• Tilgher

  • Il pragmatismo trascendentale
  • Torna l’opera capitale di
  • Adriano Tilgher
  • rec. di
  • Giovanni Sessa

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  • La filosofia italiana della prima metà del Novecento, per chi scrive, non è stata affatto espressione “provinciale”, marginale, del pensiero europeo. Al contrario, l’Italian Thought, assai articolato per proposta teorica nel corso del secolo XX, ha espresso pensatori di tutto rilievo. Tra essi un ruolo centrale lo ha svolto Adriano Tilgher. La nostra asserzione ci pare confermata dalla lettura della nuova edizione della sua opera capitale, Teoria del pragmatismo trascendentale. Dottrina della conoscenza e della volontà, nelle librerie per InSchibboleth (per ordini: info@inschibboloethedizioni.com, pp. 357, euro 26,00). Il volume è curato da Michele Ricciotti, autore di un’introduzione organica, che consente al lettore di contestualizzare, sotto il profilo storico-teoretico, il pensiero di Tilgher. Il volume è, inoltre, arricchito da un’Appendice che raccoglie uno scritto dirimente in merito a, La polemica Croce-Gentile.
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  • L’iter speculativo del pensatore prese avvio, all’inizio del Novecento, sotto il segno di Croce. Il filosofo di Pescasseroli si spese a favore dell’intraprendente giovane, perfino per questioni personali: chiese e ottenne per lui un posto di bibliotecario a Torino e, successivamente, il suo trasferimento a Roma, presso la biblioteca “Alessandrina”. A lui affidò, inoltre, la traduzione della Dottrina della scienza di Fichte, che uscì per Laterza. Presto l’“irrequieto” Tilgher colse la problematicità della dottrina dei distinti. A suo giudizio, in Croce: «il passaggio dal “momento intuitivo” al “momento percettivo” sembrava avvenire per “un trapasso misterioso ed incomprensibile» (p. 11), nota il curatore. Tale “inspiegato” chiamava in causa: «la relazione di distinzione tra volizione e intuizione, che a sua volta implicava quella tra filosofia pratica e conoscenza teoretica» (pp. 11-12). Uno iato sembrava porsi tra i distinti e il loro “fuori”: lo si evinceva con chiarezza nell’arte. Il “sentimento”, contenuto dell’intuizione: «rischiava di sfuggire alle maglie del sistema» (p. 12). Tilgher faceva del “sentimento” un momento dialettico negativo. Tale posizioni vennero successivamente confermate, in modalità compiuta, nell’Estetica del 1931.
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  • Il pragmatista riteneva che, nell’Estetica crociana del 1902, l’arte fosse presentata quale conoscenza dell’individuale, che escludeva la materia caotica e informe. Successivamente, il pensatore abruzzese identificò tale materia con le forme dello spirito pratico. L’arte organizzava, per così dire, una materia già data, essa era ridotta a una: «teorica dell’intuizione» (p. 14). La Teoria raccoglie una decina di saggi pubblicati da Tilgher su riviste e giornali dal 1909 al 1914 che, rielaborati, andarono a costituire i dieci capitoli del volume. Il testo ha, pertanto, tratto sistematico. Nelle sue pagine, il punto d’avvio è da individuarsi nell’identità idealista di essere e conoscere. Ma, tale prospettiva speculativa, pone il conoscere, non quale dato ultimo, in quanto il suo principio sta: «nell’atto con cui lo spirito si pone come astrazione assoluta da ogni dato empirico, come volere puro» (p. 39), autoponentesi e autoaffermantesi. Pragmatismo trascendentale, pertanto, sempre in fieri. In questo contesto, torna ancora una volta in primo piano il tema dell’arte. L’originale esegesi tilgheriana si pone oltre le consuete letture della “morte dell’arte” hegeliana, e al di là della torsione storicista, che la questione ebbe in Croce: «L’arte non è affatto destinata alla fine “storica”, ma alla morte e rinascita dialettica» (p. 16). Solo il suo morire, la sua natura iconoclasta, le consente di risorgere in forme sempre nuove, in quanto la sua “forma” non può contenere l’autocoscienza, ma trascrive il ritmo vitale.
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  • Il ribaltamento dell’impostazione crociana esplicitava l’inevitabile temporalità dell’arte, la sua dimensione iperbolica. Per Tilgher è il “progresso”, il procedere, a fondare la storicità: «Non, quindi, progresso dell’arte, […] ma progresso nell’arte» (p. 145). Ad esser presente, nella dimensione poietica, è la dinamica dell’automediazione dell’immediato. Vita e pensiero sono in uno. In Teoria, l’ultimo capitolo testimonia una prossimità delle tesi tilgheriane a quelle di Gentile, bollato in seguito quale “bestione trionfante”. Dall’Appendice, inoltre, si evince come per il pragmatista, la polemica tra Croce e l’attualista, in realtà, fosse costruita su basi fittizie: i due erano più vicini di quanto entrambi ritenessero. Tilgher si pone a equa distanza dall’uno e dall’altro, rivendicando una sorta di primato cronologico nella critica alla filosofia crociana. Egli, fin dalle prime opere, era convinto che: «tra le “forme assolute dello spirito” non vi fosse […] alcuna gradualità […] ma rapporto dialettico tra opposti, oscillazione tra Io e non-Io, arte e filosofia, coscienza e autocoscienza» (p. 21), un convertirsi continuo. Cosa che indubitabilmente, rileva Ricciotti, avvicina Tilgher a Gentile: «Il primo della filosofia […] è […] un atto […] assoluto […] quindi negatività e libertà assolute, non ha nulla al di sopra di sé» (p. 334). A differenza dell’attualismo, si badi, per Tilgher: «l’autocoscienza restava un dato di partenza che […] andava dedotto. Di qui le riserve nei confronti di una coscienza intesa come atto puro» (p. 23), incapace di spiegare il divenire dello spirito.
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  • Al di là delle invettive antiattualiste de Lo spaccio del bestione trionfante, Tilgher ha contezza della svolta attualista (al pari di Evola ed Emo), in particolare per il modo di leggere la storia. Gentile esperisce il passato quale produzione del presente ribaltando, peraltro, la concezione aristotelica dell’atto puro. In tal modo, il filosofo di Castevetrano, restituì all’atto, depotenziato dallo Stagirita, la dimensione del possibile mai normabile, esponendo tanto la storia, quanto l’uomo, all’eterno novum della libertà. A parere di chi scrive, quest’esegesi dell’attualismo, è un lascito davvero prezioso. In tale tesi tilgheriana si riverbera l’eco dell’Io fichtiano. Purtroppo, l’immediatezza gentiliana rimase monade chiusa in se stessa, incapace di comprendere le “altre” immediatezze, sostiene Tilgher, e incapace di aprirsi alla stessa mediazione. Insomma, conclude Ricciotti, per contestualizzare l’esperienza tilgheraiana è necessario collocarla tra Croce e Gentile: «Non alla loro ombra, ma nell’interstizio che li separa e li unisce» (p. 30).
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  • Come scrisse Gian Franco Lami, che a lungo si spese su Tilgher, a proposito di Evola, anche il pragmatista trascendentale è autore che mira a compiere «un passo per la vita, un passo per il pensiero».  Dato lo stato attuale del dibattito filosofico, non è cosa di poco conto.