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  • Colloqui

  • I
  • Colloqui
  • di Gennaro Malgieri  
  • Una raccolta di interviste
  • di
  • Giovanni  Sessa

  • Gli anni nei quali viviamo sono, per usare l’espressione coniata da Spengler, anni decisivi. In questo frangente storico, l’uomo europeo è chiamato a giocare una partita importante in difesa della memoria storica. Ci stiamo incamminando celermente sulla strada della dimenticanza e dell’oblio, avendo sacrificato sull’altare dell’effimero e del momentaneo, ciò che siamo, il passato e le tradizioni. Tale processo è stato accelerato dalla mercurialità del web, dalla rete, che tende costitutivamente a cancellare, a rimuovere dati, fatti e quanto pare accumularsi nelle cartelle dei computer. Inoltre, come acutamente colto, un secolo fa da Ortega y Gasset, assistiamo ad un progressivo abbassamento della qualità della vita: «La caratteristica del momento è che l’anima volgare, sapendosi volgare, ha il coraggio di affermare il diritto alla volgarità» (pp. 141-142). Desumiamo questa asserzione del filosofo spagnolo, dall’ultima fatica letteraria di Gennaro Malgieri, Colloqui (1974-1991). Attraversando il bosco, nelle librerie per i tipi di Solfanelli (per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it, pp. 146, euro 12,00).

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  • Si tratta di una silloge di interviste che l’autore raccolse tra il 1974 ed il 1991, dalla viva voce dei più significativi intellettuali della «destra» europea. I testi dei colloqui sono preceduti da un introduzione e da una postfazione attualizzanti. Non ce ne sarebbe stato bisogno, in quanto i contenuti del volume sono profetici e intrinsecamente attuali. Gli studiosi interpellati forniscono al lettore consapevole, risposte filosofiche, politiche ed esistenziali atte alla comprensione del nostro tempo, la cui deriva spirituale era stata dagli stessi pronosticata. I protagonisti del volume, marcano differenze ideali significative tra loro, e testimoniano la varietà e la profondità speculativa dell’area di pensiero dei «reietti» e dei «reprobi». Le interviste furono realizzate in un frangente in cui, per la sagace azione della Nuova Destra, anche pensatori provenienti da esperienze culturali diverse, si interessarono ad autori «sconvenienti». In molte circostanze, come ricordato da Malgieri, le esegesi «sinistre» del pensiero del «cattiverio» furono gravate da pregiudizio ideologico, in altri casi, al contrario, si dimostrarono più oggettive.
  • La prima intervista fu rilasciata dal pensatore cattolico Francisco Elias de Tejada y Spinola, esponente di primo piano del Carlismo: a suo dire, tale movimento avrebbe rappresentato, nella lotta politica della Spagna: «l’essenza spirituale […], la spina dorsale del nostro popolo» (p. 21). Difensore strenuo della monarchia tradizionale, de Tejada rimarca le differenze che dividevano Carlismo e Franchismo. A. James Gregor difende, contro l’ideologizzazione della storia messa in atto dalla storiografia progressista, nelle pagine da Malgieri a lui dedicate, la ricerca rigorosa della prova documentale, quale: «unico modo per non distorcere la verità e per scoprirla nella sua interezza» (p. 32). Seguendo tale metodo lo studioso statunitense scrisse una della prime opere «non ideologizzate» sul fascismo, che tanto scandalizzò la critica à la page. Riconobbe, l’illustre storico, che in Italia era assai arduo e difficoltoso applicare tale metodo, stante che il potere politico qui viveva sull’eredità dell’antifascismo, ormai ridotto a proclamazione retorica. Vintila Horia, incarnazione novecentesca dell’«esule eterno», mostra, nell’intervista a lui dedicata, come fin da allora si stesse rafforzando il Pensiero Unico mondialista, irrispettoso delle differenze, della tradizione e delle diversità. Egli faceva appello agli intellettuali liberi, affinché si battessero: «per la verità contro il sistema della menzogna e […] ad avere la consapevolezza che stare a sinistra […] vuol dire preparare il Gulag» (p. 40).
  • Il politologo Julien Freund, studioso di Schmitt, affronta il tema del ritorno al privato che stava palesandosi in quell’epoca, e così lo interpreta: «è in breve una sorta di sfera di rifugio, dove si forgia l’anima dell’essere, per non venir frantumato nel collettivismo e per non lasciarsi decomporre dall’atomismo individualista» (pp. 46-47). Nel momento del crollo dell’ideologia egualitaria marxista, Freund si richiama, in opposizione al livellamento sociale imposto dalla Forma-Capitale, al ritorno ad una società organica, al centro della quale dovrebbe essere ricollocata la persona, latrice di tradizione e diritti. Fornisce, inoltre, un consiglio alle classe dirigenti: «In politica bisogna sempre prevedere il peggio al fine di evitare la politica del peggio» (p. 52). Suggerimento, totalmente inascoltato. Maurice Bardéche, storico dei fascismi europei e raffinato interprete di Proust, fornisce questa definizione controcorrente del fascismo: «Il fascismo è […] un movimento di liberazione nel senso che fa riscoprire a un popolo la propria identità, le proprie radici storiche e culturali […] quando la propria personalità è soffocata da […] Paesi stranieri» (p. 58), Sa Dio, se oggi gli europei avrebbero bisogno di tale liberazione! Ettore Paratore, latinista insigne, ribadisce, ai fini della definizione dell’identità europea, la crucialità della civiltà romana. Sostiene che il poeta senegalese Senghor, difensore della tradizione dei popoli d’Africa, comprese tale necessità.
  • Il teologo Raimondo Spiazzi vede nella pratica dell’aborto il tratto più significativo della crisi spirituale della società contemporanea, una società che pratica la «rinuncia» rispetto ai ruoli sanciti dalla natura, a partire da quello di madre. Sopprimere una esistenza in fieri non può essere considerato lecito: «Si viola un diritto altrui, il diritto fondamentale di ogni uomo, il diritto alla vita» (p. 69). Una radicale critica alla modernità, emerge dalla parole di Ernst Jünger, critico dell’uniformità contemporanea, prodotto della perdita di spiritualità. L’Anarca vive un rapporto di sintonia con la natura e i suoi cicli ed è animato dal classico amor fati: «Il nichilismo è il problema moderno […] la vittoria sul nichilismo è data solo dall’eterno ritorno» (p. 81). Massimo Fini mette in luce il tratto funzionale al capitalismo del movimento del Sessantotto, che ha definitivamente introdotto in Italia il consumismo, mentre Alain de Benoist presenta la prospettiva meta-politica quale strumento di conquista della società civile. Annuncia, altresì, l’uscita di un suo libro profetico, Le pèril suisse, in cui delineava la tragica possibilità di un’Europa priva di destino storico, e ricca solo di obiettivi economici. Per evitare tale rischio, un’unica soluzione: «L’Europa ideale di cui il modello romano-imperiale rappresenta […] una sorta di archetipo» (p. 113). Idee da riscoprire nel presente, al tempo del Covid-19.