• Williams Scimmia in calzoni

  • "La scimmia in calzoni"
  • Letteratura e società secondo
  • Duncan Williams  
  • di
  • Giovanni Sessa

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  • Hans Sedlmayr, intellettuale di formazione tradizionalista, è stato tra i primi a richiamare l’attenzione dei lettori sulla «perdita del Centro», quale fenomeno esistenziale e sociale testimoniato dalla cultura, in particolare dall’arte, sviluppatasi tra XIX e XX secolo. Il trionfo dell’idea di progresso, lo sviluppo del produttivismo e del conseguente consumismo, hanno costruito un’umanità che ha obliato il senso della propria dignità e della propria nobiltà. A confermare tale tesi è da poco nelle librerie un volume di Duncan Williams che, a suo tempo, riscosse grande successo, La scimmia in calzoni. Letteratura scadente per una società scadente, comparso nel catalogo della OAKS editrice, con prefazione di Christopher Booker (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 220, euro 18,00). L’autore, docente di letteratura inglese alla Marshall University in Virginia, è polemista di vaglia e critico del costume contemporaneo. L’idea del testo che presentiamo, nacque in lui durante una conferenza tenuta nel 1966, centrata sull’idea che la società occidentale e la sua cultura fossero dominate dall’interno da due tendenze che divenivano viepiù incontrollabili

  • La prima, pienamente incarnata dal ritorno al primitivismo e all’istintualità puramente animale, era da lui letta quale causa della seconda: la diffusione della violenza. Booker, per introdurre il lettore alle idee di Williams, fa propria la posizione sostenuta dal Vasari in pieno Rinascimento. L’insigne storico dell’arte sostenne, infatti, che quando: «le cose umane cominciano a deteriorarsi, nessun rimedio è possibile finché non si è toccato il fondo» (p. 8). Scopo dell’autore, in queste pagine, è mostrare, prendendo quale oggetto d’indagine la letteratura moderna, qual che accade quando gli uomini perdono di vista il «Centro», e guardano con interesse solo ciò che è contingente, transitorio. Con questo libro, lo studioso gallese avrebbe voluto stimolare il processo di risveglio dell’uomo europeo dal letargo in cui era precipitato a partire dall’Illuminismo. Con Rousseau, il centro della scena fu occupato dal «buon selvaggio» ma, nel Novecento, a muovere dalla fine del Secondo conflitto mondiale, si è appalesato un nuovo soggetto della storia, il «selvaggio ignobile»: «privo di una coscienza del fine, di una scala di valori, di un senso dell’ordine, dell’armonia e della moralità – ridotto ai suoi fondamentali istinti animali» (p. 9).

    L’uomo nuovo che il moderno ha perseguito, tanto nella sua istanza laico-capitalista, quanto nel marxismo rivoluzionario, necessita di una cultura fondata sulla menzogna, costruita sul rifiuto dell’idea di verità. Lo riconobbe lo stesso Sartre che dedicò un capitolo de, L’essere e il nulla, a questo tema. L’ideologo moderno deve maturare una facoltà mentale speciale, che gli consenta di non tener conto dei fatti in contrasto con le sue illusioni rivoluzionarie.  Da qui la menzogna.  Essa sorge quando non si vuole persuadere l’altro (del resto manca, oggi, ogni qualsivoglia riferimento al vero!), ma lo si vuole semplicemente possedere. Naturalmente, anche i rapporti umani subiscono, alla luce della ricerca del possesso, una degradazione ed una disumanizzazione.  De Sade diviene  il paradigma antropologico della contemporaneità, in quanto lo spirito di novità si esprime come spirito di distruzione.   Da Diderot a De Sade, tale il percorso seguito dalla modernità in cammino verso la postmodernità e registrato dalla letteratura.  Non è casuale, quindi, che in queste pagine l’autore si richiami a C. S. Lewis e al suo, The abolition Man. Stiamo, infatti, assistendo, su più livelli, all’abolizione dell’umano. Per Williams, e qui il nostro pecca di scarsa lungimiranza storica, tutto sarebbe iniziato con lo sfaldarsi delle certezze neoclassiche nel secolo XVIII.
    Allo scopo, egli mette a confronto l’ideale antropologico scaturente dall’opera di Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, fondato sull’autocontrollo, sulla ricerca dell’equilibrio nei rapporti coniugali e sulla bonomia e civile urbanità in quelli sociali, con la concezione astiosa, insoddisfatta nei confronti della vita, che emerge dalla pagine di, Ricorda con rabbia, di John Osborne, rappresentato a teatro per la prima volta a Londra nel 1965. In quest’opera violenza ed istintualità animale la fanno da padroni e travolgono qualsiasi tentativo di ricerca di rapporti armonici ed organici tra gli uomini. A tanto si è giunti con il realizzarsi, in tre ambiti diversi, degli ideali rivoluzionari. In politica, la rivoluzione travolse l’Antico regime, in campo religioso la predicazione di John Wesley minò, alle basi, l’autorità della Chiesa d’Inghilterra, mentre nel mondo letterario l’afflato al cambiamento si manifestò nelle diverse gradazioni del movimento romantico, che altro non fu che richiamo alle emozioni di contro all’autocontrollo neoclassico. Da allora, la letteratura non è stata semplice specchio dei cambiamenti sociali ma, come nota Williams, è stata la forza propulsiva che ha imposto in Europa, il «clima» spirituale della rivoluzione.

  • Paradigma della «nuova» umanità sarebbe risultato, a dire dell’autore, l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, il quale pur avvertendo il fascino del bene e del bello, non era in grado di corrispondere alla loro attrazione anagogica e, al contrario, catagogicamente, si avvoltolava nel fango della propria esistenza squallida. Non è possibile comprendere le idealità degli intellettuali contemporanei, rileva Williams, se non si tiene conto che per essi: «Dio, nel vecchio senso della parola, non è morto: non è mai esistito» (p. 81). La disumanizzazione dell’arte, di cui disse Ortega y Gasset, è manifestazione palese dell’odio verso tutto ciò che è elevato, verso tutto ciò che è civiltà. Le letteratura moderna è, pertanto, erede diretta di Raskolnikov, assassino privo di ragioni, descritto da Dostoevskij in, Delitto e castigo, quale: «tipico caso moderno[…] nel suo singolare miscuglio di sadismo e masochismo, nel suo estremismo passionale» (p.112). L’autore passa così in rassegna molti rappresentanti della letteratura, Osborne, Camus, Jarry, nella convinzione che tutti i loro personaggi siano espressione di un «uomo in rivolta», solipsisticamente votato al nulla, incapace di mettere in atto il processo di autoeducazione o, addirittura, di non volerlo attuare per scelta. Ciò che manca alla modernità e all’uomo dei nostri giorni è l’ egemonikon, il «Centro». Non tutto è perduto: la letteratura può svolgere, nel recupero del vero, un ruolo didattico essenziale, questo l’insegnamento di Williams. Il sapere deve ricondurre l’uomo davanti ai ritmi del cosmo e della vita, affinché in essi egli possa tornare a vedere una manifestazione del «Centro».