• storia come arte5

  • Marcelino Menéndez Pelayo
  • La storia come arte
  • Iduna Editrice
  • rec. di
  • Giovanni Sessa

  • Chi scrive è fermamente convinto che sia ineludibile il confronto con le filosofie della storia. Stante le lezioni di Löwith, Voegelin e Strauss, esse sono il prodotto dell’immanentizzazione del fine della storia cristiano (la Redenzione) e hanno prodotto le tragedie del secolo XX.   Negli esiti sono risultate anticristiane, nelle premesse condividono pienamente lo schematismo del provvidenzialismo storico.   Abbiamo letto con interesse il volume dello studioso spagnolo Marcelino Menéndez Pelayo, La storia come arte, nelle librerie per Iduna Editrice, a cura di Massimo Maraviglia (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 87, euro 12,00).
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  • L’autore (1856-1912) animò la vita culturale spagnola della seconda metà del secolo XIX e dell’inizio del XX secolo.  Introdotto nei circoli intellettuali e in quelli dell’aristocrazia, genio eclettico, precoce e versatile, produsse un numero considerevole di opere, connotate, in uno, da ampia erudizione (i suoi scritti sono supportati da una bibliografia davvero sterminata), ma anche da empatia per le tematiche trattate. Spaziò dalla filosofia alla teologia, dall’estetica alla letteratura: il suo approccio fu, per ampiezza di interessi, rinascimentale.   Amò la Spagna, la sua cultura, le sue tradizioni e, convintamente, in un’epoca nella quale il laicismo era prepotentemente comparso perfino sulla scena politico-culturale del paese iberico, si disse cattolico.   Va rilevato, come opportunamente chiarisce il curatore, che le diverse discipline cui si dedicò, trovarono un punto di convergenza negli studi storici o meglio negli studi mirati a individuare il senso della storia.
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  • Il testo che brevemente andremo a discutere, La storia come arte, in realtà è la prolusione che lo studioso pronunciò il 2 marzo 1883 quando, giovanissimo, fu ammesso all’Accademia Spagnola della Storia. Testo breve che, nella sua sinteticità, rappresenta una sorta di manifesto della visione del mondo dell’autore. Si tratta di un volume centrato sulla polemica anti-positivista. L’Europa stava entrando, in quel frangente, nel clima culturale storicista, in cui il positivismo, soprattutto di matrice tedesca, svolgeva un ruolo di primo pano.   Di contro alle posizioni “scientifiche” dei positivisti, alla ricerca dell’oggettività storica, lo spagnolo in queste pagine mette in luce il legame che lega la storia all’arte.   Faccia attenzione il lettore! I critici del positivismo si rifacevano all’arte: «non tanto per la possibilità di sganciarsi dal rigore di un storia attentamente documentale, quanto per l’angustia di un sapere che, idolatrando il fatto, metteva in ombra le sue risonanze di senso» (p. XVIII), nota Maraviglia.
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  • Menéndez Pelayo riteneva indispensabile il rinvenimento del senso degli eventi storici e riteneva che lo studioso serio dovesse andare, inoltre, alla ricerca delle regolarità che si manifestano nel percorso umano.  Per questo, nelle sue tesi, antropologia e teologia sono pensate in uno.   Negli eventi i fattori dirimenti, a suo dire, sono il libero arbitrio, la Provvidenza e l’identificabilità in essi della legge morale: «Lo storico […] doveva cercare il senso dei fatti, mai perdendo di vista […] le lampade che illuminavano il corso degli eventi: libertà, Provvidenza, morale» (p. XIX), anche se la razionalità della storia non doveva essere interpretata in termini rigidamente deterministici. Nella storia vigono, a dire del pensatore iberico, tre leggi: 1) legge della continuità solidale, tendente a leggere il procedere umano in termini di continuità e non in modalità rivoluzionaria; 2) legge dell’ evoluzione storica, conseguenza della precedente ed esprimente, in particolare, che: «i fattori della storia esprimono una sorta di conatus in direzione di un dipanarsi ragionevole del filo degli accadimenti» (p. XX); 3) la legge dell’influsso dei grandi uomini. Questi ultimi vengono liberati, nell’esegesi dello studioso spagnolo, dalla soggezione all’hegeliana “astuzia della ragione”, in quanto: «la Provvidenza regna, ma alla fine è l’uomo che decide» (p. XX).
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  • Avverte, profeticamente, il nostro autore, che i popoli europei, oltre al rischio dell’esaltazione del ruolo politico della classe presente in Marx, sarebbero andati incontro all’universalismo cosmopolita, irrispettoso delle differenze e delle identità.  Menéndez Pelayo riteneva la storia prossima all’estetica, non semplicemente per la sua narrazione, che doveva avere tratto affabulante, ma: «relativamente a tutto il suo contenuto che, […] deve restituire la forma ideale dell’essere uomini […] un nucleo fondativo che ci dice cosa è necessario perché vi sia un uomo e che cosa debba risplendere ovunque vi sia un uomo» (p. XXI). La sua analisi è intrisa dall’idea del divenire, dell’evolversi di tutte le cose. Esse, di contro, sono lette nel loro collegamento con l’universale, con l’idea platonica che il Nostro apprezzò, assieme allo spirito classico, nel suo intenso percorso formativo.
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  • La sua proposta, prendendo le mosse dalla critica al positivismo, allo storicismo, in realtà ci pare una falsa via di uscita dal loro scacco. Egli, di fatto, propone un ritorno alla teologia della storia, sia pur tentando di mitigarne l’aspetto deterministico. Se si pone all’inizio di tutto Dio, o qualsivoglia principio d’ordine, lo stigma necessitarista risulta insuperabile.  Forse i “krausiani”, i panteisti e alcuni tra gli “eterodossi” che tanto criticò, nella loro ri-scoperta della physis greca, quale luogo esclusivo del darsi del principio infondato della libertà-dynamis, potrebbero rappresentare il riferimento ideale per superare tanto le teologie quanto le filosofie della storia.  La visione “aperta” del tempo, nietzschiana-heideggeriana-locchiana, mira infatti al sempre possibile Nuovo Inizio dell’origine.   Paradossalmente, proprio per questo, La storia come arte è libro importante, da leggersi con attenzione.    Svolge la stessa funzione, nella definizione teorica dell’idea di storia “aperta”, che gli “eterodossi” ebbero nella costruzione del sistema di Menéndez Pelayo.