• Buscaroli

  • Paesaggio con rovine 
  • L’Europa di Piero Buscaroli
  • di
  • Giovanni Sessa

  •  
  • «Formica solitaria da un formicaio distrutto/dalle rovine d’Europa, ego scriptor». Questi versi di Pound (Canto LXXVI), posti in esergo al libro che stiamo per presentare, sono una sorta di condensato in vitro dei contenuti dell’intero testo. Ci riferiamo al volume di Piero Buscaroli, Paesaggio con rovine, recentemente pubblicato in nuova edizione da Bietti, con introduzione di Francesco Bergomi (per ordini: 02/29528929, pp. 376, euro 23,00). Il libro, uscito per la prima volta nell’anno mirabile 1989 ha, quale unica protagonista, l’Europa: patria amata, anelata con trasporto spirituale dall’autore, pur nell’assenza in cui si è celata a partire dai trattati di Versailles. Una civiltà, quella europea, devastata da tragici conflitti che la indussero al suicidio culturale e spirituale, alla rinuncia a se stessa, in nome del progresso e della società dei consumi.
  • Buscaroli avrebbe potuto dire di se stesso: «vengo da lontano, proprio come l’Europa» e lo avrebbe fatto con il tono graffiante, sarcastico, freddo ed elegante, nella prosa raffinata che, non casualmente, connota le pagine della silloge che ci accingiamo a discutere. Si tratta, infatti, della raccolta di suoi articoli e saggi, pubblicati in un quarto di secolo, tra il 1961 ed il 1989, e composti nelle occasioni più diverse: sollecitato da ciò a cui assisteva durante i numerosi viaggi, da eventi storico-politici o da protagonisti del mondo dell’arte, della musica e della letteratura. In una parola: «Gli scritti che qui si riuniscono, apparsi in tempi e su fogli diversi, fanno parte di un solo ideale libro, ben altrimenti vasto e complesso, sull’agonia e la morte dell’Europa» (p. 19). Il testo uscì nel 1989, alla vigilia del crollo del mondo comunista, e ciò ha fatto sì che la nostalgia, il bisogno di ritornare ad Itaca, mai esplicitamente confessato, ma che connota le sue pagine dall’interno, si sia saldata ad una non comune capacità diagnostico-profetica. Essa si mostra nella presentazione dal tratto lieve, dell’evo americano, all’ombra del quale oggi viviamo.
  • Le qualità scrittorie di Buscaroli sono condensate in queste pagine, ed il lettore può trarne beneficio. Incontrerà, infatti, lo sberleffo sintetico del giornalista di vaglia, la dotta digressione di chi fu allievo d’erudizione di Mario Praz, il giudizio estetico del provetto musicologo ed esperto d’arte. L’autore muove dalla convinzione che la catastrofe europea si sia consumata ben prima della caduta del muro di Berlino. La sua esegesi è animata, ricorda Bergomi, dal gusto settecentesco per le rovine: «per un’architettura finita al tappeto, che nega la propria essenza di armonia costruttiva, “investita del carattere capriccioso del giardino all’inglese”» (p.10). Il regno del possibile ben simbolizzato dal giardino all’inglese, segno della perdita del Centro, del venir meno dell’organicità delle diverse manifestazioni della civiltà, domina spiritualmente l’Europa dal momento in cui venne meno il sogno di Versailles, il suo: «fallito tentativo di una pace eterna» (p.11). La letteratura di quel frangente storico: «appare a tal punto intossicata dall’odio nazionalista, da far pensare che l’Europa sia stata vittima dei poeti, dei romanzieri e dei professori di storia prima e ben più che dei sovrani» (p. 26). La Francia che, dal secolo XVI, aveva risolutamente negato alla Germania il diritto di esistere come nazione, a seguito della vittoria prussiana sull’Austria del 1866, si sentì essa stessa sconfitta e mise in atto la rancorosa revanche. A tale atteggiamento francese, la Germania rispose con Spengler, che inculcò nelle coscienze l’idea che: «il risveglio della Germania non poteva essere se non indipendente e autonomo dai concetti di Europa e di Occidente» (p. 35).
  • Da dove ricominciare a nutrire, allora, nostalgia per l’Europa se non nelle città in cui l’Impero visse per l’ultima volta? Da tale constatazione sorge la commovente descrizione della Cripta dei Cappuccini a Vienna, nella quale riposa in eterno la dinastia imperiale. Tra i visitatori, chiosa Buscaroli: «Pochi ricorderanno di aver cantato sul prato di Schönbruun, nel coro degli ottantamila scolari […] il solenne inno di Haydn, Serbi Iddio» (p. 48). Per non dire del Vecchio Danubio: «Scorre o, piuttosto, si muove appena, tra molli cortine di querce […] Si può dire che tra queste spiaggette sabbiose venisse a morire il Sacro Romano Impero di nazione germanica» (p. 56). La vita fa seguito al sentimento della decadenza, quando Buscaroli immette il lettore nel calore festoso delle vinerie di Grinzing, dove si serve il vino novello e: «la vita si anima di un brulicare popolare» (p. 59). Nella Vienna post bellica, nella piccola Capitale, si percepisce davvero la: «Finis Austriae […] Quel miscuglio […] di austero e frivolo, di supremi assoluti e pettegolezzi da caffè, di sublime e grottesco […] si avvolge su se stesso e spasima, ristagna, imputridisce» (pp. 63-64). Il lettore troverà, altresì, indimenticabile, la visita al quartiere degli artisti di Monaco di Baviera, Schwabing. Qui visse un mondo che inclinava all’edonismo, su cui campeggiava la figura del Vate, Stefan George: «evangelizzatore di un futuro Reich» (p. 170). Qui nacque l’arte d’avanguardia e prosperarono i «Cosmici» alla ricerca dell’Anima rivitalizzatrice. Eppure, dopo il Secondo conflitto mondiale, nello stesso luogo: «Solo le prostitute rifiutavano di vendersi ai negri» (p. 173). Segni dei tempi nei quali si inscrive anche la vergogna, che la Germania democratica, in conseguenza del «lavaggio del carattere» cui fu sottoposta dai vincitori, prova nei confronti del mondo ideale di Wagner: «Falsificare il Ring, distorcerlo, capovolgerlo e insultarne i significati appare opera illuminata e moderna» (p. 183).
  • Buscaroli richiama l’attenzione anche sul caso irlandese, centrale nella questione europea, prendendo le difese degli indipendentisti e facendosi alfiere dell’inevitabile annessione delle province protestanti dell’Ulster alla Eire. Non manca di narrare la sua visita a Praga alla vigilia dell’occupazione sovietica. Praga era invasa da turisti occidentali ed in preda della divorante febbre per il mercato nero delle valute europee: «Sotto il gruppo statuario di Jan Hus e dei suoi che avanzano verso il rogo, si contano accanitamente marchi, lire e franchi» (p. 315). Presto, la primavera di Praga avrebbe conosciuto non l’estate, ma un precoce, grigio inverno, riscaldato solo dal rogo di Jan Palach. Non mancano, in queste pagine, le memorie di scorribande nelle librerie antiquarie delle città dell’est d’Europa, episodi esilaranti verificatisi alle dogane. Mirabile la descrizione di Parigi, pensata quale città doppia: del fasto imperiale e della mediocrità degli urbanisti alla Haussmann: «nella Parigi minore, si sente il surrealismo nell’aria, lo si vede sorgere dalle cose come un fungo bizzarro sul terreno di un realismo avaro, chiuso a lusinghe di abbellimento» (p. 281).    Buscaroli pratica la sprezzatura, riesce a celare nell’oggettività della scrittura i sentimenti che lo animano, prendendo distanza da loro, senza ostentazione. Noblesse oblige.