• Della morte di Peregrino

  • Sulla morte di Peregrino 
  • di
  • Giovanni Damiano
  • Nei “Taccuini di appunti” che seguono le Memorie di Adriano, Marguerite Yourcenar scrive che ad interessarle del II secolo e.v. era il suo essere stato il periodo “degli ultimi uomini liberi”. Giudizio perentorio, certo, ma non privo di verità. L’attività poetica di Giovenale, ad esempio, non copre forse i primi tre decenni di quel secolo? E all’età antonina non appartiene anche Celso, di cui non per nulla era amico proprio Luciano di Samosata? Ora, si dà il caso che le Edizioni di Ar con questi uomini liberi abbiano una qualche confidenza. Non direttamente con Giovenale, di cui però apprezzerebbero senz’altro moltissimo (giusto un esempio tra i tanti possibili; satira undicesima, vv. 56-57: “tu oggi potrai sperimentare, o Persico, se queste cose che sono così belle a dirsi, io non le mantengo anche nella realtà della mia vita e delle mie abitudini”), ma di sicuro con Celso, del quale, per primi in lingua italiana, traducevano nel 1977 il Discorso di verità, ed anche col Luciano di Lucio o l’asino, opera a suo tempo (2005) ospitata nella collana erotica “Le librette di controra”.
  • Adesso, a distanza di un quindicennio, le Ar hanno dato alle stampe, nella superba versione di Luigi Settembrini, un altro gioiello di Luciano di Samosata, ovvero Della morte di Peregrino. Protagonista del racconto è appunto Peregrino, tanto mosso dalla “smania” di “far parlare di sé”, da darsi fuoco in pubblico pur di soddisfare il suo narcisismo. Insomma, un soggetto perfetto per l’arte irridente, sfrontata, caustica, di Luciano. E perfetti sono i personaggi di contorno: filosofi cinici, cristiani, creduloni vari. Tutti sferzati dal riso di Luciano, dalla sua verve satirica, dal suo acre disincanto. Non per nulla Alberto Savinio definì la Morte di Peregrino “una violenta, spietata satira dell’impostura”. Per dirne due, l’impostura dei cinici, che dietro il paravento di una pretesa autenticità di vita nascondevano un umano, troppo umano, esibizionismo, e quella dei cristiani, la cui ricerca di salvezza si rovescia in cieco fanatismo e in stolida creduloneria. Non stupirà, quindi, il livore della voce dedicata dal lessico bizantino Suida (X secolo) al nostro Luciano, bollato come ateo blasfemo ed “empio scellerato”, nonché “nemico rabbioso della verità”, e naturalmente condannato al fuoco eterno, che si può leggere nella davvero ‘lucianea’ postfazione di Umberto Colla. Una conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, della bontà dell’opera di quest’uomo libero dell’antichità. La cui lezione oggi pare forse ancor più essenziale di ieri…

               

 

  • Notizia editoriale AR:
  • Della morte di Peregrino
  • Autore: Luciano di Samosata
    Titolo: Della morte di Peregrino. Nella versione di Luigi Settembrini
    Collana: Paganitas
    Prezzo: 12,00€
  • a cura di Umberto Colla
  • “In quel tempo [Peregrino] fu preso come cristiano e gettato in carcere: la qual cosa gli acquistò grande autorità di poi, e fama di santità, di che egli molto si compiaceva. Come egli fu in prigione, i cristiani stimando che la sua fosse una comune loro disgrazia, tentarono ogni via per trarnelo, e non potendo riuscirvi, gli prestavano ogni specie di servigi con somma cura. Da che spuntava il di si vedevano innanzi al carcere vecchie, vedove, orfanelli; i loro capi, avendo corrotti i custodi, entravano e passavan la notte con lui [...]: così Peregrino, sotto pretesto del carcere, ebbe da loro molte ricchezze, e si fece non piccola provvisione per l’avvenire”.
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  • “Mi parve che il riso e l’ironia di Luciano si confacesse allo stato dell’anima mia. Per non perdere interamente l’intelligenza, che ogni giorno mi va mancando, per non perire interamente nella memoria degli uomini, mi afferrai a Luciano, e mi proposi di tradurne le opere nella nostra favella. Ebbi il nudo testo emendato dal Weise, e cominciai a lottare disperatamente con mille ostacoli, senz’altro aiuto che un piccol lessico manuale: ma pervenuto più oltre della metà del lavoro, ebbi l’edizione Bipontina. Per cinque anni vi ho lavorato continuamente fra tutte le noie, i dolori, e gli orrori che sono nel più terribil carcere, in mezzo agli assassini ed ai parricidi: e Luciano, come un amico affettuoso, mi ha salvato dalla morte totale dell’intelligenza”.
  • Luigi Settembrini (Ergastolo di San Stefano, Settembre 1858)