• La guerra addosso

  • La guerra addosso
  • Cronache storico-familiari di Giuseppe Del Ninno
  • rec.di
  • Giovanni Sessa

  • È nelle librerie l’ultima fatica di Giuseppe Del Ninno. Si tratta di, La guerra addosso. Grandi guerre e piccole storie familiari, apparso nel catalogo di Oaks editrice (per ordini: info@akseditrice.it, p. 152, euro 18,00). Usciamo da poco dalle lettura di questo testo coinvolgente e, soprattutto, ben scritto. Un’opera nella quale emerge la grande considerazione che l’autore nutre per i valori incarnati dall’istituto familiare, inteso quale luogo della tradizione, della trasmissione di valori condivisi. Del Ninno disegna la storia della famiglia da cui discende e di quella della moglie Patrizia, nella cornice storica che va dall’esplosione della prima guerra mondiale al termine del secondo conflitto, quando in Italia divampò la guerra civile.
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  • È convinto, e noi con lui, che un periodo tragico, divisivo, come quello indagato, possa essere compreso ponendo al centro dell’attenzione il quotidiano, il vissuto degli uomini. I singoli capitoli sono dei “medaglioni”: ritratti in cui fa rivivere l’atmosfera di ambienti e vicende, dalla quale si evince una visione della vita centrata sulla pietas. Lo scrittore ha contezza che nella storia e, più in generale, nelle relazioni umane, la verità non sta mai da una parte sola. La vulgata storiografica ha sempre presentato i “vinti” della storia del Novecento quali unici responsabili di quanto accade alla metà del “secolo breve”. La vita realmente vissuta, che palpita nel narrato, mostra, in tutta evidenza, il contrario: il bene e il male si presentano nel mondo, il più delle volte, commisti.
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  • La guerra addosso è un volume davvero “uscito dal cassetto”. Del Ninno resuscita i ricordi   rievocando incontri, ma non trascura il ruolo evocativo che hanno le vecchie fotografie ingiallite, tirate fuori da qualche vecchio armadio, atte a stimolare la proustiana memoria involontaria, capace di ricreare atmosfere sopite nella nostra coscienza. Per tale ragione il libro è impreziosito da un suggestivo apparato fotografico. Queste pagine possono esser avvicinate a un precedente letterario, di spessore e successo, il libro di Alessandra Lavagnino, Le bibliotecarie di Alessandria, affresco familiare intrecciato con la storia d’Italia nella prima metà del secolo scorso.
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  • Aspetto non secondario del libro di Del Ninno è l’aver colto come la partecipazione ai conflitti da parte dei protagonisti, il più delle volte non fosse dettata da scelte politiche, ma dall’accettazione del destino o dal: «dal coraggio innescato dalle circostanze e, almeno per i più giovani, quel pizzico di incoscienza tipico dell’età» (p. 11). Protagonista implicito delle storie è il silenzio, la reticenza in merito a quegli eventi mostrata da quasi tutti i parenti interpellati. Il dolore è sempre qualcosa di individuale, di segreto: si tende a celarlo nella coscienza. Entriamo ora in alcuni degli episodi e delle cronache familiari che costituisco il volume. Innanzitutto, nelle vive cose che riguardano un antenato della famiglia della moglie, originario di Campo Tures, Lorenz. Provetto sellaio e membro della banda del paese, provò una scossa esistenziale non comune all’annuncio dell’attentato di Sarajevo. L’idillio mitteleuropeo di quest’area dolomitica venne definitivamente meno nel luglio del 1914: data dell’arruolamento nell’esercito Imperiale dei suoi uomini, tra questi Lorenz, marito e padre. Nel 1916: «a Lorenz era stato ordinato di comandare il plotone che avrebbe accompagnato al patibolo» (p. 23), gli irredentisti Filzi e Battisti. Dopo l’esecuzione, alcuni militari austriaci urinarono sui cadaveri dei “traditori”. Solo gli uomini agli ordini di Lorenz, si sottrassero all’onta di questo gesto ignobile.
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  • Manlio, familiare di origine campana, combatteva nel Regio esercito italiano. Partecipò agli assalti in trincea. L’autore ricorda il suo ferimento: nei momenti immediatamente successivi, i suoi affetti, l’intera vita gli scorsero davanti agli occhi. Con molto sforzo riuscì ad avvicinarsi alla trincea, a trovarvi riparo. Dopo il ricovero in un ospedale militare, rientrò a casa e come molti altri combattenti, non vide riconosciuto il proprio sacrificio. Anni dopo: «sarebbe stato difficile […] riconoscere quel valoroso ufficiale di tanto tempo fa nell’anziano […] affossato nella sua poltrona» (p. 34). Bellissimo il ritratto di Romolo, calderaio che, dalla nativa Ciociaria, la guerra avrebbe proiettato in una contrada rurale dell’Impero, dopo essere stato catturato dal nemico. Fu ospitato in una fattoria in cui avrebbe dovuto sostituire il “capo famiglia”, anch’egli spedito al fronte. Nacque un amore con la padrona di casa: l’amena bellezza del luogo, il lavoro dei campi restituirono alla vita di Romolo un’apparente normalità. Al momento del rimpatrio: «provò un intreccio di sentimenti contraddittori: un’improvvisa nostalgia della famiglia […] e al tempo stesso un dispiacere acuto all’idea di lasciare quella nuova famiglia» (p. 45).
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  • Nei capitoli dedicati all’Italia fascista, Del Ninno offre: «degli scorci di vita quotidiana durante quel periodo, senza nasconderne o alterarne le realtà drammatiche, ma recuperando alle memorie familiari momenti e valori positivi ancor oggi» (p. 52). Ricorda la partecipazione di Guido alla guerra di Spagna e le vicende che videro coinvolto Aldo Boveri, collaboratore di Marconi, assegnato all’equipaggio di Bruno Mussolini. Nel 1938 fu protagonista della trasvolata, in due tappe, a Rio de Janeiro. Per quanto attiene alla seconda guerra mondiale, vengono presentate le figure del nonno Peppino e del padre Ormisda, coinvolto in un bombardamento aereo con la fidanzata, futura moglie, mentre si trovavano al cinema Aurora di Napoli. Tempo dopo, i due era seduti in un bar di piazza Municipio, quando si udì un allarme aereo: «Si guardarono negli occhi […] se pure fosse arrivata la morte dal cielo, li avrebbe colti insieme, come poi rimasero per sessant’anni» (p. 88). Del Ninno, rammemora anche il gesto eroico del caporale Giovanni Arena, cui fu conferita nel 1941, la medaglia d’argento al valor Militare, o il destino di Silvio e Maria che al momento dell’esplosione della bomba in Via Rasella a Roma, riuscirono a sottrarsi ai rastrellamenti tedeschi. Rilevante la storia della vita intensa del suocero dell’autore, Giuliano. Uomo dalle mille attività, compositore, imprenditore e medico, fu protagonista della Resistenza nel reatino, così come quella delle donne di famiglia che si distinsero, in Abruzzo, a difesa della popolazione locale.
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  • Chiude il libro la narrazione della tragica vicenda in cui fu coinvolto un amico dello zio Peppino, non fervente fascista ma che non volle girare le spalle al proprio passato. Preso alla sprovvista in casa davanti ai familiari durante le “Quattro giornate” di Napoli, fu percosso a sangue e fucilato seduta stante: «Ora è solo: un urlo disperato, lunghissimo si leva nel silenzio repentino. Poi il crepitare dei fucili» (p. 146). Nonostante la conclusione drammatica, si esce, dalla lettura rasserenati. Vera protagonista di queste cronache familiari è la pietas.