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Rubriche Editoriali

rubrica editoriale

  • Azzurre Lontananze Sessa Le Bon IDUNA

  • Sul viaggiare e sulla tradizione
  • di 
  • GIOVANNI   DAMIANO
  • (da  "Pagine Filosofali"  del 22.06.2022)

  • Uno dei feticci del nostro tempo è il viaggiare, il ‘conoscere posti’. Che poi il viaggiare per ogni dove si traduca in esperienze è tutt’altro discorso. Anzi, proprio quest’ossessione per il viaggio è probabilmente uno dei segni più evidenti dell’attuale fine dell’esperienza, intesa quest’ultima come trasformazione profonda, vissuta in modo radicale e autenticamente arricchente, e non come superficiale coinvolgimento, meramente emotivo, dettato dalle mode del momento. Si tratta di quella condizione denunciata già da Arnold Gehlen nel suo L’uomo nell’era della tecnica, dove la perdita dell’esperienza finiva per corrispondere a quei poveri e vuoti simulacri che sempre il grande studioso tedesco definiva esperienze di seconda mano.   A ciò possono accompagnarsi alcuni versi di Gottfried Benn (la poesia è Viaggi, dalla raccolta Frammenti e Distillazioni). Qui a parlare è il Benn tolemaico, lontanissimo da ogni convulso ‘andare’, refrattario alla fretta, indisponibile al Nerven leben moderno:
  • ...
  • “Lei crede che dalla Havana, bianca e rossa d’ibisco, sgorghi un’eterna manna per la sete del Suo deserto?  ...Su tutte le Fifth Avenue Lei è assalito dal vuoto – Ah com’è vano l’andare!   Lei tardi apprende se stesso: restare e in silenzio serbare l’io che si traccia i confini”.
  • ...
  • Alternative possibili, oltre lo ‘stare’ di Benn? Quella che Walter Benjamin chiamava “inquietudine irrigidita”, che quindi “non conosce sviluppo”; si pensi a Dino Campana (“non potevo stare in nessun luogo”), al Lenz dell’omonimo racconto di Büchner, o a Fuga senza fine di Joseph Roth. Oppure si leggano le pagine dell’ultimo libro di Giovanni Sessa, Azzurre lontananze. Tradizione on the road, appena uscito per i tipi di Iduna, per apprezzare un altro possibile modo di viaggiare, quello che, pur partendo da esigenze in fondo generazionali (a confessarlo è l’autore, e a testimoniarlo è l’on the road del sottotitolo), si apre a una dimensione altra, che è quella della tradizione. Con due guadagni evidenti: presentare la tradizione non come sterile trasmissione di un patrimonio statico e atemporale, bensì come esperienza, alla lettera, in cammino, dinamica e diveniente, e dunque senza fossilizzarla alla stregua di un deposito erudito di conoscenze, ma trasformandola in prassi vitale, in esperienza esistenziale.   E anche il linguaggio utilizzato da Sessa rende bene la freschezza e la vivacità di questi viaggi, privo com’è di inutili appesantimenti intellettualistici o di verbosa retorica.
  • ...
  • C’è poi un significato ulteriore, che attraversa sottotraccia l’intero testo, rinviante alla ‘costellazione geografica’ disegnata dai viaggi dell’Autore. A mio avviso, una ‘costellazione’ in fondo, e non casualmente, indoeuropea. Non dirò nulla dell’Oriente (viaggi in Nepal, in Pakistan e nel Karakorum, e in Mongolia) per mancanza di conoscenze ed esperienze al riguardo. Per i viaggi in Irlanda e soprattutto Islanda, mi sembra che Sessa si sia mosso seguendo il medesimo impulso dei Greci, ovvero guardare all’Estremo Nord come sede dei mitici Iperborei e ripercorrere le orme di Pitea che, risalendo l’Atlantico da Gibilterra, raggiunse le isole britanniche e forse il circolo polare artico, avventurandosi nel grande Nord e scoprendo l’isola di Thule (forse la stessa Islanda).  In definitiva, uno sguardo sull’altrove, ma per cercarvi il proprio.

  • Civilizzati fino alla morte
  • C.  RYAN
  • Civilizzati fino alla morte
  • Il prezzo del progresso
  • rec.  di
  • Giovanni Sessa
  • La Modernità, fin dai suoi esordi, non ha celato il proprio mito fondativo: l’idea di progresso. Nell’ultimo periodo, nonostante i tentativi messi in atto, a sostegno di tale mito, dai grandi mezzi di comunicazione di massa, qualcuno comincia a dubitarne seriamente.   Lo conferma la recente pubblicazione in lingua italiana del volume di Cristopher Ryan, noto pubblicista e scrittore statunitense, Civilizzati fino alla morte. Il prezzo del progresso, comparso nel catalogo di Odoya editore (pp. 286, euro 20,00).   Di fronte ai drammi ecologici del nostro pianeta, ai disastri ambientali indotti dal cambiamento climatico, al dramma sanitario-politico della pandemia globale, cui abbiamo assistito negli ultimi due anni e, in ultimo, all’esplodere della guerra russo-ucraina le cui conseguenze potrebbero rivelarsi tragiche per le sorti dell’umanità, le pagine di questo libro risultano, non solo di stringente attualità, ma chiarificatrici rispetto al nostro futuro.
  • ...
  • Si tratta di un volume che mette in discussione il senso comune contemporaneo e le sue false certezze: «Malgrado i prodigi del nostro tempo […] ci troviamo in un’epoca di profondi sconvolgimenti» (p. 13). Un ipotetico viaggiatore del tempo, proveniente dal più lontano passato, di fronte all’innovazione tecnologica della nostra epoca, all’inizio, sostiene Ryan, rimarrebbe sicuramente abbagliato, affascinato.      Una volta: «attenuatosi lo stupore per gli smartphone, i viaggi in aereo e le automobili […] che cosa direbbe della sostanza e del significato delle nostre vite?» (p. 13). Constaterebbe che, nonostante i rilevanti “progressi” materiali, ci siamo lasciati alle spalle un patrimonio di valori dei quali non abbiamo più alcuna consapevolezza. Del resto, che le popolazioni “primitive” non mostrassero alcun interesse nei confronti della “civilizzazione” moderna, ne ebbe contezza Benjamin Franklin.   Questi riferì che i “pellerossa” da lui incontrati non avevano mai: «avuto la benché minima inclinazione a scambiare il loro modo di vivere con il nostro» (p. 13). Per non dire degli indios che Darwin portò con sé in Inghilterra, per farli “istruire” da docenti che gli inculcassero i valori della civiltà occidentale e che, una volta tornati in Sud America, fuggirono dalle sue “cure” per vivere con il proprio popolo, felici della vita da raccoglitori-cacciatori.
  • ...
  • Carl Jung ha notato come la stessa idea di progresso costringa gli uomini ad allontanarsi dal passato, a dimenticalo: tale necessità ci ha proiettati nel futuro e nelle sue chimeriche promesse di un’età dell’oro sempre di là da venire. Le promesse del continuo miglioramento della nostra sorte sono state mantenute?   Ryan risponde negativamente. Ricorda che, nel 1928, l’economista Keynes pensava che di lì a un secolo le sorti dell’umanità si sarebbero evolute a tal punto, che gli uomini avrebbero dovuto risolvere un solo problema: occupare il tempo libero, visto che le tecnologia ci avrebbe liberati dalle incombenze lavorative e dal bisogno economico.   E’ accaduto esattamente il contrario. A fronte di un numero limitatissimo di “ricchissimi”, il capitalismo “cognitivo” ha prodotto masse di diseredati.   Il 44% degli statunitensi che guadagnano tra i 40.000 e i 100.000 dollari l’anno, non possono contare su 400 dollari in caso di pressante necessità.   Tra il 1990 e il 2014 il PIL è aumentato negli Usa del 271%, nello stesso periodo le persone che vivevano con meno di 5 dollari al giorno sono cresciute del 10% e quelle che soffrivano la fame del 9%.
  • ...
  • L’autore precisa: «Non contesto l’effettiva realtà del progresso in alcuni ambiti, ma nutro i miei dubbi sulle modalità in cui può essere concettualizzato e misurato» (p. 17). L’idea di progresso assoluto è pertanto una chimera o, al più, una speranza che rispetto ai disastri del presente svolge funzione ansiolitica. Per questo, l’importanza del libro in questione va rintracciata nel suo mettere in discussione “la narrativa del progresso perpetuo” che a partire da certa cultura rinascimentale, attraverso Hobbes, è giunta sino a noi.   Tale falsa narrazione dello stato delle cose, nel corso dei secoli: «ha giustificato schiavitù e […] colonialismo» (p. 26), pur essendo fondata su un’asserzione apodittica di tal fatta: «in passato, tutto era decisamente peggio» (p. 27).   Insomma, il nostro autore, con una strumentazione culturale diversificata e metodo d’analisi pluridisciplinare, smantella radicalmente il dogma moderno, proprio come, nel corso del tempo, hanno fatto gli autori tradizionalisti. Il libro, nella sua prima parte, analizza le: «informazioni più salienti sul reale stile di vita dei nostri antenati» (p. 28), anche preistorici, tentando di liberare la nostra visione delle epoche storiche più lontane dal pregiudizio progressista.   Mostra, inoltre, nei capitoli seguenti, come la “narrativa del progresso perpetuo” abbia determinato traumi e sofferenze di grande rilevanza.   Nella conclusione del volume viene ipotizzata una nuova narrazione possibile relativa alla nostra origine.   Ryan, si intrattiene, alla luce di queste tesi decisamente altre rispetto all’intellettualmente corretto, su un possibile avvenire dal tratto nuovo-antico.
  • ...
  • Oltre che attuale e sferzante nei confronti della cultura dominante, è un testo dal tratto profetico.

  • CURZIO VIVARELLI quado similfantesca

  • La fantesca in casa Bismarck 
  • novella futurista con illustrazione
  • di
  • Curzio Vivarelli
  • La fantesca di casa Bismarck era di origine italiana. Accolta nella magione del Cancelliere ancora fanciulla vi era cresciuta imparando la vita d'una gran casa con ospiti quali ministri e junker e diplomatici e generali in una capitale europea!
  • ...
  • Il Cancelliere che ne apprezzava il temperamento naturale unito ad un garbo innato non perdeva occasione d informarsi sulla sua educazione e sui suoi desideri. Aveva notato, fra l'altro, che questa giovane donnina metteva del gusto nel riporre ed ordinare i numerosi quadri che venivano recati in dono alla magione cancelieresca. Sappiamo dai biografi e dai cronisti di fine ottocento quanto poco tenesse in conto, il Bismarck, le "croste", spesso di pittori di fama!, che finivano, dicevo, appoggiate fra pavimento e parete, abbandonate a celebrar il fasto dell'arte giusto all'altezza degli occhi dei cani che facevano compagnia al burbero Cancelliere temprato alla solitudine e agli occhi intenditori del gatto di casa. Primo effettivo esempio - davvero futurista!! - di un'arte plastica finalmente fruibile anche da animali domestici ed istruiti...
  • Dunque il Cancelliere, che dai più si crede attento solo ai desideri di ministri e di monarchi (spesso questi ultimi corti di comprendonio) e dame e industriali di quella Berlino inquieta e volitiva, aveva un riguardo curioso per la cura che la fantesca metteva nello spolverare e mettere i quadri di quella che sarebbe potuta benissimo essere una esposizione futurista di pittura per cani a gatti in bell'ordine e seguendo una certa affinità di temi!
  • ...
  • Al punto che un dí, invece di comunicare con la fanciulla pel tramite dell'anziana capocameriera di casa il Cancelliere volle interrogarla da sé. Ora non scomodiamo assolutamente inclinazioni dell'affetto: al Cancelliere era bastata ed avanzata di molto la famosa vacanza di Biarritz con la dolce Katharina Orlow, nata contessa Trubezkoy, e tollerata dalla piissima Frau von Bismarck che sapeva, ne va dato lealmente atto, riconoscere i propri limiti passionali di moglie devota e madre esemplare.
  • ...
  • Al Cancelliere era gradita la presenza timida di quella fanciulla italiana spontanea e con uno stile che oltrepassava il proprio modestissimo rango, punto e basta.
  • ...
  • Sta di fatto che un dí, appunto, egli volle parlar con costei e dopo i convenevoli dell'etichetta, le chiese senza preamboli se gradisse in dono uno di quei bellissimi quadri ch ella sempre spolverava e poggiava con garbo. Era un pretesto invero anche nobilmente generoso per disfarsi d'uno almeno di quei quadri ai quali la sua sensibilità di arbitro del destino di Prussia, prima, e poi d'un Reich attribuiva appunto l'importanza pari a quella della posizione: labile alquanto e adeguata se sia fra pavimento e parete.
  • ...
  • La giovine donnina palesemente intimidita accettó ma con un lieve disappunto del Bismarck che sperava levarsi di torno delle grosse tele celebrative e retoriche recanti in casa null'altro che intrigo, disordine (se non le si appende debitamente...) e soprattutto polvere, si scelse un piccolo panorama paesano debitamente incorniciato. Scelta che ora riconosciamo obbligata quasi visto che il soggetto le rammentava il bel paesaggio natío...
  • ...
  • E se lo appese, usando chiodo e martello, nella sua cameretta berlinese entro la dimora del Cancelliere di ferro.


libro/manifesto: "Per una NUOVA OGGETTIVITA'. Popolo, partecipazione, destino". Autori Vari, Heliopolis Edizioni

 

 
 
il
LIBRO-MANIFESTO:
1 Copertina pagina frontale LIBRO MANIFESTO
 
 
  • "Per una NUOVA OGGETTIVITA'.
  • Popolo, partecipazione, destino"  
  • AUTORI  VARI
  • Heliopolis Edizioni   (2011-2012)
 
 
 Oltre 90 contributi scritti,
circa 150 adesioni,
 
il 
LIBRO-MANIFESTO
è stato il massimo sforzo teorico della società di pensiero Nuova Oggettività, (2010-2015) giunto alla fine di 2 anni di incontri, le premanifesto,  laboratori a tema organizzati in varie città con moltissimi partecipanti.  Noi crediamo che rappresenti un ottimo punto d'arrivo in ordine ad una elaborazione teorica che da decenni non trovava più un composito eppur penetrante sguardo d'assieme e pur essendo, intorno al 2015-2016 esauritasi l'esperienza della comunità funzionale prima allargata e poi ristretta per molti motivi dovuti
principalmente a fattori interpersonali  (tra cui l'improvvisa scomparsa di uno dei fondatori Gian Franco Lami e la divaricazione definitiva di alcuni peripli esperienziali), rimanga a tutt'oggi una grande esperienza
paragonbile a pochissime altre del dopoguerra,
nel nostro mondo ideale...
(s. g.)
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TAVOLETTA Heliopolis NON AVER PAURA DI DIRE

Tavoletta NON AVER PAURA DI DIRE

  • Tavoletta  Heliopolis
  • 42 AUTORI
  • "NON AVER PAURA DI DIRE"
  •   Collana Tabulae 
  • Questa pregiata tavoletta Heliopolis esce in parallelo con un e-book stesso testo.
  • Ma al di là della ormai storica collana a cui tanti scrittori hanno partecipato,
  • cosa ricerca questo doppio filosofico e comunicazionale?
  • Se è vero che oggi è improponibile non cercare di comunicare e nello stesso tempo tutto si sfilaccia nella quantità e nell’indifferenziato, allora questo ossimoro vivente, questo duplice registro serve a soddisfare un’esigenza ineludibile rimanendo fedeli alla profonda vocazione
  • ed evocazione del bello nella sostanza (che è forma),
  • aggiungendo e non sottraendo.
  • Contenutisticamente gli autori perseguono una propria ricerca di verità e di coraggio,
  • oggi altrettanto
  • preziosa. 
    • 130 pagine,
    • n 100 copie numerate,
    • ULTIMI  ESEMPLARI
    • con copertina lignea incisa laser,
    • costo 50 euro.
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Il Cavallo del Fato

 

 

Scultura:

"IL CAVALLO DEL FATO"


1 Cavallo del Fato fianco 1

"IL CAVALLO DEL FATO", Scultura di  Sandro Giovannini,   2017
(alt. 3 mt., lungh. 2,50, largh. 1, materiali vari)

 

  •  I 
  • Memoria

La scultura nasce come una sfida ideale al tempo attuale e riporta una passione ed una cura priva di orpelli, essenziale, significativa. Non è solo un rischioso tentativo di ripercorrere con un passo lento e progressivo un mito antico che è andato consumandosi nei secoli quanto una prova che un uomo costantemente può compiere per riprendere il discorso dell’origine, sempre possibile.  (1)

L’incudine ed il martello sono la stessa materia umana sottoposta alla legge entropica che prima dà e poi toglie e poi ridà ancora, senza alcuna pietà, nel primo senso e nel secondo. La pietas invece è tutta nella ricostruzione che un uomo compie, accanto al suo totem, reggendolo per le redini, alleato di spazi e conquiste da tempo immemorabile, come astro di riferimento tra alcuni altri, in una ferma costellazione teologica, sapendo che può perderlo e perdersi con esso. Il cavallo, “scuotitore della terra” (enosichthon), catafratto, dedicato, sacrificabile. Il racconto dice infatti del cavallo come inganno per conquistare Ilio, ma noi sappiamo bene, dagli scavi nel sito di Troia, non risultare affatto un insediamento acheo nella città. (2) Quindi l’inganno che fonda il mito potrebbe rivelarsi duplice; il cavallo simbolo del terremoto, innegabile travaglio di un sommovimento comunque avvenuto, sacro a Poseidone, ma gestito dalla potenza astuta ed atroce di Atena, prima come Palladion teucro,  poi come Vittoria romana, (3) valido a fondare forse una falsa sconfitta dalla quale promana una certa vittoria, anch’essa senza tempo. E’ l’antica storia dell’incudine e del martello, ove l’uomo, il fabbro, l’artefice, l’ingannatore, il distruttore, infine il fondatore e il pio, riesce, assieme al suo antenato, a caricarsi addosso la sua colpa, la sua paura ed il suo coraggio, tutti inevitabili al destino ed affrontabili nella vacuità.   (4)

 

 

  • II
  • Confronto

Confronto sui materiali. Il legno innanzitutto, scarto delle navi e dei tanti apprestamenti, ora scarto di produzione nell’immane mercato in cui siamo immersi tutti e dell’altro legno, invece, molto prezioso, a tasselli di mosaico radicali e profumati, lavorati uno per uno. E poi il piombo greve della condotta sotterranea e della lotta di fronte, usbergo di ogni scontro a viso aperto, richiamo al duplice materiale tossico dell’esistenza ma anche immune alla corrosione, dialettico come sconfitta e riscatto. La pesanteur come dimensione, inevitabile, di fondo. La commistione dei materiali e delle forme attira il già detto della “scrittura esterna”, (5)  con un’approssimazione al rispecchiamento dello spettatore nella torre merlata e nell’antico muro di truia, che avviene al punto più alto della rappresentazione umana e dell’utopia, con l’iscrizione della profezia di Enea, che instaura la nostra vera storia e che rimanda, nel suo rito lustrale e fondatore, al tanto giovane perdurante ed attestato lusus troiae, (6) labirintico parto della memoria ancestrale. (7) Ma su tutto dominano le dee, ambedue già consumate da secoli e sempre in complessa diatriba tra racconto letterario e mito, già copie di copie, la Minerva Tritonia del sacello di Enea a Lavinio e quella romana dell’Altare della Vittoria, sottostante, inquieta nei suoi ultimi anni di vittoria, quasi ad invertire (e ribadire) la partenza nemica e disastrosa. L’inganno, la divergenza e la rovina, incombono perennemente come le due dee, una sopra composta dall’autore in arte di terra sull’altra, trovata, in fusione di bronzo. Il rispecchiamento duplice quindi avviene anche nella materia più dura e significativa e non solo nell’immagine alta e transeunte che noi proiettiamo di noi stessi, sulle pareti cangianti del tempo. Il bronzo è l’altro che domina dal livello della sua epoca a ricordarci che non tutto, anche oggi, è necessariamente di plastica.

 

  •  
  • III
  • Atteggiamento

L’autore non cerca nulla che non sia nell’opera, quindi il lavoro più volte rifatto, non solo il progetto presuntuoso, l’affidamento costante, la protezione ormai benevola, quotidiana, persino il possibile gioco infantile per un ideale destinatario, ragioni semplici di un asseverarsi nei sempre perseguiti sogni della giovinezza, il tutto nella compagnia di una bestia, possiamo dire, non tanto immaginaria quanto storica. Che, nel suo alternato passaggio da sconfitta a vittoria, perenni, non inganna e non tradisce più. E’ un segno continuo, forse pesante ma caldo. L’animale viene ancora offerto in sacrificio allo sguardo di favorevoli e contrari, non sappiamo più quanto capaci realmente di vedere questo, fuori dagli ammiccamenti di mercato; determinato invece, nella proiezione fantastica, ad un sacrificio ben più ampio, ad una storia che non si arresta neanche con la caduta, apparentemente irreversibile, del racconto iniziale... Quindi più che il cavallo troiano qui vi è il cavallo del fato, ovvero un processo che mai trova requie e spiegazione piena se non in una auto rappresentazione che forse sa meno ordinatamente della storia, sperimentando più sapientemente il mito...

 

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