• Cristina Campo Chiara Zamboni

  • Cristina Campo
  • Il mondo tra visibile e invisibile
  • rec. di
  • Giovanni Sessa

 

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  • Cristina Campo, alias Vittoria Guerrini, è latrice di preziosa singolarità nel panorama intellettuale del Novecento, eccedente rispetto a tutti gli “ismi” che si sono succeduti nella recente storia culturale italiana. Per la sua “attuale inattualità” può essere considerata, per usare il titolo di un suo volume, un’imperdonabile.   Lo è stata, in quanto la “poetica” che ha prodotto contraddice in modo radicale i disvalori sui quali la modernità ha fondato se stessa, senza, con ciò, dar luogo a nostalgie regressive.   Tale tesi trova conferma in un volume che raccoglie le relazioni presentate al Convegno di studi sul suo pensiero, tenutosi all’Università di Verona, il 7 giugno 2022.   Si tratta di AA.VV., Cristina Campo. Il senso preciso delle cose tra visibile e invisibile, comparso nel catalogo Mimesis per la cura di Chiara Zamboni (per ordini: mimesis@mimesisedizioni.it, pp. 119, euro 12,00).   La curatrice individua il fil rouge che attraversa i testi della silloge nella: «fedeltà alla realtà precisa del visibile che permette lo spostamento […] dello sguardo per il quale […] l’invisibile diventa l’autentica trama significante della realtà» (p. 7).
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  • Campo, in ogni suo scritto, invita il lettore ad un radicale “cambio di cuore”, atto a sperimentare, come accade agli eroi delle fiabe, la possibilità dell’impossibile.  La fiaba, infatti, allude, lo ricorda Wanda Tommasi, alla liberazione dalla dimensione “cosale” della vita, dalla “necessità”, in quanto il viaggio fiabesco: «s’inizia senza speranza terrena» (p. 13).  Eroe (da eros) è colui che è disposto a perdere se stesso, affidandosi in via esclusiva all’insperabile.  L’impossibile non va cercato, conquistato per un atto di volontà.  Al contrario, esso viene da sé.  Ci invade come Grazia.  Per tale ragione Cristina, sulla scorta di Simone Weil, colloca il sapere fiabesco a fianco dei racconti evangelici.  I precetti che se ne possiamo trarre, sono legati alla vita, al suo continuo mutare.  Non casualmente, al centro del narrato spesso compaiono le fate, termine la cui etimologia rinvia al destino: la fiaba permette di riannodare i due estremi dell’esistenza, infanzia e vecchiaia.  Il viaggio dell’eroe si chiude ad anello nello stesso punto dal quale aveva preso inizio.  Si tratta di un “avanzare di ritorno”, simile a quello messo in atto dai marinai per ritrovare la giusta rotta.  La scrittrice applica all’esegesi della fiaba il tema della grazia sovrabbondante, presente in tanta letteratura mistica.  Il protagonista consegue, in un percorso irto di prove, l’illuminazione: il suo sguardo sul mondo si trasforma, giunge il “risveglio”: «il lieto fine della fiaba - è donato in sovrappiù, come un soprammercato che si sottrae agli scambi commerciali» (p. 15).
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  • La fiaba consente la metamorfosi della mera vista in percezione: capacità di riconoscere ciò che veramente esiste nelle cose, vale a dire l’invisibile.  Campo è convinta vi sia: «stretta relazione fra il corporeo e lo spirituale nell’esperienza religiosa» (p. 17).  Tale verità, era, per i primi cristiani, lapalissiana.  Successivamente fu sopraffatta dall’affermarsi della visione dualista, mirata al disprezzo della carne. Cristina torna ad affermarla accoratamente, quasi in termini bruniani, richiamando l’attenzione sulla “Forma formate”, che palpita negli enti di natura.  Nel molteplice si dà l’Uno: «il divino attraversa e coinvolge il sensibile […] corpo e spirito non sono separati, ma intimamente uniti e potenziati dalla relazione con il divino» (p. 18).  Del resto, nella poesia Diario bizantino, l’Imperdonabile aveva, con grande forza, affermato di appartenere all’altro mondo, al regno dell’assoluto e dell’invisibile.   n tema, Francesco Nasti ricorda che fiaba, poesia e preghiera, a dire della scrittrice, sono “ancelle del destino” intrecciate una nell’altra, forme di mediazione che manifestano la Realtà.  Si tratta, per usare il felice titolo di Florenskij, di Porte regali, spalancate sull’“oltre”, in quanto: «Tutte e tre attingono una medesima fonte, quella del rito e della liturgia, che le rende partecipi di uno stesso mistero» (p. 29).  Monica Farnetti si intrattiene sull’interesse della nostra autrice per la poetessa Gaspara Stampa, le cui liriche d’amore sono sostenute da vera e propria venerazione per la dimensione creaturale dell’uomo.  Da esse si evince lo stretto parallelismo tra amore carnale e unione spirituale con Dio, oltre alla necessità che l’anima “in cerca”: «continui ad amare a vuoto […] Allora viene il giorno in cui Dio le si mostra e le rivela la bellezza del mondo» (p. 47), come accade nelle fiabe.
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  • L’intera opera della Campo, nota Laura Boella, è segnata dall’incompiutezza.   Pensata nell’età dell’assenza, i suoi modi “dell’incognito”: «sono esempi di materiale infiammabile che può svilupparsi, stilizzarsi in direzioni che conservano delle origini solo vaghi cenni» (p. 56). A essi sono sensibili le figure del pellegrino e del folle, disdegnati dal mondo, e che, di contro, sono sostenuti dalla potenza invisibile delle cose, per loro palese (Antonietta Potente).  Si badi, diversamente da Bruno, i mondi, cui allude Campo, sono sorretti: «da un rapporto di analogia, eppure mai completamente identici né sovrapponibili […] mondo visibile e invisibile comunicano continuamente» (p. 76). Quello della poetessa è sapere simbolico, unitivo.   La sua poesia è unità di forma e idea che, anagogicamente, invia al vero (Vittoria Ferri).  Il poeta è in ascolto, non parla, è parlato da voci a lui sintoniche che, in tempi diversi, si sono poste sul suo stesso cammino (Andrea di Serego Alighieri).
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  • Cristina amava l’oralità, come l’amico filosofo Andrea Emo, la liturgia greco-bizantina, organizzata in canti solenni, la preghiera del cuore dell’esicasmo salmodiata a voce alta: «Il poeta, come il tessitore di tappeti, sa cogliere i legami tra le parti creando un insieme armonico a cui imprime un ritmo che è fedele alle cose […] e all’invisibile» (p. 101).  Chiara Zamboni chiarisce come, nell’universo della Campo, rivesta un ruolo di primo piano la mistica iraniana ed il mondo immaginale, di cui ha esemplarmente detto Corbin: «questo mondo intermedio è contemporaneamente sia mediatore che performativo» (p. 102).  Esso dà segno di sé in topoi del tutto particolari, conclusi, il tappeto di preghiera, il giardino, il chiostro monastico, la poesia.  Si tratta di: «uno spazio (spazi) abitando il quale (i quali) si può accedere alle radici della verità spirituale» (p. 103).   Obbedendo al segreto della nostra vita, ponendoci in cammino: «compiamo da soli il percorso eppure siamo in due» (p. 106).   È l’archetipo, a dire di Zolla che alla Campo fu sentimentalmente vicino, della diade dell’Uno: l’inizio è la fine e viceversa.  Tutto è in Dio, ma solo: «Nel momento in cui la trasformazione in avanti realizza il cammino degli inizi, allora la forma che ci guida ha realizzato la sua funzione» (p. 109).
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  • La possibilità dell’impossibile è inizio e meta, segno tangibile del miracolo della vita.  Campo ha dato voce all’eco del nulla-di-ente che anima la physis.