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Rubriche Editoriali

rubrica editoriale

 

Presitoria della Phantasia


  • La preistoria della
  • Phantasia
  • Una raccolta di saggi su un tema filosofico cruciale
  • rec. di
  • Giovanni Sessa

  • È nelle librerie un volume davvero interessante, che induce il lettore a confrontarsi con un plesso teoretico di grande rilievo. Si tratta della raccolta di cinque interventi che gli autori tennero in un seminario tenutosi nella tarda primavera del 2023 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Ci riferiamo a, Per una preistoria della Phantasia, edito da Istituto Italiano per gli Stufi Filosofici Press (per ordini: info@scuoladipitagora.it/iisf). Nel testo, curato da Mauro Serra, sono contenuti i contributi di Alessandra Manieri, Alessandro Starvu, Roberta Ioli, Daniele Guastini e dello stesso Serra. Nella Premessa, il curatore chiarisce le ragioni di questa pubblicazione: indagare la “preistoria della phantasia”. Nel pensiero greco, infatti, riferimenti espliciti al termine oggetto di indagine, di fatto li si rinviene solo in Platone e in Aristotele. Di contro, i cinque studiosi sono convinti che la phantasia abbia rivestito un ruolo significativo anche nell’Ellade arcaica, a muovere da Omero. Dalla lettura si evince, inoltre, la discontinuità tra l’idea di phantasia ellenica e la nozione di “immaginazione”, impostati a partire da Kant.
  • ...
  • Alessandra Manieri compie l’esegesi della poesia omerica con l’intento: «di mostrare […] la stretta relazione esistente tra la “fantasia”di Omero […] e la creazione di un linguaggio poetico […] contrassegnato […] dalla trasmissione orale» (p. 12). Nella poesia arcaica, ne ebbe contezza Vico, parole ed espressioni: «sono “immagini delle cose”» (p. 13). Tale forma originaria della lingua è anteriore al lógos che, comunque, la presuppone. Non casualmente, Aristotele si soffermò su relazioni e differenze intercorrenti tra metafora e similitudine. La seconda non è immediatamente piacevole, ha struttura più ampia rispetto alla prima: «la metafora attiva un processo di apprendimento, con cui la mente si allena a cogliere le analogie, che non segue le vie del ragionamento logico» (p. 16). Le similitudini sono metafore che necessitano di una spiegazione ulteriore, integrativa. Manieri si intrattiene su molti luoghi dell’opera omerica, mostrando come in essi sia evidente il continuo gioco di metafore e similitudini. Le parole coniate dal poeta sono imitazioni di voci, suoni naturali, create su base percettiva, che vengono, di continuo, poste in relazione: «attraverso un crescendo iperbolico» (p. 24). L’argomentazione dell’autrice è sostanziata da vaste conoscenze filologiche, che mostra in qual modo l’ascoltatore venga indotto: «a visualizzare con la sua immaginazione, la rappresentazione» (p. 32) presentata, di volta in volta, dal poeta. Significativa la constatazione che l’uomo greco arcaico: «aveva una concezione della natura […] provvista di un’anima» (p. 34).
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  • Il saggio di Alessandro Starvu si focalizza su una caratteristica della fantasia messa a tema da Aristotele, che è presente nella trattatistica successiva, almeno fino alla Seconda Sofistica: «Si tratta della nozione di “ostensione ecfrastica”, ovvero della capacità della phantasia di visualizzare […] condurre sotto gli occhi della mente, un qualsivoglia argomento» (p. 41). Tale “porre sotto gli occhi” è compiutamente alluso dalle parole greche enérgeia ed enárgeia, “efficacia” e “vividezza”. Ciò implica che tale “vedere immaginifico” abbia tratto immediatamente persuasivo. L’autore chiarisce che la “vividezza” in Omero rimanda alla “lucentezza”. Il poeta è letto quale pittore, in forza dell’affermazione di Simonide per la quale: «la pittura è poesia silenziosa, la poesia pittura parlante» (p. 45). Starvu procede, con persuasività d’accenti e competenza filologico-filosofica, all’ekfrasis dello scudo di Achille. Chiarisce, in particolare, che la poetica omerica è centrata sul “guardare luminoso”: «che sottende un brillare di gioia tipico del mondo arcaico» (p. 46).
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  • Cruciale è il saggio di Roberta Ioli. La studiosa si sofferma su Anassimandro, mostrando il tratto visionario-immaginativo della sua filosofia: «Immaginando di poter osservare la terra dal cielo […] egli arriva a tracciare su una superficie a due dimensioni l’intera estensione delle terre e delle acque, e contribuisce a creare una nuova immagine del cosmo» (p. 87). La sua carta è un phantastón, un oggetto immaginario. La stessa evidenza è attribuibile a Senofane che, a proposito della natura degli dèi, utilizzò lo stratagemma del “controfattuale” capace di: «restituire presenza a ciò che non è o non sarà mai, se non nell’evocazione del possibile» (p. 89). Il filosofo inventa e, con lo scrivere o il disegnare, testimonia la possibilità dell’impossibile, che inaugura una catena deduttiva. La fantasia ha, quindi, implicazioni teoriche e pratiche. Gorgia chiarisce come i primi “fisici” tendessero a cogliere nel visibile l’invisibile. Il sofista si pone oltre l’interdizione eleatica del non poter dire gli esistenziali negativi, sostiene la possibilità di pensare il non-essere, al fine di destrutturare le certezze apodittiche e statiche. Aristotele ha precisato i due tempi che agiscono nel processo di immaginazione, il passato vicinissimo e il futuro imminente. Essi azzerano: «la distanza che li separa dal presente, […] dall’attualità della vita» (p. 100). La vista incide nell’anima immagini, frutto di esperienze. Esse sollecitano emozioni ma attivano, altresì, il processo conoscitivo. Come colse Guido Calogero, la logica noetica precede quella dianoetica. La fantasia non produce semplici descrizioni dell’esistente: «la capacità immersiva del lettore (o ascoltatore) è tanto più intensa quanto meno il processo immaginativo è soffocato dai dettagli narrativi» (p. 108).
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  • Daniele Guastini discute la differenza che distingue la phantasia greca dall’Einbildungskraft, l’immaginazione moderna. Lo fa attraversando criticamente, in modalità organica, le posizioni platoniche e quelle aristoteliche, guardando alla nascita dell’estetica moderna con Kant. A suo dire, immaginazione è il nome attribuito dalla modernità alla capacità di anticipazione soggettiva della conoscenza propria della fantasia. Verso di essa: «l’antichità nutriva […] non pochi sospetti» (p. 139), animata com’era da un forte radicamento ontologico, dall’idea di un mondo fondato, “vero”.
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  • Mauro Serra, a proposito della fantasia, si pone il seguente quesito: «è possibile, e come, rintracciare una preistoria di tale concetto di cui si ritrovino poi tracce nella speculazione filosofica vera e propria?» (p. 143). Lo studioso prende le mosse da una cornice teorica generale, la relazione tra visione e linguaggio, dalla quale si può tentare di rintracciare una risposta plausibile alla domanda. Nella poesia aedica a vedere realmente sono le Muse, di contro, a “far vedere” sono: «le parole con cui l’aedo restituisce “con ordine” la stessa sequenza degli avvenimenti», visti, in presa diretta, dalle Muse (p. 160).  “Ricordando”, grazie alla divina Memoria, gli aedi aprivano per l’ascoltare la possibilità di accedere alla dimensione invisibile del reale.
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  • La fantasia, come seppero Giorgio Colli ed Ernesto Grassi, ha a che fare con uno sguardo sul mondo che non si contrappone astrattamente al discorso logico, ma ne costituisce l’antecedente e il presupposto.  Una lezione di grande rilevanza.
  • AA.VV., Per una preistoria della Phantasia, a cura di M. Serra, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, pp. 165, euro 18,00.

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  • Karl Evver

  • Sandro Giovannini legge
  • Jakob Shalmaneser
  • (Karl Evver)
  • “LIBER M.”
  • Messaggero giunto alla terra
  • alla quale fu inviato
  •  quarantasei anni dopo
  • essere partito.

  • La verità è nuda... (¿quid est...? poi),  ¿ma la verità della scrittura è proprio nuda?, anche se Lui lo diceva, lo propugnava e continuamente lo negava per la sua ineliminabile lucida commistione sensistico-intellettuale. Personalmente temo d’essere del tutto inadeguato a parlare di questo libro. Lo dico in sincerità e non per vezzo. Perché quasi ad ogni passo mi viene da stupirmi e da incorrere in baratri di senso, che hanno il potere di avvicinarmi ed allontanarmi assieme... non da Lui, non da Lui, ma da me stesso.  E mi viene sconcerto al solo pensare a quali infiniti tesi dialoghi - non onesti e lieti conversari decameroniani, ma felici confrontazioni di passione conoscitiva - avremmo potuto esperire assieme e magari non con libidine esclusiva ma quasi inclusiva, più come utopia, ovviamente de-illusi, che come potenzialità reale.
  • ...
  • C’è quindi una sola soluzione, sottoporsi alla sua lettura dura e prodigiosa di scoperte, di provocazioni vere, sempre al limite di una metafisica immanente che entra da ogni lato del nostro corpo, vile e splendente, esultante nello scatenamento della continua ricerca interiore ed assieme rattenuto dalla discrezione stoico-stilistica, per vie e passaggi indiscutibili che però spesso non riusciamo neanche a prevedere. Ora... come direbbe qualche amico che in proposito ne sa più di me, questa non è l’originalità intellettualoide che fa la felicità del supposto salotto buono, nichilista in visita all’ikea, ma la scansione originaria di tutte le informazioni penetranti ma molto concrete  e di tutte le ancor più decisive riflessioni che possiamo farne di seguito, per riscoprirci totalmente aperti all’immensa e pervadente physis che irrompe in tutti coloro che - oltre ogni prosopopea - abbiano il coraggio d’aprirsi ad essa e ne traggano molta convinzione. Nel suo caso più che molta, pervasiva gioia, allargata all’ascolto per statuto interiore, pur nella sferzante capacità di rielaborazione. Questa sferza non rinuncia a colpire attorno a sé - Lui non è mai vigliacco o reticente - ma è utilizzata perlopiù come una sorta di cilicio di rammemorazione, di scavo nell’infanzia di ogni ordine e grado ed in quella maturità della comune convivenza degli assetti del vivere assieme che dovrebbe essere di tutti i migliori e che invece è così estremamente rara.
  • ...
  • Citazione:
  • «(...) Giungere, hegelianamente, dove le determinazioni dell’intelletto non hanno più valore, e, senza hegeliana ansia sintattica, restarvi.  A chi mi rimproverasse l’assenza di forma accattivante e di direzione chiara di questo libro, risponderei con le parole di Giulio Preti: non si crea con la certezza che ciò che si fa abbia un valore eterno, ma si costruisce faticosamente ciò che si sa che sarà distrutto.  Non simulare forza, ma non negare la forza implicita dell’individualità biologica. Non supporre di avere un contenuto importante, ma non abortire meschinamente il perpetuo uscire di forme dall’informe. Ciò che non ha forma produce incessantemente la forma e, una volta creata, la distrugge, diceva Chang-Tse con bel piglio, ed è una polemologia che non intendo disconoscere e che spero cauterizzi sempre più il mio dolore per talune distruzioni. (...)» (...fine citaz.)
  • ...
  • Più o meno, l’incipit logico, il preambolo della accettabilità - in gloria tutta onirica - della sua scrittura. Infatti tale accettabilità, al di là della doverosa ammissione dei pochi, è una strada in ripidissima salita che si potrebbe (forse) solo addolcire tramite il concorso della fama e del successo mondani, giusti o sbagliati, ma facilitatori sempre di tutto e di tutti. Proprio quel discrimine, non non-tentato, ma non autoimpostosi ad ogni costo, rende impossibile per Lui la facile intrapresa della salita assieme ad altri. Infatti sono proprio ben pochi, oltre alle grandi anime che ho riconosciuto, dopo anni e anni, su quella strada. Tra i più sedicenti mi è capitato di scoprirne qualcuno più o meno felicemente isolato, pur essendo, io, ideologicamente contro i paletti nominalistici o falsamente sostanzialistici delle tante e meritorie bravure parziali, utili, necessarie, persino sacrosante. Oggettivate realmente in tante, tante persone. Ma Lui no, disprezzava il porsi in vendita mettendosi in mostra, come facciamo quasi tutti, e ne ha pagato il prezzo senza sconti. E qualcuno potrebbe dire, non a torto, che tutto sommato e detratto ha avuto qualche rara intelligenza che lo ha stimato di molto da sempre e che questa è già una remunerazione grandiosa per la “verità”. Ma non per la “vita”... quando si ha una exuperantia come la sua.
  • ...
  • Citazione:
  • «(...) Mie, alcune spinte centripete implicate nella Raumform di questo libro, ma larghe le tante anomie per le quali respira.  Concordando con Bataille quando constata che un non-senso, come tale, sfocia in un senso qualsiasi, non do a queste anomie chissà quale valore di libertà del testo. Nessun brano di questo testo presuppone quello successivo o rinvia ad esso dal proprio interno significato: tutti assieme, vanno dove non vorrei che andassero.  Decido io di chi è il messaggio che il messaggero, una volta asciugati avambracci e mani nello strofinaccio di olona rigata che gli ho porto, certamente mi consegnerà. L’insopportabile selva di maiuscole che mi si aprì davanti passando dal tedesco vissuto oralmente a quello tracciato su carta fu tra le cause dell’averlo poi con così tanta gioia tranciato via da me, o è questo un addendo causale che presto adesso al me bambino man mano capace di scrittura, e di un proprio stile entro questa scrittura?  Adesso, ad esempio, ho voglia di un brano dove salgano nel bianco tante maiuscole, ma chiederò ai popoli di svolgere questa funzione, non a un qualche lungo excerptum di Heidegger.  Il messaggero, infilato nell’anello al muro lo stofinaccio umido, non guarda nella sua borsa, non vi cerca dentro quando dovrebbe consegnarmi.  Du grand, grand art. Non dare ciò che è atteso. Non fare ciò che si vorrebbe fare. Non riprodurre fotograficamente quanto fatto. Non pubblicare quanto scritto. Non rileggere quanto scritto. Non imporre allo scritto un senso più alto della morte in cui termina qualunque possibilità di lèggere scritti. (...)».  (...fine citaz.)
  • ...
  • Il “messaggero” a cavallo, che è il mitico alter ego del tempo suo dell’infanzia, quindi il testimone atono, ma in presenza finalmente giunta del suo prima e del suo ora, colui che lo costringe proprio a tirare le somme in questo suo libro terminale, gli lascia totale capacità di dire quello che si sente di dire, nel modo che affacciavo prima, ovvero con sovrano disprezzo della leggibilità. Ma a differenza della lamentela prevedibilissima dei non letterati, tale non-leggibilità non fa il paio con la prosopopea dei colti  di mestiere, che anzi odierebbero subito questo testo che distrugge alla radice ogni loro velleità di consistenza materiale. Perché quel semidecalogo di cui sopra è - anche per loro - indigeribile.  Ma osserviamone un altro:
  • ...
  • Citazione:
  • «...(...) Non taccio, eppure sono sconosciuto. Non grido per essere conosciuto, perché non sono infante, e anzi le parole che conosco sono tante. Il ridicolo della mia vicenda non è per nulla incongruo al ridicolo consustanziale alla Storia.  Un conto è una sedia, un conto è la sedia su cui poggia il mio culo e sale inclinata la mia spina.  I giudici che si rifiutano di analizzare le prove sono quelli con maggiore coerenza allo scopo della giustizia. Che non è quello di frenare l’anomia della realtà né quello di distinguere, in un evento, il violento dal violentato, ma quello di ferrare ancóra più strettamente il racconto breve e ripetutissimo che della realtà il potere vigente vuole sia dato (a sostituirla, non a renderla visibile).  Il diritto al tetto e al pane non mi è garantito da alcuna istituzione pubblica ed è promesso da quelle forze contestatarie infinitesimali nessun aderente delle quali ricopre mai incarichi pubblici o determina concretamente la politica nazionale. Non me lo garantisce l’attività letteraria. Che mi consente però di capire come tetto e pane siano sostantivi utilizzati dalla retorica della povertà per la loro arcaica risonanza di necessità anteriori a qualunque lusso terminologico e tecnologico dei nostri tempi. Quasi a interrompere chi spiegasse complicatissime ragioni sociologiche ed economiche della mia miseria e a fingermi primitivo e scortese, alzando prima un braccio e a muoverlo, a significare un tetto sopra la mia testa, e poi portando le dita della mano alla bocca aperta, a significare il mangiare.   Il naso dell’estraneo avverte con migliore scienza i limiti dell’aerazione dell’alloggio, rispetto a chi vi risiede.  Della propria verità, è facile non avvertire quanto vi va marcendo per mancato spostamento degli elementi.
  • Le interrogazioni successive con le quali è costruita la maieutica socratica sono contraddistinte da diverse brutture.
  • I - Non vi è, quando l’altro risponde, nessuna modifica muscolare nella faccia del maieuta nell’attesa di un concetto migliore del proprio, ma il persistere fastidioso dello stesso sorriso per l’imminente trionfo della propria tesi;
  • II -   vi è come obliata l’importantissima seconda metà del noto detto: rispondere è cortesia;
  • III - vi si avverte l’alito acido del voler convincere, che è il vincere rachitico di chi non guida eserciti;
  • IV - non sta parlando a bambini, eppure sembra chieda loro la manina per portarli dove da soli non si dirigerebbero;
  • V - intendi chiaramente che non vuole concludere, ma chiudere agli altri la strada del proprio pensiero;
  • VI - abituando l’orecchio e la mente dopo di esso a una semplice successione di domande, va a perdersi quella sincronicità inespressa, inesprimibile, alogica ed esistenziale di cui è fatto l’uomo e sono fatti tutti gli uomini della società in cui vive. Eminentemente diacronico, a un dialogo non può che sfuggire la struggente, sporca, cronachistica provvisorietà di tutti i viventi: paradossalmente li rappresenterebbe meglio un dialogo in cui tutti parlassero contemporaneamente e nessuno dunque capisse cosa viene detto.
  • Senza contare che nessun concetto anche egregiamente coordinato vale un uomo nascente di tre chilogrammi, e dunque la metafora maieutica pare sostanzialmente una soddisfazione di poveracci, un sonaglino filosofico col quale distrarre dal perpetuo giungere per via uterina di nuove persone, nuovi cittadini, nuovi imperscrutabili destini. (...)»   (...fine citaz.)
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  • Così si legge la progressione apparentemente scomposta del flusso di coscienza integrata perfettamente ad una tensione logica del tutto alchemica a sottolineare, nell’incoercibile insuperabilità del vivente, un uomo che si tende come un arco per abbracciare la più lunga distanza.
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  • Il manifesto della Sua scrittura ultima, per chi ha letto non tutte ma molte pagine brilla della contraddizione intima, profonda, vitale (...la puttana di Hegel non fa figli ma solo figli adottivi) che però si supera nel tendere l’arco e nel mollare la presa.    ¿Avremo ben mirato?
  • Rif.:   Associazione Amici di Karl Evver      @associazione.amici.di.karl.evver.2023      FB

  • Arduin

  • Hegel e l’Intelligenza Artificiale
  • Un saggio dialogico di
  • Enrico Arduin
  • rec. di
  • Giovanni Sessa

  • Abbiamo letto un volume originale e attualissimo. Originale, si badi, non nel senso comune del termine, rinviante, nel caso di una produzione intellettuale, a qualcosa di inconsueto e singolare, ma in senso profondo, quale produzione centrata sul confronto con l’origine. Attualissimo questo libro lo è per altra ragione: affronta, oltre qualsivoglia canone ermeneutico già sperimentato, il problema dell’Intelligenza Artificiale (AI). Ci riferiamo al saggio dialogico del filosofo Enrico Arduin, da poco comparso nel catalogo InSchibboleth, nella collana “Facezie, arguzie e minuzie”, "Hegel e l’Intelligenza Artificiale. Dialogo con ChatGPT su Assenza ed Esistenza" (per ordini: info@inschibbolethedizioni.com). Il volume è aperto dalla prefazione di Massimo Donà, direttore della collana, e da un contributo di Gianfranco Bettin. I due scritti sintetizzano, con pertinenza argomentativa, le tesi di Arduin e immettono il lettore nell’universo ideale delle complesse tematiche affrontate nelle pagine del volume.
  • ...
  • Finora la bibliografia critica in tema di AI è stata connotata da prese di posizione divisive. Da una parte i fautori dell’AI, che ne esaltano vantaggi e positività, dall’altra i detrattori che, in sostanza, la ritengono un pericolo per la libertà e il pensiero. Arduin muove, di contro, da un confronto diretto e attivo con l’AI, un confronto dialogico su tematiche che, taluni, potrebbero ritenere inusitate per AI, riguardanti i plessi più significativi della speculazione di uno dei grandi padri della filosofia, Hegel. Nella prima parte del volume, l’autore ha scelto, in funzione di deuteragonista, il plugin “Mr. Logical”, basato su ChatGPT, nella seconda sezione, invece, Arduin colloquia con un modello più avanzato di ChatGPT, prodotto nei primi mesi del 2024, mentre, nelle conclusioni, il dialogante diviene la Chat, di ultimissima generazione, GPT-4.5. Arduin ha, quindi, contezza che nell’attuale frangente storico, segnato da dispositivi sintetici di PC e telefono, si intravede la possibilità dell’integrazione tra la dimensione fisiologico-biologica dell’umano e quella rappresentata dalla nuova tecnologia. Il confronto che egli mette in scena, rileva Donà, è quello tra: «la fragilità e la manchevolezza del (nostro) essere senziente e l’azione simbolica generata dalle complesse articolazioni sinaptiche custodite da un processo computazionale privo d’identità materiale e corporea» (p. 10). Da tale processo si evince, nietzschianamente, la sparizione del soggetto, dell’agente, in quanto tutto è azione.
  • ...
  • Le domande incalzanti, critiche, a volte sottili, che Arduin rivolge all’AI, lo chiariscono. L’incipit del dialogo con l’AI ritorna in tutta la discussione ed è rappresentato dalla dialettica hegeliana, riletta oltre le esegesi scolastiche stratificatesi nella filosofia nel corso di oltre due secoli. La conversazione mostra che nell’idealista tedesco i concetti di Dio e della stessa Religione non rinviano, rileva il prefatore: «mai a qualcosa di simile ad una fallace reificazione concettuale, che non sia riconducibile al movimento generale dello Spirito» (p. 12). Da tale concettualità intesa dinamicamente, non staticamente, discende l’autocancellazione cui è destinata ogni determinazione dell’Assoluto. Ne ebbe consapevolezza, nel suo ultrattualismo, il filosofo veneto Andrea Emo. Nella logica dell’essenza Hegel colse la negatività del principio, riverberantesi perpetuamente nell’apparire “positivo” dei molti. Chiosa l’autore: «Abbracciare questa prospettiva richiede un’apertura filosofica alla fluidità della realtà e alla natura provvisoria dei nostri orizzonti concettuali. Ci invita a vedere il mondo […] come un processo dinamico e interconnesso di divenire» (p. 21). Arduin evoca e si confronta, nel dialogo con l’AI, con la tesi della “mancanza” lacaniana.
  • ...
  • La “mancanza”, che sperimentiamo concretamente nel vivere, dà luogo a un: movimento desiderante senza fine, destinato a mettere in scacco […] qualsivoglia tentativo di “fissare” la sostanzialità del reale» (p. 13). L’origine è infondata, è libertà non riducibile alla categorie eidetiche, agli universali. Hegel e Lacan sono pensati quali autori atti a dirimere il complesso problema del rapporto tra le nostre esistenze individuali, “incorporate” e: «la complicatissima rete di processi computazionali restituita all’umano […] da una inesistente ma efficacissima “azione” in grado di modificare […] il nostro rapporto […] con la realtà» (p. 13). La visione di Lacan, a dire dell’autore: «presenta un valido modo per comprendere il processo dialettico […] integrando le dimensioni fisiche, esistenziali e simboliche dell’esperienza umana» (p. 22), rendendoci, pertanto, edotti del fatto, sostiene Bettin, che la storia dell’individuo è storia della physis.
  • ...
  • L’esegesi di Hegel è condotta da Arduin alla luce della nozione di “contraddizione”. Essa chiarifica l’interrelazione di essere e non-essere e presenta cinque configurazioni. Il confronto con l’AI consente, inoltre, di entrare nelle vive cose di tematiche etico-politiche: tra le altre, con il nesso che lega in uno potere e libertà, sempre intrecciati tra loro, in modo tale, precisa Donà, che: «riconoscere l’uno sia sempre anche un riconoscere, nell’uno, l’altro» ( p. 15). La tesi centrale del libro va colta nella discussione del tema degli sviluppi futuri dell’AI, che prevedono la nullificazione della distanza tra processi neurali digitali e l’esperienza della coscienza analogica. I primi, si badi, tendono però a negare il flusso di coscienza umano. La soluzione è rintracciabile, ancora una volta, nella nozione di “contraddizione” hegeliana, in cui i “superati” (intelligenza analogica e computazionale) non siano cancellati, ma radicalizzati nella loro incomponibilità. Una “sintesi” incapace, quindi, di esser veramente tale e di statuire e giungere a un nuovo positum. In fondo, rileva l’autore, la rivoluzione informatica non fa che riproporre il problema della significazione, sul quale la riflessione filosofica si è intrattenuta, in termini scettici e critici, ab origine.

  • Enrico Arduin, Hegel e l’Intelligenza Artificiale. Dialogo con ChatGPT su Assenza ed Esistenza, InSchibboleth, pp. 345, euro 26,00.

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ANTICIPAZIONE delle "Ragioni Generali" sulle "ISTALLAZIONI CREATIVE" Heliopolis
  • SOMMARIO libretto Istall creat

  • Si anticipa qui di seguito una parte della documentazione accessoria che è
  • a servizio logico del libretto
  • "ISTALLAZIONI CREATIVE"
  • Heliopolis,
  • (design: Sandro Giovannini)
  • pubblicato anche in cartaceo nel 2025 per la 
  • Heliopolis Edizioni 
  • di idee e materiali di scrittura.
  • Tale libretto, come si deduce dalla copertina qui riportata, consiste in una cinquantina di pagine  con una
  • Appendice
  • che contiene anche queste "Ragioni Generali", qui anticipate. 
  • Molte le foto a corredo delle "Istallazione creative", sia reali (realizzate) che virtuali (in proposta).
  • ...Chi volesse ricevere l'omaggio del libretto (virtuale) Heliopolis 
  • in formato PDF  
  • potrebbe prenotarlo comunicando a
  •   giovannini.sandro@libero.it
  •  la propria mail...

  • RAGIONI GENERALI
  • “Istallazioni creative”
  • (Heliopolis, 1985-2025)
  •  
  • L’idea si é concretata in medie e grandi realizzazioni parietali, per interni ed esterni, che hanno convogliato molte delle nostre precedenti esperienze con e su materiali più diversi tramite tecniche specifiche per cuoio, pergamena, stoffa, carta pregiata, legno, radica, oro, argento, rame, piombo, plexiglass, marmo, resina, terracotta, microcemento, encausto, mosaico, serigrafia, digitale, scrittura manuale, incisioni e/o traforazioni laser, tramite metodologie ispirate all’antico e trattate modernamente.
  • ...
  • Ora, mélange e sovrapposizione di tecniche miste e citazionismo, ricavando il maggior vantaggio da una visione urfuturista, (consapevolmente, da noi solo evocata), ove tutti i lasciti del secolo mai esaurito entro l’eterna guerra civile europea, vissuti tramite una lettura conciliativa e giustapposta di ragioni spirituali e sentimenti materiali, ricerca ancora, seppur disperatamente, una sua armonica potenzialità espressiva.  Queste “istallazioni” non richiedono astrusi strumenti decodificativi e non ammiccano inutilmente a potenzialità indimostrate od indimostrabili.  Sono alla portata di molti, ovviamente ai relativi livelli, proprio perché già comprendono in sé elementi storicizzati seppur complessi, classici, moderni, comunque resi contemporanei. E sperabilmente espressivi.  Il complesso non può e non deve prospettarsi nuovo, ma considerando lucidamente, oggi, le logiche della “catastrofe simbolica” di tanta teoria a riguardo del mercato automatico attuale e delle relative superfetazioni artistiche del mito del “marchio/marchiatura”, dispiegato ormai senza tregua, risulta ancora del tutto spiazzante, soprattutto per ricomposizione difficile tra mastro e maestro, in controtendenza assoluta con il superego narcisista del mito fasullo del “creativo”.  
  • ...
  • La problematicità, quindi, non è tanto o solo nell’essere fuori dal prevedibile schema dell’opera troppo individualizzata nelle sue varie declinazioni, quanto nell’idea/incrocio di varie logiche espressive, che è anche risultato di un percorso che vocazionalmente ha incluso molte esperienze da noi fatte nei decenni tramite il comunitarismo creativo, ovvero una sorta di lunga stagione poetica, critica e metapolitica operata comunque con un senso più ampio di quello dell’artista singolo, non per difetto d’individualità o per vezzo modaiolo, ma per rifiuto dell’artistismo e del maledettismo, persino oltre la solita nozione di “gruppo” artistico, in quanto tentata su vari livelli (poetico, letterario, artistico, metapolitico, saggistico, editoriale, organizzativo...).  Esperienza maturata poi anche in validi percorsi individuali.  La tecnica applicata quindi del montaggio e dello smontaggio - interpretata qui esteticamente più che meccanicamente, può raggiungere una sua risultante pratica.  Tramite diversi moduli artistici, l’intercambiabilità, concetto/chiave, infatti, non permette solo cambi e sovrapposizioni (=di scenario espressivo) ma anche eventuali sostituzioni nel tempo.  Cosa che, in più, lega il destinatario con un rapporto di maggiore durabilità.  Con diversi stili applicabili per una risultante figurativa, evocativa, storica, letteraria, sempre facilmente riconoscibile.  Anche con specifici “lacerti artistici inclusi”.  Nello specifico delle “istallazioni creative”, il risultato, poi, non va letto come “prendere o lasciare”, isolato dalle sia pur minime potenzialità condivisibili della committenza, ma come valore realmente interagente con la fruizione e la committenza stesse.  Non solo a parole, non solo con la parola, ma nel manufatto.
  • ...
  • Con il coinvolgimento diretto di una “presenza” precisa - sia pur necessariamente trasfigurata - della committenza e della fruizione contestuale, tramite due apparati specifici, diversamente mandati ad effetto, e sempre presenti.  Un’immagine della committenza, familiare e/o evocativa/interna, su intesa con i produttori (a vario titolo) ed una specularità, operabile di volta in volta, che rende immediatamente percepibile la fruizione, riflettendo (oltreché, ovviamente, inglobando).
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  • Nelle “istallazioni creative”, a differenza decisiva rispetto a tutte le altre produzioni paraeditoriali Heliopolis, però, dobbiamo sottolineare che, tali manufatti replicabili in base allo stile scelto di volta in volta a seconda della ragione contestuale, ambiscono avere un livello eminentemente arredativo e scenografico, pur con una indubbia pregnanza artistica dovuta agli inserti con maggiore o minore caratura creativa, di volta in volta inseriti.  Questa potrebbe apparire una capitis deminutio, ma è una piccola voragine su mondi lontanissimi.  
  • ...
  • La complessiva “scrittura esterna” (1) della ragione e del sentimento del nostro tempo, ha quindi una valenza di sommatoria epocale e di tentato recupero terminale, che non può essere disconosciuta facilmente, se non a prezzo di un rifiuto aprioristico al confronto dialogico tra norma e scarto, confronto ormai ampiamente storicizzato. (2)  Gettati nel tempo e condizionati dal clinamen. Ma con una  realizzazione identica a sé. (3)  Al proprio stile. (4)  L’evocazione riconosciuta che diviene espressa ricerca dell’identità simbolica (5)  tramite una rappresentazione scenografica di volta in volta messa in atto, tra essere e sapere, (6)  ove la comprensione dei produttori, dei committenti e dei fruitori, tre assoluti comprimari pur con ruoli ben differenziati, diviene il punto centrale di mediazione, punto focale, in quanto normale, (7)  in quanto comprensibile, in quanto vis(v)ibile...
  • ...
  • Quindi non “trovare un nome”, non “dare una definizione”, formule d’accatto, buone per ogni vera o finta furbizia o costruita ignoranza, (8) ma aiutare a saper vedere, saper comprendere... comprendendo noi per primi tutto ciò che ci è suggerito dal passato, la tradizione del colore (espanso) e della sua effettività identitaria e trainante, così antico-occidentale come estremo-orientale, riscontrabile ora, possibilmente senza esclusioni o false primazie, nel presente e nel futuro delle neuroscienze.  
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  • Infine accompagnando per mano il committente in un percorso che gli verrà fornito - con un supporto “critico specifico” scritto e/o multimediale - affinché non sia lasciato eventualmente in un debito di conoscenza verso ospiti amici e conoscenti vari che dovessero vedere il manufatto, magari compiacendosene, senza però aver (di fronte) alcun strumento di riferimento preciso. 
  • ...
  • Infatti abbiamo già inteso, in passato e con sorpresa, a solo esempio dalla gioiellistica, il silenzio ottuso sulla parola... che andasse appena oltre qualche nota di garanzia o di servizio.  Anche come prova di un percorso creativo non di “interiorizzazione di ritorno”, di “ritenzione secondaria o terziaria”, più o meno obbligata, ma di messa al centro delle esigenze più profonde (in una sorta di sobria maieutica) e magari per nulla o poco affiorate, del committente medesimo.  L’imposizione autoriale, comunque ineliminabile, almeno si sublimerebbe in tal modo lungo una prova possibilmente non autoritaria ma autorevole, non lineare ma ritornante - potremmo azzardare - ciclica.  
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  • Quindi istallazioni oltre la supponente od eterodiretta indisponibilità, ma che favoriscano interrogazioni, approfondimenti, suggestioni di ricerca.
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  • Note.:
  • 1) Manifesto della scrittura esterna.  Il Manifesto della scrittura esterna fu pensato dagli amici e collaboratori che gravitavano già dalla fine degli anni ottanta intorno all’Heliopolis Edizioni (1985-...) ed allo scriptorium heliopolis, emanazione della prima e realizzato da artisti ed antichisti di fama (da cui anche il possibile titolo di “nuova epigrafia”).  Intendeva proporre l’affiancamento alla normale “scrittura interna” tramite una scrittura proiettata verso l’esterno, verso gli spazi del pubblico, non in un modo solo funzionale, ma fortemente identitario, partecipativo verso la comunità, utile per il commerciale e la comunicazione, in tutte le sue forme, oltre ogni livello precedentemente raggiunto (se non, meravigliosamente, nell’antico). Trovava in più in molte epoche e stili diversi una corrispondenza non solo formale o di compiaciuto e rettorico stilema, ma di profonda necessità e quindi d’intima sostanza.  Il manifesto non rimase solo un’enunciazione teorica.  Fu base logica e programmatica di un fare che si estrinsecò (e si manifesta tuttora) in molte realizzazioni, alcune ben riuscite anche commercialmente (esempio il caso eclatante delle magliette letterarie dell’Heliopolis, 1988-1995, prime in tutta Italia) dell’editoriale e del paraeditoriale, dell’alta moda, della gioiellistica, dell’arredamento, della musealistica, del supporto ad istituti di antichistica, del promozionale, marcando uno stile non confondibile.
  • 2) In: Sandro Giovannini, ‘Stile tra norma e scarto’,  da L’Armonioso fine, 2005, SEB, pag. 56-57, ove vengono affrontati e discussi alcuni passaggi logici di riferimento, tratti da  scritti critici al riguardo, di Richards, Barberi Squarotti, Brioschi, Di Girolamo, ed altri...
  • 3) “...Lo stile non esiste antecedentemente, non si rinviene per strada, è al di là di ogni categoria spaziale e temporale, è nel regno del prepensiero, ma anche nella democrazia del fatto, esiste in sé ed in sé si mostra, quale prova che va salvaguardata dal pensiero filosofico/categoriale, logico ed anche irrazionale...”.  in: S. G., ‘Operari sequitur esse’, da L’armonioso...,cit., pag.12.  Questa citazione, che sembrerebbe poter aver senso solo in un milieu filosofico, aiuta invece a giustificare l’effettiva realizzabilità del:“...sempre facilmente riconoscibile”, di cui sopra.
  • 4) “...In questo senso ha valore l’indicazione, spogliata giustamente d’enfasi, del sincretismo, non come momento magmatico ma di sottolineatura, ecumenicità, stile...”, in: Agostino Forte, dal “Commento”, 30.08.1994, al testo del manifesto della scrittura esterna e dello scriptorium heliopolis.  Il sincretismo quindi, non in una valenza new age che confonde tutto, quanto nel senso delle lezioni di uno Zolla ed altri studiosi comparativisti del sacro dell’etnografia e della religione, per utopie di sintesi necessarie più che per prese d’atto d’ibridismi subiti.  Questo “stile” - solo nel caso specifico delle “istallazioni creative” - resta riconoscibile anche per il metodo proposto come ricercatamente interattivo con la più diversa committenza, soprattutto per i due strumenti sempre - difformemente - presenti nel manufatto.
  • 5) L’evocazione dell’identità simbolica è un processo che l’Heliopolis ha messo in conto, negli anni, anche con il progetto telematico ELOGICON (2015-)  In tale direzione si deve comunque trovare un punto d’incontro tra la capacità di riconoscimento che pertiene all’Heliopolis design e la vera e propria identità simbolica del committente.  Consapevole od inconsapevole.  Tra mille esempi possibili, la ricerca filosofica del “valore spirito” di Valery o dello svelamento della voragine del “formicaio digitale”, entro la “società’ automatica” di uno Stiegler, ovvero la ricerca sulla “miseria simbolica”.  Per trovare tra le forze contrapposte (come nell’arco romano), il punto di svolta (far cadere=rivoluzionare) o chiave di volta (stabilizzare=conservare) come precisa risposta del (e nel) manufatto.  Progetto non facile e mai scontato, di cui la maieutica è metodo.  Un costruire lungo un’idea collaborativa effettiva e non di facciata.  Non per slogan o solo a parola, ridotti alla differenza (spesso troppo evidente) tra dichiarato e realizzato, pressati dal funzionalismo delle pratiche.  Troppi siti architetturali ne sono, purtroppo, frequentissima prova.
  • 6) P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Ubaldini, 1976.
  • 7) “...Così il richiamo costante alla normalità, che rischia di divenire un’invocazione suggestionante alla normalizzazione, non può non trascurare (a pena d’inversione totale), avendo origine dai terreni del positivismo logico e del materialismo dialettico, la teoria della normalità geniale (la normalità guidata identitariamente dai propri geni e cromosomi) ovvero dell’usualità producente, ovvero della sobrietà creativa, che sono tutte misure che appartengono invece (o dovrebbero appartenere...) per statuto alla migliore cultura tradizionale... etc... ...”, in: S. G., ‘Semplificazione, atto rivoluzionario’, da L’Armonioso fine, cit., pag. 84-85.
  • 8) AA.VV., “Letteratura - Tardocronache dalla Suburra”, n.° 2; 1985, Heliopolis Edizioni, ove si affronta validamente il tema della “creatività diffusa”, o della “creatività surrogatoria”, pag. 40-45: Marcello Veneziani, Creatività tra libertà e trasgressione: “...La più autentica realizzazione della creatività non è data dall’affermazione della soggettività, ma al contrario la realizzazione creativa è l’affermazione di una superiore impersonalità, è l’espressione dell’oggettività”.  Vedi anche, a riguardo di “trovare un nome” o “vera e finta ignoranza”, la presa d’atto di un coraggioso: ...abbiamo... «...coniato un’intraprendente ondata di nuovi ossimori per sospendere le vecchie incompatibilità: life/style, reality/Tv, word/music, museum/store, food/court, health/care, waiting/lounge.  Il nominare ha preso il posto della lotta di classe, amalgama sonoro di status high concept e storia.  Attraverso acronimi, importazioni inusuali, soppressioni di lettere, invenzione di plurali inesistenti, lo scopo è liberarsi del significato in cambio di una nuova spaziosità…  il Junkspace conosce tutte le tue emozioni, i tuoi desideri.  E’ l’interno del ventre del Grande Fratello.  Anticipa le sensazioni della gente…».  Citazione da: Rem Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, 2006, pag.84, in: Sandro Giovannini, “A proposito di Rem Koolhaas”, su    www.heliopolisedizioni.com 
  • I riferimenti logici riportati nelle note sono ora tutti leggibili nel sito ufficiale della Heliopolis Edizioni e della, ivi inclusa, “rivista online heliopolis”: www.heliopolisedizioni.com  

SYMPOSIUM di Apicio
  • Symposium aperto
  • (Symposium  (latino-italiano), aperto sulla riproduzione - a mano nell'originale poi andato in fotocomposizione - di un larario famoso)
  • ***
  • Symposium
  • (da Apicio)
  • Dal quarto rotolo lungo Symposium, una riproduzione ancora più accurata del de re coquinaria di Apicio,  è iniziata la tecnica del "tutto a mano"  ove l'elemento paleografico (una grafia in capitale elegante  riferibile a circa il I sec. a.C.) e l'elemento iconografico (nel prototipo creato per la successiva tiratura in fotocomposizione in 500 copie numerate) risulta essere una filologicamente accettabile parafrasi su carta di tecniche quali mosaico, affresco ed encausto. Questo per offrire al lettore un'immagine il più possibile ampia della trasposizione moderna dell'antico e per dimostrare anche una nostra abilità poliedrica che fuoriuscisse dagli schemi prevedibili delle operazioni consuete del restauro, che pure sono compiute al massimo grado di valore e competenza scientifica.  Questo sempre perché il nostro paraeditoriale è operazione creativa e non operazione conservativa ed i nostri manufatti sono indirizzati al mercato, sia pur colto e raffinato, e non al solo fine del fac-simile o unicamente per specialisti di antichistica.  In realtà, a parte il successo commerciale, in molti casi abbiamo ricevuto proposte di realizzate rotoli da centri universitari di eccellenzza, e talvolta abbiamo seguito tale via. Comunque i due manici del volumen sono stati operati sulle essenze di legno più pregiate con anche incisioni a laser ed a volte persino inserti d'ottone, argento o cuoio firenze, per rendere ancora più prezioso il manufatto complessivo. In un caso poi si è optato, con questo stesso testo tutto a mano, anche per una gioiellizzazzione completa dei due bastoni reggirotolo, affidando su richiesta del grande gioielliere Morpier di Firenze, la realizzazione conseguente. In tal caso Morpier fece una tiratura di 500 pezzi numerati che andarono, già in buona parte prenotati, in tutto il mondo, e noi dovemmo fornire una nuova tiratura della carta pergamenata in 6 fogli orizzontali incollati da noi a mano, di altri 500 copie.


ROTOLO-ASTUCCIO
  • 1 foto astuccio acero e ciliegio chiusi

  • Il 
  • "Rotolo-Astuccio"
  • dell’Heliopolis (modello d'Invenzione industriale), è stato progressivamente perfezionato con l’inserimento di una molla di ritorno-carta, all’interno del cilindretto superiore e di un bastoncino fermo-carta, inserito in apposito alloggio all’interno del cilindretto inferiore.  Il ritorno-carta a molla ed il fermo-carta, il primo per una veloce apertura e chiusura senza problemi ed il secondo per una stabile lettura ed una apertura anche prolungata, permettono quindi un'apertura ed una chiusura agevole, con una estensione della carta per circa 70 cm. di lunghezza massima per circa 22 cm di altezza.  In pratica la carta interna contenuta utilmente si dispiega per poco più di 2 fogli di A4 disposti orizzontalmente.  Il “Rotolo-astuccio” è un prodotto del paraeditoriale con una fortissima valenza regalistica e promozionale ed è stato introdotto anche nel mercato librario, nella cartolibreria di qualità, nell'uso di molti comuni per titoli di matrimonio, nel promozionale istituzionale per premi e documenti di nazionalità,  e nell’arredamento privato...

 

  • I pregiati testi Heliopolis  (non promozionali)  montati dentro il
  • "ROTOLO-ASTUCCIO":
  •  - "Preghiera ad Helios Re" di Giuliano Imperatore, edizione 1989,
    500 esemplari numerati, ultime copie, 50 euro.
    - "Il giudizio di Pilato" da Marco, edizione 1989,
    500 esemplari numerati, ultime copie, 50 euro. 

     - "Canto CXVI" di Ezra Pound,  versione di S.G., edizione 1989,
    500 esemplari numerati, ultime copie, 50 euro. 

  • (qui sotto aperta  "PREGHIERA AD HELIOS RE"  di Flavio Claudio Giuliano Augusto,
  • con la riproduzione manuale dei mosaici pavimentali del palazzo imperiale di Costantinopoli)

2 Rotolo astuccio aperto con scritta

  • contenitore cilindrico eventualmente aggiuntivo al "Rotolo-Astuccio" in seta serigrafata in oro 
  • contenitore cilindrico in seta serigrafata oro per rotolo astuccio
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