• Rebatet

  • Lucien Rebatet
  • Un rivoluzionario decadente
  • Claudio Siniscalchi
  • riporta l’attenzione sul collaborazionista francese
  • rec.  di
  • Giovanni Sessa
  • Negli ultimi anni, nel panorama editoriale italiano, sembra essere in atto un ritorno d’interesse per il fascismo francese. Claudio Siniscalchi è tra gli autori che hanno maggiormente contribuito a questa rinascita di studi tematici. Lo mostra la sua ultima fatica, Un rivoluzionario decadente. Vita maledetta di Lucien Rebatet, nelle librerie per i tipi di Oaks editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 182, euro 20,00).   Rebatet, argomenta l’autore, è vero e proprio paradigma di quell’ampia pattuglia di intellettuali che lessero la storia della Francia moderna in termini di decadenza, ma che, in realtà, erano radicati in profondità in quel mondo.
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  • Rebatet nacque nel novembre del 1903 nell’antico Delfinato. Fu educato in un istituto scolastico retto da religiosi, verso i quali maturò un disgusto incontenibile. Il padre, notaio di fede repubblicana, la madre, cattolica di origini napoletane, non riuscirono ad attrarlo verso i rispettivi mondi ideali. Nel 1923, il giovane Rebatet giunse a Parigi. Nella capitale studiò letteratura alla Sorbona e frequentò assiduamente Montparnasse, quartiere eccentrico dove ferveva un’intensa vita notturna e nel quale si tenevano innovativi eventi culturali e artistici. In quegli anni ebbe inizio la sua collaborazione alle pagine dell’«L’Action française» di Maurras, dapprima come critico musicale e successivamente cinematografico. A differenza di Maurras, Rebatet «non è cattolico né antitedesco» (p. 19). Dotato di stile graffiante, i suoi pezzi hanno subito successo. La sua ascesa ai vertici dell’intelligencija della “destra” d’oltralpe, ebbe inizio nel 1932. In quell’anno suoi contributi apparvero sul settimanale «Je suis partout». Su queste colonne realizzò il passaggio dalla critica cinematografica alla polemica politica. I suoi scritti testimoniano il graduale superamento delle posizioni maurrassiane, in direzione del pieno appoggio alla causa “fascista”.
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  • Nel presentare l’iter intellettuale e politico di Rebatet, Siniscalchi disegna un quadro organico del variegato e vivace mondo intellettuale del “fascismo” francese, discutendo i rapporti che intercorsero tra i maggiori interpreti di quella fazione intellettuale e politica. Giunge, pertanto, a formulare giudizi equilibrati, in linea con i dettami della ricerca storica. In particolare, chiarisce come l’avvicinarsi di Rebatet alla Germania nazionalsocialista sia da ascriversi alla ferma convinzione che i nemici della Patria fossero “interni” e andavano individuati nei: «nord-africani, neri, gialli, russi vecchi e nuovi, minatori polacchi, italiani» (p. 23), giunti in Francia per le più disparate ragioni. Tali categorie, ben presto, saranno sostituite dal nemico per antonomasia, l’ebreo. I rivoluzionari e gli ebrei che avevano lasciato la Germania dopo il 1933 si erano incontrati con gli esuli antifascisti italiani ed avevano costituito l’internazionale antifascista. Ad essa bisognava opporre, a dire dello scrittore, l’internazionale fascista.
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  • Matura così, anche in Rebatet, oltre che in La Rochelle, l’idea di un fascismo europeo quale unica risposta possibile alla decadenza del nostro Continente.  La febbre antisemita si radicalizzò in Francia, con la conquista del potere da parte del Fronte popolare di Blum. Rebatet, ci dice Siniscalchi, resta comunque lettore attento del contemporaneo.  A seguito della pubblicazione dell’Histoire du cinéma di Brasillach e Bardèche, mostrò di non condividere l’esegesi estetica neoclassica di Maurras e vide nel cinema un’arte dalle straordinarie potenzialità. Non fu critico cinematografico animato da pregiudiziali antiamericane : «Nei film di Hollywood […] trova spesso opere sane e spontanee, vitali e virili […] Opere prive di superficialità e falsità» (p. 49). Nel 1937, giunge a definire La grande illusione, film stroncato in Italia da Luigi Chiarini, miglior prodotto dell’anno. Non sopportava, inoltre: «il pessimismo morale proprio dei film più significativi del “realismo poetico” francese» (p. 52). Rebatet diventò durante l’Occupazione il più importante critico cinematografico del paese. A suo dire, agli “ariani” e francesi Lumière e Méliès si doveva la nascita del cinema: «Gli “ebrei” hanno raccolto i copiosi frutti economici di questa invenzione» (pp. 73), tanto in Europa quanto negli Usa.
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  • Il collaborazionista non fa che applicare lo schema che Wagner elaborò per il suo scritto sul giudaismo musicale alla storia del cinema. Ne risulta, rileva Siniscalchi, una “falsificazione” della storia cinematografica francese. L’attività di scrittore di Rebatet ha il proprio momento apicale in due libri. Il primo, Les décombres, può essere considerato il vero e proprio manifesto ideologico della “tentazione fascista”.  Fu un successo imprevisto e immediato. In esso il Nostro: «attacca con rara violenza istituzioni, partiti, uomini politici, intellettuali, auspicando […] la “degiudaizzazione” del paese». (p. 100)   Il volume fu scritto tra il 1940 e il 1942. Rebatet era convinto dell’inanità del tentativo politico messo in atto a Vichy: solo un autentico fascismo francese avrebbe potuto risollevare la Francia, in forza del socialismo nazionale.  Con la Liberazione di Parigi, dopo una fuga rocambolesca, Rebatet venne arrestato, condannato a morte anche se la condanna fu presto commutata in carcere a vita.  In realtà, rimase nelle prigioni francesi per alcuni anni.
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  • Nel 1951 uscì un suo nuovo romanzo, I due stendardi.  Letterariamente si tratta di un ritorno a Proust, l’ispirazione profonda è invece nietzschiana e anticristiana.  Siniscalchi, facendo riferimento agli studi di Del Noce e Voegelin, inquadra le tesi espresse in questo volume nelle posizioni rivoluzionarie e neo-gnostiche moderne, nelle religioni politiche. Per quanto ci riguarda, la cosa sorprendente nel francese, è che l’adesione alla visione “pagana” della vita lo indusse ad abbracciare la causa nazional-socialista. Al contrario, per chi scrive, memore in tema della lezione di de Benoist, ma non solo, il nazismo fu tipica espressione di monoteismo politico, “Un Popolo, un Reich, un Capo”, niente di più lontano dalle concezioni che discendono da un approccio politeista al mondo.
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  • In ogni caso, Rebatet, durante il drammatico dopoguerra, visse in solitudine, emarginato, non abiurando, si badi, le idee che con tanta veemenza aveva difeso negli anni precedenti.  Merito di Siniscalchi avere riportato al centro del dibattito queste idee e le vicende in cui lo scrittore fu coinvolto.