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  • Un inevitabile destino:
  • escatologia e pitagorismo romano nella vita politica e statale
  • di Roma nel I Sec. a.C.
  • tra religiosità popolare, sfera apollinea,
  • astrologia e pratiche divinatorie,
  • di
  • Gabriele Bux
  • Le prospettive escatologiche dei pitagorici romani del I sec. a.C. pare presentino un nesso con l’escatologia, l’astrologia e le pratiche oracolari e divinatorie in cui assumono rilevanza la religiosità popolare e in particolare la figura di Apollo.  Vorremmo chiarire il valore politico di queste riflessioni sui destini finali del mondo umano e naturale, nel periodo che in Roma vede il declino della repubblica il sorgere dell’impero.
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  • Va detto che le vicende neopitagoriche a Roma si intrecceranno con le dottrine di Posidonio – pensatore stoico nato ad Apamea, vissuto presumibilmente dal 135 al 51 a.C.. (1)   Il posidonismo  riprende molti dei lineamenti metafisici dello stoicismo antico fra i quali «immortalità dell’anima, palingenesi, fondatezza della divinazione» (2) da cui il neopitagorismo attingerà pienamente.  Punto di incontro cruciale tra queste due correnti è la concezione dell’universo come ordinato e presieduto da un principio razionale. Tale visione cosmologica giustifica l’efficacia delle arti divinatorie e dell’astrologia, nonché fornisce un’interpretazione teoretica di alcune credenze della religiosità popolare avallate anche dai neopitagorici romani. Tuttavia la specificità del neopitagorismo romano,ci sembra essere quella di un movimento intellettuale dalle radici eterogenee in cui i vari aspetti che lo compongono  (3)  formano un complesso organico subordinato a un risvolto sociale e politico ben preciso: quello di vedere riflessi i destini del mondo in quelli di Roma.  Il termine dei cicli universali e la palingenesi, divengono allora nei neopitagorici rappresentazione di una rinascita-restaurazione all’insegna della pace sociale e della giustizia.
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  • La maturazione del legame fra astrologia, divinazione ed escatologia non si sviluppa appieno prima del I sec. a.C.. Leonardo Ferrero (4)  spiega come «Il pitagorismo romano dalle sue origini al II sec. a.C. è improntato soprattutto agli interessi dominanti della religiosità e dell’ordinamento politico, mentre la fisica gli è affatto estranea». (5)  Dopo il II sec. a.C. torna l’interesse verso gli astri e la divinazione collegato, sembra, alla diminuzione del peso politico e istituzionale delle dottrine pitagoriche (6) i cui seguaci si organizzano in comunità iniziatico-esoteriche. Il settarismo assunto dal pitagorismo romano si concretizza nella figura di Publio Nigidio Figulo. Personaggio misterioso e affascinante, è di indubbia importanza in questo contesto, visti i suoi contatti con le posizioni mistico-scientifiche di Posidonio.  (7)   Si ha l’impressione che Nigidio e i proseliti del pitagorismo a lui coevi, connettano le discipline profetiche e oracolari, l’astrologia e la speculazione escatologica. Il filo rosso tra questi elementi culturali crediamo stia nella sfera religiosa apollinea. Occorre però prima prestare attenzione alle parole di Alberto Gianola  (8) riguardo all’impatto di magi e astrologi nel panorama sociale romano dal II sec. a.C. sino all’età augustea.
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  • «Abbastanza numerosi in Roma nel II e I secolo a. C., col decadere dei culti ufficiali e l’infiltrarsi di riti stranieri, massimamente dall'Egitto e dall'Asia, divennero a grado a grado così potenti da trovarsi persino ad essere qualche volta arbitri delle sorti dello stato». (9)    Con queste personalità – sapienti o ciarlatani che fossero – si misura il pitagorismo romano di questo periodo. Sappiamo che venivano chiamati – senza troppe distinzioni – caldei, maghi o genetliaci e che differissero dagli indovini o mathematici per un deciso orientamento filosofico-speculativo: «[…] gli uni partivano dal concetto che gli dei manifestassero la volontà per mezzo di segni celesti; gli altri dal concetto che tutto fosse armonico e regolato da leggi e da rapporti immutabili nell’universo; e che quindi all’apparire di determinati fatti o fenomeni dovesse normalmente seguire l’avverarsi di determinati eventi umani». (10)
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  • Questi aderirono a diverse credenze derivate dalla religiosità popolare che vollero configurare su un piano filosofico-scientifico. Le più significative sono: la resurrezione della carne, connessa ad alcune predizioni dei responsi sibillini, l’idea che gli eventi umani si potessero prevedere osservando i corpi celesti  (11)  e poi – molto diffusa tra i magi – l’identificazione del Sole con Apollo. L’immagine apollineo-solare è espressione simbolica della tappa finale dell’intero ciclo cosmico che Gianola identifica nella conflagrazione universale. Al termine di quest’ultima, rinnovato l’universo, si sarebbe ristabilita una nuova età dell’oro per gli uomini, ritornati a nuova vita.  (12)   Le convinzioni appena esposte, condivise dai genetliaci, sono avvalorate dai pitagorici romani loro contemporanei in un quadro escatologico dal messaggio politico. La loro escatologia presenta un versante apollineo la cui accezione palingenetica – di matrice stoico-posidoniana – segna l’inizio di una vera e propria renovatio. In più l’aspetto oracolare e profetico del Dio fa da sfondo culturale alla sua essenza apocatastatica.   (13)
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  • La presenza letteraria di questa prospettiva apollinea e rinnovatrice del cosmo è rintracciabile – secondo un prezioso studio di Carlo Pascal (14)  – in alcuni autori dell’età augustea.   (15)    Celebre a tal proposito è la profezia della Sibilla Cumana contenuta nella IV Egloga delle Bucoliche virgiliane. (16)   Qui si parla di un’età di Apollo, una futura età aurea caratterizzata da pace e prosperità durante la quale l’universo e l’umanità sarebbero rinati.  (17)  Questa fase sarebbe succeduta ad un’epoca di estremo decadimento umano: quella del ferro. (18)  Un commentatore romano di Virgilio, Servio, (19)  spiega la profezia attribuendo «alla sibilla Cumana una divisione delle età del mondo per metalla (le quattro età, dell'oro, dell'argento, del bronzo o di ferro — che appartengono veramente alla tradizione classica da Esiodo)».  (20)   Opera poi una «divisione della storia del mondo in 10 periodi, o dieci settimane, di cui 7 sono passate, le tre successive destinate al regno messianico, che, alla fine della 10 settimana «sarà conchiuso dal Giudizio». (21)  L’ultima età descritta nell’oracolo sibillino – quella dell’oro – viene nel responso, riporta Servio, associata al Sole a sua volta identificato con Apollo.  (22) 
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  • La ricezione dei pitagorici del tempo della renovatio apollinea è abbastanza esplicita e presumibilmente si inscriveva in una rappresentazione simbolica dell’andamento di una società e cultura a loro sfavorevole. Il mutamento dello scenario politico  (23) esercitò un peso non secondario sul pensiero dei seguaci del pitagorismo nella Roma del tempo, infatti il fenomeno storico-filosofico detto «neopitagorismo romano» nasce in circostanze socio-politiche avverse. Fra i suoi esponenti più illustri possiamo annoverare Nigidio Figulo e Varrone Reatino che ebbero un rapporto col potere politico che potremmo dire travagliato.   Publio Nigidio fu uomo colto e dottissimo. Amico – stimato e apprezzato – di Cicerone, quest’ultimo lo presenta come renovatoret ovvero «restauratore» del pitagorismo a Roma  (24) e ci informa della sua nomina a pretore tra il 59 e il 58 a.C.  (25)    L’assunzione della carica pubblica lo rese parecchio influente e in tal periodo – scrive N. D’Anna, (26)  «Nigidio appare nel pieno della sua funzione pubblica. Interviene nella vita politica, è ("acerrimus civis") un rigido accusatore di malefatte, consiglia gli amici potenti, nel 52 viene addirittura mandato in Cilicia e nei regni del Vicino Oriente quale membro di una legazione per conto dello Stato» (27)    Fece parte di un «Collegio sacro, esclusivo ed autorevole come quello degli Aruspici e la cui attività rituale era stata tale da investire spesso la stessa funzionalità dello Stato».  Schieratosi nella diatriba tra cesariani e pompeiani  (28)  a favore dei secondi, a seguito della vittoria dei primi, nel 49 a.C. venne esiliato, e poco dopo, nel 45 a.C., spirò.  (29)  È difficile pensare che le istanze filosofiche, spirituali e cultuali nigidiane – in cui gli elementi astrologici e divinatori assumono una funzione escatologica – siano disgiunte dagli ideali etico-politici di questo erudito. Ciò pare corroborato da vari argomenti, fra cui due – per noi – parecchio significativi.  Una prima motivazione risiede nel suo prestigio intellettuale, tramite cui acquisì una notorietà sufficiente a riunire dei proseliti in un sodalizio. L’organizzazione del sodalicium è di tipo settario e si sostiene che: «verosimilmente intendeva riprodurre la struttura iniziatica dell'antico pitagorismo.  E tuttavia questo sodalizio deve aver avuto anche una sua "proiezione" politica a fianco della parte conservatrice, una presenza talmente cospicua da spiegare, almeno in parte, l'ostilità mai venuta meno dei cesariani nei confronti di Nigidio». (30)     D’anna cita poi la tesi di B. Gallotta (31) – malgrado la veda azzardata – (32)  che vede la ricostituzione di un’associazione pitagorica a Roma come un fenomeno di matrice reazionaria. (33)  Il secondo argomento è costituito dall’appartenenza del renovatoret agli ambienti conservatori.   Qui si contemplava l’ideale del primato politico degli optimates, la cui presunta superiorità morale e intellettuale (34) fondava il loro diritto a governare. È ipotizzabile che Nigidio condividesse almeno parzialmente il modello etico dell’ottimate.  (35)   Le sue idee politiche di stampo conservatore è probabile lo rendessero ostile tanto verso l’acquisizione di potere da parte di esponenti dei populares, (36)  quanto nei confronti delle tendenze anti-nobiliari. (37)  Questa diffidenza si ripercosse sulla condizione degli intellettuali conservatori, per cui: «la decadenza dell’aristocrazia conservatrice impediva anche l’attuazione di una politica culturale a largo respiro, e, venute meno le obiettive condizioni di fatto, l’opera degli intellettuali dovette arroccarsi nelle eccelse torri di una sapienza segreta e raffinata, dovendo abbandonare il campo della libera propaganda»  (38)  
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  • L’atteggiamento ritirato delle élite colte e aristocratiche riguarda anche Nigidio e i suoi adepti, oltretutto attanagliati dalla sempre crescente preoccupazione verso il problema del fondamento e dell’indirizzo etico e politico dello stato romano. (39)  In relazione a questo tema acquista senso la renovatio apollinea nella filosofia neopitagorica. La concezione della palingenesi configurata nel «regnum Apollinis» (40)  solare, emerge dallo scritto teologico nigidiano – del quale abbiamo pochi frammenti – De diis. L’opera espone una più ampia ed elaborata dottrina delle ere cosmiche legata all’articolato discorso astrologico di un altro suo scritto, il De Sphaera.   (41) 
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  • D’Anna suggerisce l’ipotesi per cui parte del contenuto del De diis   (42)  delinei «una specie di storia spirituale del mondo contrassegnata da varie ère, ognuna delle quali era presieduta da una particolare divinità che in ordine decrescente indicava le varie fasi del decadimento del mondo».   (43)  L’esito del progressivo annientamento cosmico sarà l'ekpyrosis dunque «la risoluzione finale del mondo e la conflagrazione cosmica».  (44)     Intendiamo ora concentrarci su questi due aspetti della teologia di Nigidio: il decadimento del mondo e l'ekpyrosis. Sebbene la renovatio riconduca la dottrina delle età del mondo ad Orfeo, non va dimenticato che: «appare molto verosimile che ci si trovi di fronte ad un frammento di quelle numerose teogonie e cosmogonie fiorite e commentate in epoca tarda, ma che nella maggior parte dei casi costituiscono annotazioni di cicli narrativi risalenti ad un'epoca arcaica, forse tramandati oralmente, un insieme dottrinale genericamente definito "orfico" dagli autori antichi».  (45)
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  • Un’ulteriore impressione di D’anna richiama la nostra attenzione. Accostando le cosmologie esiodea e nigidiana, nota che nella prima «Esiodo traccia la decadenza del mondo attraverso la delineazione delle diverse, progressivamente sempre più povere "qualità" divine delle età intermedie, fino alla conclusione oscura del ciclo cosmico» (46) mentre nella seconda è assente «un particolare "segno" distintivo, una "qualità divina" in grado di differenziare ogni epoca dall'altra».    (47)   Il concetto d'inevitabilità nel principio della caducità cosmica, accentuato in Nigidio, si pone come processo graduale verso l’annientamento «purificatore» dell’ekpyrosis  «non ci sono età dell'oro e dell'argento assolutamente distinte, nelle loro valenze spirituali e nelle loro implicazioni di tipo cosmologico, dalle età del bronzo e del ferro; le stesse divinità preposte alle sue singole ère, e lo sviluppo narrativo che ne esplicita la presenza, lasciano supporre solamente una progressione verso l'ekpyrosis».   (48)
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  • L’ekpyrosis è anche un principio cardine della fisica stoica inteso come risultato di un processo inevitabile e necessariamente razionale. La vicinanza teoretica di Nigidio al posidonismo è stata reputata pressoché evidente,  (49)   tuttavia va ricordato che l’ekpyrosis apollineo-solare è caratteristica del pensiero di Cleante di Asso, fra i primi rappresentanti dello stoicismo ellenistico.  Alcune delle categorie concettuali adoperate dagli stoici antichi e da Posidonio sul piano cosmo-teologico, paiono compatibili con la riflessione nigidiana sul cosmo nelle sue applicazioni metafisiche ed etiche. Il discorso parte dalla constatazione per cui tanto Posidonio quanto gli stoici antichi definivano Dio come «pneuma diffuso nell'universo»». (50)  Questo «costituisce la sostanza di dio, dell'universo e dell'anima, è razionale e ovunque diffuso» e si identifica miticamente con Zeus che è  «il cosmo, il logos, la natura, la ragione, il destino». (51)  Presupposti del genere si oppongono alla teologia epicurea. Quest’ultima viene criticata da Posidonio, secondo cui:  «Epicuro non crede affatto all'esistenza degli dei, e che tutto ciò che ha detto sugli dei immortali lo ha detto per non attirarsi l'odio del popolo; del resto, non poteva certo essere cosi folle da plasmare dio come un manichino; al contrario, […] un essere esile e trasparente, incapace di aiutare gli altri, disinteressato di tutto e nullafacente. […] un essere di questo genere nοn può in alcun modo esistere e infatti Epicuro, ben consapevole di ciò, di fatto toglie di mezzo gli dei, sebbene a parole li mantenga».   (52) 
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  • L’opporsi della teologia stoico-posidoniana a quella epicurea si innesta sul concetto di destino «che dipende da Zeus» ed è «di triplice ordine: in primo luogo Zeus stesso, in secondo la natura e infine il destino». Il destino dipende da Zeus, il logos, quindi la «causa della realtà ο ragione che presiede allo sviluppo del cosmo».   (53)  Dunque, Posidonio e gli stoici pensano esista «una provvidenza»,  (54)   non a caso per loro «la divinazione è una tecnica, come dicono Zenone, Crisippo nel secondo libro del trattato intitolato La divinazione e Atenodoro e Posidonio nel secondo libro della Fisica e nel quinto de La divinazione». (55)   L’urgenza di rinvenire una razionalità dell’ordine cosmico è rintracciabile anche in Nigidio, non a caso D’Anna nota che nel De Sphaera«non si trovano facilmente nozioni di una semplice osservazione dell'influsso degli astri nella vita umana, non emerge affatto con evidenza che l'opera serviva "a trarre oroscopi", e tutta la compilazione appare indirizzata, invece, a chiarire le modalità stesse del divenire cosmico».  (56) 
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  • Il termine sphaera poi «appare connettersi direttamente alle concezioni antico-pitagoriche relative al kosmos e all'“ordine celeste" che sottende questa complessa analisi», nonché «deriva direttamente dal simbolismo di "perfezione circolare" che esprime, è uno di quei termini che svela direttamente la realtà rappresentata.  In perfetta sintonia con quanto aveva affermato Pitagora sulla struttura circolare del mondo e sulla sua raffigurazione».   Nel De diis troviamo raffigurata una struttura «in diversi quadranti di un "cosmo circolare" diviso in 16 parti», (57)  dove ogni regione cosmica corrisponde a una divinità. (58)   Tale raffigurazione fornitaci dallo scrittore – vissuto tra IV e V sec. d.C. – Marziano Capella   «è molto simile alla suddivisione teo-cosmogonica del Fegato di Piacenza, il celebre reperto del II-I sec. a.C.; in questo modellino di bronzo quasi sicuramente utilizzato dagli aruspici come supporto mnemonico nei rituali, gli dèi vengono disposti all'interno di due templa (= "spazi"): nella parte interna del fegato troviamo un gruppo di dodici divinità, mentre nel bordo esterno, il cosiddetto "nastro periferico" suddiviso in 16 parti, sono stati collocati 16 dèi, esattamente come nel fr. Nigidiano». (59)
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  • Questa architettura cosmologica e razionale sembra – esattamente come in Posidonio – giustificare le «diverse scienze chiamate a dare consistenza a questa speciale partizione del cosmo (teologia, cosmologia, numerologia, aruspicina e divinazione) non fanno altro che specificare una omogeneità di base del rapporto dell'uomo col mondo e con la realtà divina».   Sui presupposti appena espressi D’Anna conclude che: «Il De diis di Nigidio sembra metterci davanti ad un tipo di spiritualità che appartiene ad uno stadio molto arcaico della religione romana, forse scaturita da (o connessa a) forme rituali appartenenti al patrimonio religioso etrusco e a quello dei più antichi popoli italici, là dove la cosmogonia e la "teologia" si intrecciavano sapientemente con l'aruspicina, la divinazione e l'azione rituale, un mondo immacolato svelava il significato della presenza divina, e tutti gli interventi dello Stato, tutti i suoi pronunciamenti grandi o piccoli, le stesse manifestazioni della natura (cambio delle stagioni, temporali improvvisi, fulmini, apparizione improvvisa di corpi celesti, etc.) venivano considerate cariche di valenze divine che solo un apposito Collegio di àuguri o di aruspici poteva interpretare».
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  • Riassumendo, diciamo che le linee base della teologia e dell’escatologia nigidiana sono: l’intrinseca razionalità e ciclicità della vita cosmica, l’interconnessione fra dimensione antropologica e cosmologica, la decadenza progressiva e la distruzione del mondo nell’immagine dell’ekpyrosis intesa cosmologicamente come conflagrazione universale e – nel mondo umano – come  disfacimento totale della società e insieme sua rinascita.  Ferrero conferma che la divinazione nigidiana avesse «un interesse per i grandi avvenimenti politici che stavano mutando la scena del mondo»; (61)  inoltre, su Posidionio, aggiunge che nei «pompeiani, repubblicani e conservatori doveva far più presa l’insegnamento e l’influenza di questo filosofo».  (62)   L’altro volto del neopitagorismo  a Roma è Varrone Reatino; affine alle tesi filosofico-religiose e politiche di Nigidio   (63)  ne sviluppa le istanze teoretiche con un approccio diverso. Il pensiero nigidiano si snodava in una pluralità di aspetti (la divinazione, la componente rituale, il simbolismo sacro, la speculazione astrologica). Mentre l’interesse varroniano è incentrato «in un enciclopedismo […] maturo ed esperto» caratterizzato dal «gusto per la contemplazione di un paradigma scientifico armonicamente organizzato». (64)  Si rileva perciò «una differenza importante di atteggiamenti l’uno prevalentemente scientifico-culturale, l’altro pratico-religioso». (65)
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  • Marco Terenzio Varrone fece parte della nobiltà plebea (66) e «volle se non vivere, almeno morire secondo i dettami del rituale pitagorico: fu così sepolto in un sarcofago d’argilla con foglie d’ulivo, di mirto e di pioppo nero».  (67)  Cercò di percorrere «la carriera politica e quella delle armi a fianco di Pompeo e degli ottimati»  (68)  ricoprendo due volte – prima nel 67 a.C. e poi nel 49 a.C. la carica di legato pompeiano.  (69)  L’approccio filosofico-teologico varroniano – dalla forte componente aritmologica – «si presenta sotto un aspetto di indagine razionalistica e scientifica, di studio antiquario, non già di rito o di pratica cultuale come in Nigidio».  (70)   Gli studi di Varrone – diversamente da quelli nigidiani dove «l’istanza mistica era in primo piano» – si muovono «sul piano umano della storia della moralità e del costume».  (71)  Nella sua opera Atticus de numeris «l’aritmologia varroniana si dimostra nettamente orientata secondo la concezione pitagorica nella quale emergono come elementi fondamentali l’ebdomade e la decade». (72)   Questa costituisce le fondamenta della sua riflessione dal punto di vista teologico ma anche etico e politico.  Nel suo De Philosophia «procedeva ad una analisi o inventario di tutti i possibili fini logici dell’etica, indi con un procedimento di riduzione, dalla somma di 288, si scendeva all’individuazione di dodici, poi sei ed infine tre fini fondamentali».   (73)  In tale concezione emerge un «dualismo fra virtù ed istinti naturali (prima naturae), fra anima e corpo, superato nella concezione della superiorità della virtù come regolatrice essa stessa dell’uso dei prima naturae», ciò  evidenzia il ruolo della sfera etica che  veniva così a rispecchiare la concezione della società e del mondo, nella quale il vincolo si estende dalla cerchia familiare a quella della civitas, e infine di tutta l’umana società ed al mondo «che come una divina dimora, in sé comprende gli uomini e gli dèi che sono amici dei filosofi, come i filosofi amici degli dei».  (74) 
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  • L’intersecarsi di escatologia ed etica in Varrone avviene sotto il segno di noti concetti pitagorici come quello dell’immortalità ed eternità dell’anima e della metempsicosi.  (75)   Quindi, pur distanziandosi nel metodo dal renovatoret Nigidio Figulo, Varrone aderisce a quella «teodicea neopitagorica» (76)  caratterizzata dalla palingenesi apollineo-stoica e le profezie sibilline.   (77)  Testimonianza di ciò è la volontà di Varrone Reatino di calcolare il ciclo di rigenerazione e ricongiungimento dell’anima col corpo.   (78)  L’aspirazione apocatastatica e la speranza dell’età aurea investe i dotti neopitagorici i quali, celandoli con complessissimi schemi dottrinali, bramano un radicale miglioramento umano – a cui assoggettano le scienze astrologico-divinatorie. Questo affinché la società si pacifichi e ritrovi una dimensione valoriale. Desiderano, pur inquieti e turbati dal continuo decadimento morale dell’umanità, ritrovare quell’essenza antropologica profonda e autentica che concili simbioticamente l’umano al divino. Un simile moto ascensionale, dalla marcescenza dell’anima al suo compiuto rinnovamento, è rinvenibile nella basilica detta “neopitagorica” di Porta maggiore. Risalente al I sec. d.C., i simboli della struttura richiamano il pantheon ellenico e sembrano voler rappresentare un percorso iniziatico dell’anima che da una dimensione infera e sotterranea di impronta dionisiaca arriva a risplendere nella dimensione apollinea. Scrive Domizia Lanzetta.  (79)  «Non si può fare a meno di notare che nella Basilica, in tutto il percorso della navata, si ha una preponderanza di scene rituali a carattere dionisiaco mentre, alla fine dell'itinerario, vale a dire nel momento conclusivo del percorso stesso, viene solennizzato l'elemento apollineo». (80)
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  • Le istanze neopitagoriche, per quanto temporalmente lontane, ci pongono davanti ad una realtà che vede una vera e propria entrata dell’uomo nella natura, vissuta in un’intimità così netta che persino i conflitti socio-politici venivano visti come ad essa collegati.   Da ciò possiamo trarne quindi un auspicio: poter tornare a questo originario senso di preoccupazione e attenzione verso gli equilibri sociali.

  • Note:
  • 1) Vimercati, Introduzione, in Posidonio,Testimonianze e frammenti, E. Vimercati (a cura di), Bompiani, Milano 2004, pp. 2-3.
  • 2) Ferrero, Storia del pitagorismo nel mondo romano, Victrix, Forlì 2008, p. 252.
  • 3) Ci accorgeremo più avanti delle numerose sfaccettature provenienti da tradizioni distinte: la religione etrusca, il pitagorismo antico, il già citato stoicismo posidoniano e anche gli oracoli sibillini commisti a profezie di matrice giudaica.
  • 4) «Leonardo Ferrero entra nella storia della storiografia filosofica per aver pubblicato nel 1955 la Storia del pitagorismo nel mondo romano. […] Nato nel 1915 a Cuneo, Ferrero […] dal novembre del 1958 sarebbe diventato professore straordinario di letteratura latina al Magistero dell’Aquila, di lì sarebbe passato alla fine del 1960 alla Facoltà di Lettere dell'Università di Trieste, di cui fu preside per breve periodo, dal 1963 alla fine del 1965: morì infatti improvvisamente il 31 dicembre di quell’anno». (P. Donini, Leonardo Ferrero storico del pitagorismo romano, in “Rivista di Storia della Filosofia” , vol. 66, Franco Angeli, Milano 1984, p.711).
  • 5) L. Ferrero, op. cit., Victrix, Forlì 2008, pp.227-228.
  • 6) Ibidem.
  • 7) Ibidem.
  • 8) Alberto Gianola è stato dottore in lettere e insegnante di storia e letteratura all’università di Szeged in Ungheria fino al 1933 (Cfr., J.Pàl, Un’università nella tormenta. L’Università di Szeged e il suo Istituto di Italianistica (1872-1957), in “Annali di Storia delle università italiane”, vol. II, Il Mulino Bologna 2022, pp.151-152).
  • 9) A. Gianola, La fortuna di Pitagora presso i RomaniDalle origini fino al tempo di Augusto, Francesco Battiato editore, Catania 1921, pp. 45-46.
  • 10) Carlo Pascal, La resurrezione della carne nel mondo pagano, in Fatti e leggende di Roma antica, Successori Le monnier, Firenze 1903, p. 190.
  • 11)  Cfr., A. Gianola, op.cit., pp. 45-46.
  • 12) Cfr., A. Gianola, op.cit., pp. 47-48.
  • 13) Il legame tra Apollo e i culti sibillini è un tema ampio e variegato, ci limiteremo a segnalare uno studio sull’argomento: M. Monaca, La Sibilla a Roma. I libri sibillini tra religione e politica, Edizioni Lionello Giordano, Cosenza 2005.
  • 14) Carlo Pascal fu professore dal 1901 di letteratura latina all’Università di Catania fino al 1909. Divenne poi ordinario di letteratura latina all’università di Pavia sino al 1926. Qui diresse una scuola di filologia classica da lui stesso voluta (cfr., Enciclopedia online Treccani, Carlo Pascal, in Dizionario Biografico degli italiani, URL: https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-pascal_%28Dizionario-Biografico%29/).
  • 15) Cfr., C. Pascal, Le aspirazioni di rinnovamento umano negli scrittori di Roma antica, in Fatti e leggende di Roma antica, Successori Le monnier, Firenze, 1903, pp. 195-202.
  • 16) Le profezie sibilline nel mondo romano «circolavano in forma scritta sia greca che latina» (Virgilio, Bucoliche, in Opere di Publio Virgilio Marone, Carlo Carena (a cura di), UTET, Torino 1971, p. 98  nota 2). Vi era un collegio di quindici sacerdoti (i quindecemviri) che al tempo di Augusto avevano l’incarico di custodi dei libri sibillini (A. Ferrari, Dizionario di mitologia greca e latina, UTET, Torino 2015, p. 599). Questi "testi sacri" custoditi al tempo di Augusto nel tempio di Apollo Palatino, è stato sostenuto non contenessero oracoli ma prescrizioni rituali (Cfr., J. Champeaux, La religione dei romani, Società editrice il Mulino, Bologna 2002, p. 62).
  • 17) Carlo Pascal chiarisce che l’oracolo sibillino relativo all’età di Apollo è da intendersi come conflagrazione universale ma anche come rinnovamento morale e ristabilimento della giustizia nell’umanità (Cfr., Pascal, op. cit., p. 209-210).
  • 18) Virgilio, Buc., IV, 5, 10, pp. 98-101.
  • 19) Servio fu un grammatico latino – vissuto tra il 4 e il 5 d.C. – nonché famoso interprete di Virgilio. Scrisse un commento all’autore pervenutoci in diversi manoscritti; fra questi abbiamo: una Vita di Virgilio un commento all’Eneide, alle Bucoliche e alle Georgiche (Cfr. Enciclopedia online Treccani, voce “Servio”, URL: https://www.treccani.it/enciclopedia/servio/).
  • 20) Gli oracoli sibillini giudaici, M. Pincherle (a cura di), Libreria di cultura, Roma 1922, p. XXVIII.
  • 21) Pincherle, op. cit., p. XXIX. La divisione in dieci settimane viene mutuata da Servio dalla tradizione delle apocalissi giudaiche (Cfr., M. Pincherle, op. cit.,ibidem).
  • 22) Cfr., Virgilio, op.cit., nota 2. Inoltre Servio riferisce alla Sibilla il ciclo del «grande anno» il processo per cui al termine di tutte le epoche, gli eventi si ripeteranno tali e quali.  Tale concezione è presente anche nelle dottrine dei neopitagorici e dei genetliaci (Cfr., Virgilio, op. cit., ibidem).
  • 23) Tra il II e il I sec. a.C. si susseguono nel mondo romano numerosi conflitti sociali, politici e militari suscitati da cocenti questioni quali: l’allargamento della cittadinanza romana – e dei suoi benefici – alle popolazioni italiche, la distribuzione delle terre nemiche conquistate e il fondamentale «processo di trasformazione dello Stato romano in oligarchia senatoria» (Cfr., A. Momigliano, Manuale di storia romana, A. Mastrocinque (a cura di), UTET, Novara 2011, pp.86-128). L’orientamento oligarchico della Repubblica indebolirà lentamente il potere aristocatico-senatorio, favorendo il passaggio alla forma politica del principato dunque «alla franca accettazione di un potere politico sostenuto dall'esercito» (A. Momigliano, op.cit., p.114).
  • 24) L’accezione di renovatoret – sottolinea D’Anna – implica che Nigidio abbia portato nuovamente in auge una tradizione già presente prima, piuttosto che averne fondata una (Cfr., N. D’Anna, Publio Nigidio Figulo Un pitagorico a Roma nel I sec. a.C., Archè-Edizioni PiZeta, Milano 2008, p.25).
  • 25) Cfr., N. D’Anna, op.cit., pp. 13-17.
  • 26) Nuccio D’Anna fa parte dell’Associazione Simmetria, e della Società italiana degli Storici delle Religioni. È autore di molti saggi sul mondo classico. Collabora con prestigiose riviste di studi storico-religiosi italiane e internazionali.  (Il leone verde edizioni, Nuccio D’Anna, URL: www.leoneverde.it/autore/nuccio-danna/).
  • 27) Cfr., N. D’anna, op.cit., p.17.
  • 28) Il conflitto tra Cesare e Pompeo si sostanzia nel contrasto – da parte di quest’ultimo – delle mire politiche cesariane.  Pompeo si fece strenuo difensore degli interessi dell’ala conservatrice Senato (pur avendo in un primo momento appoggiato gli interessi cesariani). Cesare invece capeggiava la fazione dei populares, una classe politica che voleva rappresentare i ceti popolari della Roma del tempo, vi fecero parte illustri personaggi fra cui i tribuni della plebe Tiberio e Gaio Gracco (Cfr., A. Momigiano, op.cit., 125).
  • 29) Cfr., N. D’anna, op.cit., pp. 18-19.
  • 30) Cfr., N. D’anna, op.cit., p. 30.
  • 31) Bruno Gallotta (Milano, 1946), è laureato in Lettere classiche e diplomato in pianoforte. È stato docente di ruolo per la cattedra di Poesia per musica e Drammaturgia musicale (in precedenza Letteratura poetica e drammatica) presso il Conservatorio G. Verdi di Milano». (Edizioni Sinestesie, Bruno Gallotta, URL: https://www.edizionisinestesie.it/autori/bruno-gallotta/).
  • 32) Le ragioni addotte da D’Anna sull’inadeguatezza delle tesi di Gallotta, riguardano il senso dell’azione pubblica di Nigidio. Il renovaret più che un’azione politica tesa a sovvertire concretamente l’ordine sociale in senso reazionario si è solo limitato a osservare la decadenza della Roma repubblicana di cui era sostenitore. Ciò si può desumere per D’Anna dal significato politico di uno scritto a carattere divinatorio di Nigidio: il Calendario brontoscopico che intendeva solamente applicare al campo sociale e politico le conoscenze che gli derivavano dalla sua attività rituale e spirituale (Cfr. N. D’Anna, op. cit., pp. 149-154).    
  • 33) Ibidem.
  • 34) Cfr., L. Ferrero, op. cit., p. 241.
  • 35) Cicerone vede negli ottimati una ristretta cerchia di indirizzo spirituale, non come gruppo politico o ceto sociale, ai fini di ulteriori approfondimenti rimandiamo allo studio di Ettore Lepore: E. Lepore, L’ideale del «politico» e la soluzione ciceroniana: il «princeps» come nuovo ottimate, in Storia di Roma. L’impero mediterraneo, vol. 2, Giulio Einaudi Editore, Torino 1990, pp.864-872. 
  • 36) sopra nota 22.
  • 37) La questione della definizione del concetto di nobilitas richiede specificazioni esaustive che rimanderemo altrove. Vorremmo solo sottolineare che si distingueva dal patriziato poiché per accedervi bisognava solo scalare il vertice delle cariche pubbliche che erano elettive. Sebbene idealmente possa intendersi come un’élite tendenzialmente aperta, il parere di diversi studiosi ha evidenziato che le magistrature e gli organismi di potere erano in realtà sempre in mano alle stesse famiglie, patrizie o plebee che fossero. Quindi l’emersione di nuove personalità politiche avveniva di rado. Inoltre bisogna far presente l’ irrobustirsi – negli ultimi due secoli della repubblica (II e I sec. a.C.) – della distanza tra il popolo e l’aristocrazia (Cfr., F. Cassola, Lo scontro fra patrizi e plebei e la formazione della «nobilitas», in Storia di Roma. Roma in Italia, vol. 1, Giulio Einaudi Editore, 1988 Torino, pp.470-472).
  • 38) Cfr., L. Ferrero, op. cit., p. 264.
  • 39) Ferrero ci fa presente che Cicerone riflette a lungo nel De repubblica sulla figura dell’ottimate e sottolinea che la costruzione di un ideale dell’uomo politico conservatore fosse centrale nell’opera.   (Cfr., L.Ferrero, op.cit., p.24).
  • 40) Il regnum apollinis nella cosmologia nigidiana identifica una “palingenesi restauratrice”. Infatti, l’origine del cosmo nel regno – anch’esso aureo – di Saturno culmina nel tempo mitico di Apollo dove «si ha un "nuovo inizio", una "ripresa del tempo" affidata al dio che non solo preservava l'armonia e la perfezione cosmica, ma spesso veniva considerato come la stessa personificazione del sole, l'astro che custodisce e regola i ritmi celesti» (N. D’anna, op.cit., p. 45). Quindi da qui si ha «un "ritorno" ad una nuova età della perfezione cosmica ritmata dalla centralità del sole» (ibidem) .
  • 41) Cfr., N. D’anna, op.cit., p.61.
  • 42) Il De diis sappiamo fosse composto da venti libri. Considerata l’opera teologica di Nigidio espone le varie sfaccettature che concorrono a formare la sua prospettiva cosmologica e filosofico-religiosa. È visibile un sincretismo fra: l’aruspicina, l’elemento stoico del rinnovamento apollineo e la religione etrusca. La cosmologia espressa prevede un cielo anch’esso diviso in sedici spazi volti a circoscrivere l’ambito di azione e rituale di ogni divinità – come nel fegato di Piacenza (v. sopra p.6). I dii Consentes hanno ognuno una propria partizione cosmica (dodici divinità etrusche sei maschili e sei femminili dal ruolo poco chiaro. Successivamente corrisposte a quelle romane, formavano una specie di consiglio del destino al quale neanche Giove poteva opporsi, si veda A. Ferrari, op.cit., p.190 e G. Dumézil, La religione romana arcaica, BUR, Milano 2001, p. 555). La frammentazione del cosmo pare connessa alle altrettante sedici lettere dell’alfabeto latino. Questo legame sembra fondarsi sulla convinzione di Nigidio per cui la corretta pronuncia del nome di un dio ne favorisse maggiormente la teofania (Cfr., N. D’anna, op.cit., pp.111-117). La delimitazione del cosmo è funzionale all’intervento dell’aruspice che «non solo svelava il volere degli dèi, ma indicava l'ordine che la vita umana doveva assumere attorno ai ritmi della natura» (N. D’Anna, op.cit., p.111).
  • 43) Cfr. N. D’anna, op.cit., p.43.
  • 44) Ibid.
  • 45) D’anna, op.cit., p.47.
  • 46) D’anna, op.cit., p.46.
  • 47) Ibid.
  • 48)  Ibid.
  • 49) Posidonio si staccava dal razionalismo paneziano improntato a un marcato naturalismo e a una rinuncia agli elementi metafisici dello stoicismo (Cfr., L. Ferrero, op.cit., pp. 251-252).
  • 50) E.Vimercati, Commentarioin Posidonio, Testimonianze e frammenti, E. Vimercati (a cura di), Bompiani, Milano 2004, p. 553.
  • 51) Vimercati, op.cit., p. 555.
  • 52) Posidonio, Testimonianze e frammenti, E. Vimercati (a cura di), Bompiani, Milano 2004. fr. A98, pp. 91-92.
  • 53) Posidonio, op.cit. fr. A102, p. 93.
  • 54) Posidonio, op.cit. fr.A105, p. 97.
  • 55) Ibidem.
  • 56) D’anna, op.cit., p. 63.
  • 57) D’anna, op.cit., p. 112.
  • 58) Cfr., N. D’anna, ibidem.
  • 59) D’anna, op.cit., p. 113.
  • 60) D’anna, op.cit., p. 115.
  • 61) L.Ferrero, op.cit., p. 273.
  • 62) L.Ferrero, op.cit., p. 251.
  • 63) Cfr., L. Ferrero, op.cit., p. 291
  • 64) L.Ferrero, op.cit., p. 292.
  • 65) L.Ferrero, op.cit., p. 296.
  • 66) L.Ferrero, op.cit., p. 291.
  • 67) Ibidem.
  • 68) L.Ferrero, op.cit., p. 292.
  • 69) Cfr., L.Ferrero, ibidem.
  • 70) L.Ferrero,op.cit., p.297.
  • 71) Cfr., L.Ferrero, ibidem.
  • 72) L.Ferrero, op.cit., p.295.
  • 73) L. Ferrero, op.cit., p.298.
  • 74) Ibidem.
  • 75) Cfr., L.Ferrero, op.cit., p. 301.
  • 76) L.Ferrero, op.cit., p.303.
  • 77) Cfr., L. Ferrero, ibidem.
  • 78) Cfr., L.Ferrero, ibidem.
  • 79) «Domizia Lanzetta è mitologa, esperta nella tradizione pagana occidentale. Docente di religiosità greco romana presso l’Accademia Tiberina, presso l’Associazione Simmetria e in numerose altre associazioni» (v. Domizia Lanzetta, il Giardino dei Libri Anima Corpo Mente Spirito, URL: https://www.ilgiardinodeilibri.it/autori/_domizia-lanzetta.php).
  • 80) D. Lanzetta, Roma orfica e dionisiaca nella Baslica “pitagorica”di Porta Maggiore, Edizioni Simmetria, Roma 2011, p.109.