoritaria», della quale si era occupato l’Istituto di Francoforte, particolarmente votata al «sentimento della catastrofe», una sorta di: «distorsione della teoria marxiana del collasso» (p. 22). Tali soggetti, di fronte all’atomizzazione sociale causata dai processi produttivi altamente tecnologicizzati, sono perpetuamente in attesa dello schmittiano «stato d’eccezione» e di figure politiche, carismatiche e salvifiche. In modo più preciso: «Anziché scomparire in un mondo amministrato […] preferiscono scegliere un’autorità di cui è possibile fare esperienza in modo diretto» (p. 77). Ciò implica l’individuazione del «nemico» e il ricorso, più accentuato oggi rispetto agli anni Sessanta, alla prassi democratica: «Ci si richiama sempre alla vera democrazia e si accusano gli altri di essere antidemocratici» (...Alternativa per la Germania, Lega) (p. 39). Adorno ritiene, inoltre, che: «in questi movimenti radicali di destra la propaganda costituisca la sostanza della politica» (p. 27).
  • La costitutiva mancanza di idee induce chi aderisca a tali appelli, ad individuare, dapprima, presunti nemici (gay, stranieri, ebrei, islamici) e, successivamente, a legarsi a Capi dal tratto soteriologico. Il radicalismo di destra è, per Adorno, espressione della cultura di massa che oggi con la rivoluzione digitale ha: «dato allo Stato e all’economia ulteriori strumenti per dispiegare una forma di amministrazione totale» (p. 88). Inutile dire che, tale esegesi, ci pare insufficiente e fuorviante. Innanzitutto, la stessa espressione «radicalismo di destra» è ambigua, un calderone in cui il filosofo colloca di tutto, dai movimenti populisti, al terrorismo. La cosa è aggravata dal Weiss, che vi include addirittura la Nuova Destra. Ciò nasce dall’errore di fondo da cui muove Adorno: non riconoscere dignità culturale a quest’area, certamente non omogenea, ma che ha espresso, nel secolo XX, la più alta cultura europea. Del Noce scrisse che il fascismo non fu «errore contro la cultura», ma semmai, se tale fu, «errore della cultura». Ci pare corretto, dal punto di vista storico-economico, sostenere una sorta di continuità tra Weimar e nazismo (nel senso che l’affermazione dell’impianto della tecno-scienza fu amplificato dal regime hitleriano, ma era già in fieri nel periodo precedente), e altrettanto vera è la continuità «amministrativa» e di controllo che si perpetuò, per usare l’espressione francofortese, anche nel «totalitarismo soft liberale», dopo la fine dell’hitlerismo.
  • Lo mostra l’inverarsi della liberal-democrazia nel Nuovo Regime della Governance, in un processo avviato negli anni Settanta. Purtroppo per Adorno, in tale iter, un ruolo di primo piano è stato svolto dal pensiero francofortese che, con il suo «proibito proibire», ha creato il soggetto antropologico depoliticizzato, dei nostri giorni: un narciso integrato nel sistema della religione dei diritti, che al più si batte per il gender, tutelato e protetto dalle guardie bianche dell’intellettualmente corretto. Tutto ciò accade mentre gli spazi di libertà e di sovranità sono, in modo massivo, realmente espropriati da potentati nazionali e transnazionali. Le procedure d’emergenza determinate dalla pandemia da Covid-19, non sono che un caso, in un ben più ampio processo di riduzione minimale della dialettica politica. Richiamarsi alla democrazia classica ed organica è un’esigenza imprescindibile, così come una necessità non procrastinabile è mobilitare i popoli attorno ad idee atte a difendere i loro diritti sociali. La sinistra ha rinunciato da tempo a queste battaglie: il suo antifascismo è l’alibi di cartapesta dietro il quale vuole nascondere la sua intransigente difesa dei diritti dell’uomo post-moderno, incarnazione di valori neo-borghesi.    Altro che appelli al pericolo fascista ritornante, come quello che si evince dalle pagine di Adorno. E’ indispensabile una classe dirigente atta a far fronte alla dismisura trionfante in ogni ambito del presente. In Italia le leadership populiste-conservatrici, stanno mostrando, ogni giorno di più, i loro limiti ideali ed umani. Rimaniamo in attesa di uomini politici formati al pensiero di Tradizione e operiamo perché ciò avvenga.