• Gordio

  • La discorde concordia Jünger-Schmitt
  • La nuova versione Adelphi de
  • Il nodo di Gordio
  • rec. di
  • Giovanni Sessa
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  • Torna per i tipi di Adelphi, a cura di Giovanni Gurisatti, un libro cruciale e attualissimo, Il nodo di Gordio di Ernst Jünger e Carl Schmitt (pp. 238, euro 14,00). Il libro raccoglie lo scritto jüngeriano, uscito in prima edizione nel 1953 e la risposta del filosofo e giurista tedesco che apparve due anni dopo, nel 1955. Il volume è, quindi, momento centrale del’intenso e lungo colloquio intrattenuto tra i due pensatori. Il dibattito ebbe, inoltre, un altro deuteragonista, almeno per quanto attiene al problema della tecnica: Martin Heidegger. Ricorda, a riguardo, il curatore che, fin dalla pubblicazione negli anni Trenta, de Il Lavoratore di Jünger, Schmitt elaborò la propria esegesi della trasformazioni dello Stato liberale in Stato “potenzialmente totale”, confrontandosi, in “discorde concordia”, con le intuizioni di Jünger. Questi aveva chiarito che i cambiamenti introdotti dalla mobilitazione totale, spingevano verso il costituirsi di uno spazio globale planetario.
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  • Sullo sfondo, nell’universo concettuale jüngeriano, iniziò a farsi strada l’idea dell’inevitabilità del Weltstaat, uno Stato mondiale, in quanto, chiosa Gurisatti: «Solo in esso si trova l’unità di misura di una superiore sicurezza che investe tutte le fasi del lavoro in guerra e in pace» (p. 217). Il problema sollevato da Jünger era, in quel frangente storico, al centro delle riflessioni di Schmitt. Questi leggeva lo Stato planetario quale organismo irrispettoso, è sempre il curatore a rilevarlo: «della concretezza spaziale […] il principale nemico del politico tout court» (p. 218). Vero e proprio distruttore delle differenze, del pluralismo e della dimensione polemologica connotante di sé il politico pensato come categoria. Sostanzialmente, il filosofo del diritto giudicava la posizione dello scrittore: «ingenuamente spoliticizzante» (p. 219). All’inizio degli anni Quaranta, Schmitt, opponendosi in uno agli universalismi politici del capitalismo occidentale e del bolscevismo orientale, si fece latore della necessità di difendere la sostanzialità politica dell’Europa, affinché questa divenisse propagatrice di un nuovo nomos della terra, nella contingenza storica che si annunciava con la fine del Secondo conflitto mondiale.
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  • Egli, all’unità globale, iniziò a opporre l’idea di un mondo multipolare, articolato in una pluralità di spazi concreti, pregni di senso, costruiti sulla tradizione. Il nodo di Gordio, per Schmitt, ha al proprio centro il binomio Europa-Germania (e continuò ad averlo anche dopo il crollo del Terzo Reich). In tale congerie, anche Jünger si interrogò sull’Europa. Il Vecchio continente avrebbe dovuto rifondarsi in termini di unità geopolitica di molteplici madre-patria. Solo a tale condizione, gli europei avrebbero potuto assurgere al ruolo di garanti degli equilibri Est-Ovest. In ogni caso, a suo dire, lo Stato mondale rimaneva il telos cui tendevano le sorti della storia. Tesi ribadita in Oltre la linea, che suscitò la reazione del giurista. Jünger interpretava, inoltre, in modalità impolitica il rapporto Oriente-Occidente, derubricandolo a polarità archetipica, elementare, contrassegnante ab initio la storia e la coscienza dei singoli. Pertanto, per lo scrittore, a valere non sono tanto la storia e il politico, quanto la dimensione destinale.
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  • In ciò è da cogliersi la divergenza più profonda tra i due: Schmitt, a differenza dell’amico, legge il nodo Oriente-Occidente in termini concreti, storico-dialettici, quale contrapposizione di terra e mare. Tale dicotomia nulla ha a che fare con il “naturalismo” jüngeriano. Per Jünger, infatti, al polo Oriente corrisponde il mythos. L’Oriente è quindi latore dell’idea della Madre Terra, del destino e, in ambito politico, del principe-dio. Al contrario, l’Occidente è eminentemente ethos, libertà, storia, principe-rappresentante. Quella di Hitler, in tale prospettiva, è stata figura segnata in senso “orientale”. Per Schimitt dalla parte della terra sta il mondo continentale, Russia e Asia.   Dalla parte del mare, al contrario, egli collocava l’Occidente mercantile e liberale. Al centro, tra i due, L’Europa. Nei secoli dal XVI al XIX la storia europea ha oscillato tra due diverse configurazioni geo-politiche: la prima annoverava in sé le “telluriche” Francia, Spagna e Germania, la seconda era rappresentata dall’Inghilterra che aveva espresso, in tutta evidenza, lo spirito marittimo. La prima Guerra mondiale mise in scacco lo jus publicum europaeum. L’opzione tra i due poli costituisce, pertanto, il vero e proprio nodo di Gordio della modernità. La terra è nomos, radicamento, confini e tradizioni, il mare è techne, lo sradicamento errante.    L’Europa è, quindi: «sottesa tra “casa” e “nave”» (p. 228).    Tagliare il nodo implica, ancor oggi, tentare di sottomettere la techne, al fine di riaffermare il nomos: «La sottomissione della tecnica scatenata: questa sarebbe […] l’azione di un nuovo Ercole! […] la sfida del presente» (p. 229).
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  • Per Jünger, solo l’etica occidentale della libertà avrebbe potuto riuscire in tale titanica impresa. Il nodo, nella sua prospettiva, non andrebbe tagliato, ma sciolto attraverso il “patto” tra contendenti. Al contrario, a dire di Schmitt la soluzione è da individuarsi nell’affermazione storica di diversi “grandi spazi”, capaci di realizzare tra loro equilibrio geo-politico. In tale contesto, assegna all’Europa ruolo dirimente, facendo affidamento sulla nascita di un patriottismo continentale, centrato sulla sostanza spirituale degli uomini che la abitano. Le posizione tra i due sono discordi nella concordia, in quanto, nonostante il riferimento al Weltstaat, lo scrittore tedesco non escludeva il costituirsi dell’Europa quale patria sostanziata dall’ethos: «In Europa abbiamo la capacità di rispettare qualcosa che si trova al di fuori dell’uomo, e che ne determina la dignità» (p. 86).    Una sorta di equivalente della sostanza spirituale a cui si riferiva Schmitt.   Se ciò è vero, l’approccio “archetipale” jüngeriano al problema, mostra la propria insufficienza nell’aver depoliticizzato il nodo, la relazione Oriente-Occidente.
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  • Dalla situazione attuale lo si evince con chiarezza: la posta in gioco per noi europei, non è solo politica, ma storica. L’assunzione della funzione di “grande spazio” è l’unica a poter garantire la sopravvivenza del Vecchio continente. Solo a tale condizione, come rileva Gurisatti, si potrà ancora parlare di un’Europa possibile.   Possibilità è potenza, recupero dell’originaria vocazione politica e civile della nostra cultura.