• Matriarcato

  • Del
  • Matriarcato
  • Le società matriarcali e la nascita del patriarcato
  • rec. di
  • Giovanni Sessa
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  • È nelle librerie, per i tipi di Mimesis, un volume della filosofa tedesca Heide Goettner-Abendroth, Le società matriarcali del passato e la nascita del patriarcato. Asia occidentale e Europa, la cui traduzione si deve a Luisa Vicinelli e Nicoletta Cocchi (per ordini: 02/24861657, mimesis@mimesisedizioni.it, p. 583, euro 28,00).  L’autrice, docente di Filosofia moderna a Monaco di Baviera, ha lascito l’insegnamento accademico per dedicarsi allo studio della cultura femminile.  Nel 1986 ha fondato l’International Academy Hagia, che si occupa di studi matriarcali e spiritualità matriarcale.  L’opera che sinteticamente presentiamo è il risultato di decenni di lavoro sul campo. Sotto il profilo metodologico, la pensatrice si è servita dei più rilevanti contributi forniti sul matriarcato dall’antropologia e dall’etnologia, relativamente ai popoli matriarcali ancora esistenti, ma si è altresì avvalsa delle ricerche archeologiche più accreditate, visitando, in prima persona, i siti delle aree geografiche oggetto di studio. Metodo induttivo il suo, mirato a liberare gli studi tematici dal pregiudizio “patriarcale”: «obiettivo del libro è di offrire un contributo che possa porre rimedio al pregiudizio e, attraverso un metodo integrato, riscrivere e riequilibrare la storia della cultura umana» (p. 13).
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  • Goettner-Abendroth ritiene che il termine “matriarcato” non sia l’opposto concettuale di patriarcato, in quanto non legge il temine nel senso di “dominio o regola della madri” ma ritiene che esso significhi “in principio le madri”.   Le sue tesi prendano le mosse dal “padre” degli studi matriarcali, lo svizzero J. J. Bachofen, autore nel 1861 di Das Mutterrecht.  Le ricerche condotte presso le popolazioni matriarcali hanno indotto l’autrice a formulare una compiuta definizione di tali società. Esse sono, a livello economico, società di reciprocità costruite su un’economia di equilibrio, in cui i beni vengono ripartiti attraverso il dono. A livello sociale si basano sulla parentela matrilineare e, al loro interno, i sessi hanno un ruolo paritario e complementare. Il matriarcato è, politicamente, una società del consenso, in cui un ruolo centrale è rivestito dai clan e in cui vige un sistema di delega affidato agli uomini. A livello culturale, tali società sono fondate sulla sacralità e sull’idea di animazione universale: «la visione del mondo è incentrata su un divino femminile […] immanente e non trascendente, (che) include anche il maschile» (p. 21).  Detto questo, l’autrice precisa che tale impianto definitorio è di tipo “aperto”, può essere modificato da nuove acquisizioni d’indagine: «Il punto è non proiettare nessun “tipo ideale” di società fisso e immutabile, stabilito in astratto e in cui può rientrare qualsiasi cosa» (p. 23).
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  • La filosofa rifiuta la rigida distinzione proposta dalla storiografia “ufficiale” tra storia e preistoria. Alla luce di tale dicotomia, la storia avrebbe inizio con l’instaurazione di modelli patriarcali: gerarchia sociale, fondazione di stati territoriali e nascita di religioni dogmatiche.  Al contrario, è necessario includere: «nella storia dell’umanità tutte le conquiste culturali compiute dalle donne e dagli uomini fin dai primordi» (p. 33), ponendosi oltre la visione lineare dello sviluppo degli eventi umani e della conseguente esaltazione del progresso. Goettner-Abendroth decostruisce l’idea che le ere primeve siano state connotate dalla “guerra infinita”, secondo la nota tesi dell’archeologo Lawrence Keeley.  Le guerre “preistoriche” sarebbero, in realtà, “faide”, conflitti temporanei e limitati, indotti da motivazioni marginali (furti, insulti, ecc.), il cui obiettivo non era di uccidere e sterminare il nemico: «il più delle volte si tratta di combattimenti per procura tra capi di schieramenti diversi» (p. 36). L’aumento demografico del neolitico non fu immenso, ci furono emigrazioni pacifiche, una distribuzione naturale della popolazione sul territorio. Il sorgere delle città megalitiche non fu il risultato dell’azione di un “Big Man” che avrebbe voluto impossessarsi di un dato territorio, in quanto tali fortificazioni all’inizio erano difese che tutelavano da disastri naturali. A tale quadro va aggiunto che gli studi archeologici più recenti hanno smentito la violenta pratica del cannibalismo in tale età.
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  • La guerra organizzata comparve solo con l’Età del Ferro e, nelle culture orientali, a muovere dall’Età del Bronzo, vale a dire con l’affermarsi del patriarcato. Ciò non significa, chiosa l’autrice, che prima gli esseri umani fossero angelicati. Anzi, esistevano forme di violenza spontanea, sedate da: «una gamma di strategie per la risoluzione dei conflitti» (p. 51), espressione dei valori materni. Nel paleolitico, in particolare, vigeva un’economia di raccolta e caccia mentre la visione del mondo era permeata da una religione della rinascita e la Terra era esperita quale Madre Primordiale: la donna ne era immagine. In Asia Occidentale, nel neolitico, vigeva un’uguaglianza complementare tra uomo e donna. L’economia era incentrata su agricoltura e allevamento e si praticava un’equa distribuzione dei beni. La società era ordinata in clan matrilineari. Alla religione della rinascita si affiancò il culto degli antenati e delle antenate in linea materna, che indusse la consapevolezza della storia: «La visione del mondo può essere definita una cosmologia polare […] che incorporava anche la polarità femminle-maschile» (p. 189).
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  • Il neolitico in Europa vide un’economia di sussistenza gestita dalla donne, mentre gli uomini si dedicavano alla lavorazione dei metalli e alla pratica edilizia. Nonostante la specializzazione tecnica, venne salvaguardata l’equa distribuzione dei beni. Le alleanze tra clan portarono alla nascita di società di parentela. Furono eretti monumenti per la religione della rinascita. Le madri primeve divennero dee: dea bianca (nascita), dea rossa (conservazione della vita), dea nera (fine della vita e rinascita). Presto i cambiamenti climatici nelle steppe euroasiatiche impedirono la pratica agricola. Si diffusero allevamento e pastorizia centrate sull’addomesticamento del cavallo e nacquero i primi conflitti tra confinanti. Con il nomadismo nacque il carro da guerra. Si affermò così il primo patriarcato con le sue élite guerriere e il relativo modello di dominio. Il bestiame divenne proprietà privata. Gli dei “maschili” furono considerati uranici, le dee femminili “inferiori”, ctonie. Situazione non dissimile visse la Mesopotamia, dove ci fu un graduale passaggio dal tardo-matriarcato al patriarcato. A Creta si registrò una resistenza al patriarcato durante l’Età del Bronzo, mentre nell’Ellade si affermarono gli Achei e popoli di pastori-guerrieri dorici che imposero un rigido dominio dei padri. Al contempo, la cultura matriarcale etrusca fu distrutta dai Romani nel mentre il patriarcato si affermava in Europa oltre le Alpi.
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  • I meriti del volume sono considerevoli, anche se chi scrive ne rigetta l’impianto generale dualista, la contrapposizione del maschile e del femminile. L’autrice, del resto, è consapevole della complementarietà dei sessi nelle società matriarcali. Il ritorno dell’origine presuppone l’equilibrio della polarità maschile-femminile, non il loro eterno confliggere.