• Ionescu

  • Nae Ionescu
  • Il filosofo che sedusse una generazione
  • di
  • Giovanni Sessa
  • Nella cultura del secolo XX, la Romania ha giocato un ruolo centrale. Studio e ricerca sono stati gli ambiti con i quali i giovani intellettuali di quel paese hanno tentato il superamento della marginalità esistenziale, che discendeva dall’essere nati in una provincia “orientale”. Si pensi, tra i tanti, a Cioran, Eliade, Noica, Vulcănescu, esempi eminenti della “giovane generazione” formatasi alla scuola di Nae Ionescu che, da quei precoci e vivaci studiosi, fu ritenuto Maestro indiscusso. E’ a disposizione dei lettori italiani una biografia che ricostruisce la vita intellettuale di Ionescu. La si deve a Tatiana Niculescu, Nae Ionescu. Il seduttore di una generazione da poco comparsa nel catalogo Castelvecchi per la cura di Horia C. Cicortaş e Igor Tavilla (per ordini:06/8412007; info@castelvecchieditore.com, pp. 240, euro 22,00).

  • Il volume muove dalla ricostruzione dell’ambiente familiare del filosofo. Questi nacque nel 1890 a Brăila, città portuale danubiana nella quale transitavano merci disparate e persone provenienti da ogni dove. Qui trascorse l’infanzia e parte dell’adolescenza. Il padre era un pubblico funzionario, pertanto, la famiglia aveva un discreto tenore di vita. L’uomo, purtroppo, morì anzitempo, lasciando agli eredi ingenti debiti. Anni dopo, Nae scriverà di aver sperimentato: «tutte le miserie della vita quando gli altri aprivano a malapena gli occhi sul mondo» (p. 13). Ebbe, così, un ruolo rilevante, nel suo mondo interiore, il nonno paterno, Stroe Ivaşcu, servo della gleba dal carattere forte. Questi, nel villaggio natale di Tătaru, era annoverato tra le personalità contadine più riguardevoli: si era emancipato e aveva ricoperto incarichi amministrativi, divenendo piccolo proprietario terriero. Nae onorerà per tutta la vita il ricordo del nonno, vedendo incarnate in lui le virtù del ceto rurale, che il filosofo contrapponeva alla degenerazione antropologica esemplificata dalla figura del cittadino moderno.
  • Nel periodo liceale, le letture socialiste e stirneriane sommate al carattere ribelle, gli costarono l’espulsione dalla scuola. Sostenne da privatista l’esame di maturità, iscrivendosi alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Bucarest. Qui, conducendo una vita di stenti e di passione studiosa, si avvalse della tutela del professor Rădulescu-Motru. Oltre che dall’anarchismo individualista, fu colpito dagli esercizi spirituali di Ignazio de Loyola: «Riteneva […] trasformassero la mente e la volontà di chi li pratica in “un’arma di acciaio che può essere distrutta ma non sconfitta”» (p. 35). E’ nell’ambiente universitario che conobbe e si innamorò di Elena-Margareta Fotino, figlia di un ufficiale e sua futura moglie. I due, nei periodi di lontananza, intrattennero un’intensa corrispondenza dalla quale si evince la reciproca passione. Nae, dopo la laurea, si recò in Germania per il dottorato, prima a Gottinga e poi a Monaco. Non si ambientò immediatamente, pensando che la filosofia non fosse più al centro dei propri interessi. Scrisse all’amata: «Perché dedicarti tanto alla filosofia? […] è apportatrice di molti pensieri e molte delusioni» (p. 56). Non tollerava più neppure le lezioni del padre della fenomenologia: «Husserl vale meno di un quattrino!» (p. 56).
  • Giunto a Monaco, che allora viveva una stagione di fermento intellettuale, animata com’era da George e dai “Cosmici”, Nae si infatuò di Wagner, quale teorico dell’arianesimo. Lesse de Gobinau e Chamberlain, che vedeva nel Cristo: «un rappresentante della stirpe ariana, separato dalla religione giudaica e dalla storia del popolo ebreo» (p. 67). In filosofia, le scelte del giovane s’indirizzano verso il pensiero non sistematico e antimoderno. Quando la Romania, nel Primo conflitto mondiale, si schierò dalla parte dell’Intesa, venne imprigionato nel campo di Celle. Qui strinse amicizia con Padre Jérôme, che lo avviò allo studio della mistica. Liberato, collaborò con la casa editrice Tyrolia di Monaco e assistette ai torbidi socialisti che sconvolsero la città. In tale frangente, pare abbia incontrato Rosenberg. Rientrato a Bucarest divenne professore di tedesco, presso il liceo militare del Monastero di Dealu: «Nei suoi rapporti con gli alunni,“era difficile distinguere l’autorevolezza dall’affetto genitoriale e perfino dall’amicizia”, e “lo spirito socratico dello scambio di parole […] faceva sì che l’alunno si chiarisse da solo i suoi problemi» (p. 100).
  • Intensificò le collaborazioni giornalistiche e sostituì Cranic, un teologo, sulle pagine di Cuvȃntul. Da queste colonne lanciò veri e propri appelli alla ricostituzione della purezza originaria, mistica, dell’ortodossia romena servendosi, al contempo, delle conoscenze della filosofia occidentale, anche contemporanea. Introdusse un numero considerevole di allievi nella redazione, tra i quali Eliade e Sebastian. In quegli anni sorse il “mito” Ionescu: lo istituirono gli studenti che ascoltavano all’Università, in religioso silenzio, le sue lezioni maieutiche. Egli si trasformò: «in un prototipo da imitare all’infinito e in un’icona vivente» (p. 136). Strinse una liaison con Maruca Cantacuzino, ben introdotta negli ambienti politici di Bucarest e nell’alta società. La sua visione politica si chiarì: la vita pubblica: «ha due elementi costitutivi: le masse e la Corona» (p. 156), pertanto il partito “contadinista” di Maniu, al quale Nae si sentiva vicino, aveva di fronte a sé due scelte, la dittatura delle masse o: «consolidare la monarchia […] che […] avrebbe lavorato sulla base di un mandato mistico delle masse, con poteri illimitati» (pp. 156-157).
  • Si schierò, non senza ambiguità, per il ritorno di re Carol e, ben presto, si trovò a spalleggiare Codreanu e la Guardia di Ferro in quanto condivideva l’appello: «a plasmare un’identità nazionale e si sentiva solidale con la causa della rigenerazione morale della società» (p. 160). All’insediamento di Carol lo salutò quale “Re della Nazione”, “Re della realtà”. Carol avrebbe voluto utilizzare Ionescu come mediatore nei rapporti con i Guardisti. Codreanu, nelle intenzioni di Carol II e del filosofo, avrebbero dovuto costituire il partito unico della “Dittatura Reale”. Tale pericolosa prossimità, oltre alla chiusura che incontrò presto a Corte, lo condusse, a più riprese, in carcere: quando venne rilasciato, il suo fisico, compromesso dai patimenti subiti, non resse ad una serie di attacchi cardiaci. Si spense il 15 marzo 1940 nella villa di Băneasa. Si disse che, come Socrate, era stato avvelenato. Il giorno successivo Noica informò Cioran del dipartita del Maestro, rammaricandosi che la loro generazione sarebbe rimasta orfana: «un’epoca si concluderà e giungerà al termine una stupefacente avventura dello spirito» (p. 10). Nonostante le contraddizioni esistenziali, attraverso l’opera degli allievi, il pensiero di Ionescu è sopravvissuto all’uomo.