• In iang Giano bifr

  • Paideia negativa - III  
  • di  
  • Sandro Giovannini
  • La “paideia positiva”, quella che si pone correttamente sul piano della propria verità, coglie  totalitariamente ogni aspetto dell’umano comportamento, non potendo lasciare ad altro nessuno spiraglio di valore che possa essergli rivolto contro, come un’esiziale falla nello schieramento esistenziale. Corrispondono a questa logica sia i consapevoli che gli inconsapevoli dell’ordine di battaglia, che più di un gioco e più di una metafora, corrisponde alla postura vitale, dalla cellula, all’organismo più complesso. In più l’uomo con la sua frontalità, la sua visione binoculare ed il suo auto-focus, è indiscutibilmente un predatore. Così, tendere all’affermazione ed alla riproduzione, qualsiasi sia il rischio implicato nel processo, è più di una tensione continua, è la ragione prima ed ultima del venire a vita. Persino per coloro che guardano in faccia la verità senza schermi o velature - quindi senza illusioni di sorta, che provengano dall’esterno o dall’interno - si pongono ben poche alternative se non decisioni affermative indipendenti - in realtà - da giustificazioni etico-umanistiche   (…anche perché coloro che le utilizzano a iosa sono il più delle volte falsi e ipocriti), cosa che riporta al tema dominante (1)

  • Ora, con tale visione delle cose, che potrebbe apparire forzata nell’estrema semplificazione, mentre probabilmente si attiene ad una delle poche cose di cui abbiamo visibile esperienza, anche se di tale andamento conosciamo tutte le possibili variazioni del principio stesso, come ogni conato apparentemente anticonservativo, che però in realtà rimanda sempre complessivamente ad una logica riassicurativa e confermante, che senso avrebbe interrogarsi su una “paideia negativa”, ovvero su un uso contrario alla prima? In effetti nessuno è riuscito se non forse poeticamente (2) a librarsi su tale dilemma, e se lo ha fatto - nella propria visione del mondo - non è stato decisivo (al di là della postura esterna, della maschera, della persona, ineliminabili per la minima convivenza sociale) il riproporsi della millenaria interrogazione sulle domande primarie ma solo od un atteggiamento di rifiuto aprioristico di ogni verità, quello che potremmo chiamare anche scetticismo filosofico, se nobile, (3) ma coll’incapacitante impaccio del suo cascame individualistico e narcisistico (peraltro ormai di massa), od una deriva strumentale di piccole furbizie tattiche o (tra i più acculturati) di sedicente accettazione dei principi d’entropia, di relatività e d’indeterminazione, ovviamente strappati dal loro astratto empireo scientifico (e come tutti gli empirei ben poco riferibile) e snaturati efficacemente e baldanzosamente per la vulgata dominante.
  • Se entri a sodoma e gomorra ed intervisti petulantemente - come si usa ora - i primi passanti a caso, innanzitutto troverai la loro perfetta corrispondenza al modello dominante ma nello stesso tempo ci sarà di massima una benevola e scherzosa normalità di vita, che si opporrebbe ancor prima inconsciamente che volontariamente, ad un qualche cambio effettivo di scenario. La normalità (come conformità sociale) si può alla fine persino rovesciare ma non può rinnegarsi (in sé) una volta che i sistemi civili e ideologici e sociali si siano affermati e siano resistenti (e quindi nel durante), a pena d’orrore, ludibrio ed inconsistenza, sempre tendenzialmente estroflessi. Ora, tutti i centinaia di filmacci americani che parlano di situazioni degradate sempre post-catastrofiche (…la catastrofe è la cesura storico-traumatica necessaria e s’impone questa al posto di altre possibili… e guarda caso sempre più poste nel futuro e meno nel passato) - dai più grotteschi ai meno stupidi - sono nel senso del corrispondere al panico profondamente malcelato col morboso piacere in genere di sola rappresentazione (…ma dal virtuale si sta passando contagiosamente al reale) della dissoluzione e della morte. La violenza tremante e del tutto gratuita, nell’occasione e nella dinamica e nella ferocia dell’epidemico disseminato ed inaspettato potere ed il contestuale e salvifico emergere di uno o pochi che si oppongano, dimostra quanto questa modernità possa essere al livello d’auto-rappresentazione culturale degli intervistati di cui sopra, ad un quota cioè primaria, richiamata senza scampo alla sua base molecolare e virale.
  • Se poi, più o meno per caso od avventura, entri nello spazio di amici o di uomini e donne della De Filippi, puoi cogliere con splendido e persino ammirato stupore il continuum sadico dell’esposizione dell’umana debolezza e povertà di scopi e progetti. Lo spietato squadernamento coram populo svaria da arma pubblicitaria a conferma tautologica coram populi, ovvero del sé per il sé, ovvero del sempre più disponibile videri quam esse. Ma cosa rivelatoria non è la fenomenologia comportamentale con l’agevole rovesciamento di ogni riserbo e di ogni cortesia, tutta scontata, quanto l’occhio che guarda falsamente partecipe e falsamente rispettoso. Questo sadismo è del tipo senza vergogna, (4) ma non senz’intelletto, proprio perché il rovesciamento delle aspettative di comprensione e di affetto nel ludibrio compiacente di tale normalità postmoderna paradossalmente sentenzia il positivo carattere disvelatorio del tutto… E poi non conta quanto grassi o magri, vecchi o giovani, attardati o scatenati, del centro o della periferia, finti acidi o finti benevoli, si sia tutti noi, quanto il beccarsi precostituito divenuto spontaneo, il fidanzarsi a vita, fino agli ottanta, nella liquidità annegante del prendersi e lasciarsi… Non siamo mica nello stato etico, mica possiamo credere che una censura (prima di stile e di idee che di atti giuridici od esecutivi) possa corrispondere a prassi antieconomica! Perché essendoci il buon denaro al centro (l’iper-comunismo-consumistico del neo-capitalismo globalizzato), la distorsione fa virare i costumiE d’altronde un aspetto realmente magico del danaro (che si eleva poi a potenza nelle sue superfetazioni plastico-finanziarie) consiste non solo nella rappresentazione di beni e merci (ed attese e speranze e proiezioni) che ancora non esistono (e magari non esisteranno mai) ma soprattutto nella scelta fra un’idea intrinsecamente dispotica del processo sociale (pensiamo a quanto poi aumenti il controllo passando dal contante al virtuale!) ed una relativamente più libera. E sappiamo quante declinazioni possibili vi sarebbero dall’economia cerimoniale a quella realmente partecipativa. Ma sembra che persino un ipotetico uso parallelo o correttivo (magari anche parziale) sia giudicato follia… Persino esempi positivamente realizzati, sono oscurati scientificamente. Storicamente sappiamo bene chi (ad esempio) ha fatto in modo che il potlatch finisse al più presto… D’altra parte se una onorevole di questa repubblica ha ironizzato sulle precedenti patrie mazziniane virtuosità… ribadendo di considerarle fasciste… (5) l’osanna del ridursi alla vita dell’individuo di massa (con l’impossibilità aggiunta di un almeno parziale risarcimento in proiezione comunitaria e/o totalitaria) che s’illude possibile sempre più con il ridicolo disperato distinguo del sine nobilitate… snob… sed lutus intus erat, si vuole a tutti i costi automatico, qualsiasi sia la riprovazione ben consapevole di pochi o la più che legittima sorda resistenza che sembra, a volte, più comunemente opporsi.
  • Se entri tra i soloni della politica ti tocca assumere la veste del sempliciotto per non vestire quella del sadico. (Gli antipatici spocchiosi - il sadico in pectore… magari alla prova anche sciocchino - sono pochissimi a poterselo assumere… qualche rarissimo esponente che unisca al massimo il video alla poltrona accademica). Quasi tutti odiano che la verità sia sempre più complessa ed arzigogolata della fantasia più sfrenata, perché amerebbero che quelle che considerano “narrazioni” (le loro attivamente interpretate e quelle dei nemici passivamente sedotte) fossero sempre le più intriganti ed esaustive. Odiano quindi i complottisti, gente impresentabile, ma mai annettono alcunché ai servizi (mentalità allargata a tutto l’establishment), in tutto il mondo forti della loro “plausibile negabilità” di collaudata routine, dalla decina americana fino agli scalcinati del Burundi, che pure ben sappiamo il lavoro, loro, devono farlo tutti i giorni, in quanto ben pagati. Sono giornalisti, mica investigatori. Si sperticano però - come quelli del calcio - sulle interpretazioni disfunzionali (eco in sedicesimo) di ogni piega di sorriso e di ogni parola povera di sintassi e di novità, sempre spaventosamente uguale a se medesima. Odiano il discorso articolato che reputano istintivamente evanescente (…purtroppo spesso a ragione) ma ti costringono alla macchinetta (se non alla macchietta) ed al disco rotto, a pena di passare subito all’altro od ad altri… Esaltatori del semplicismo dicotomico da decenni sono però contrari alla pancia, aperturisti da secoli sono però ben fermi sulle cose sfatte (da loro) da conservare, gli altri docent… Pontefici di tutti i ponti si celano dietro le loro alte, nobili mura di difesa, di verbo, di classe e di casta. Se, tornando al primo scenario, gli proponessi un’intervista disvelatoria a sodoma e gomorra ti guarderebbero come un provocatore perché il sodomita ed il gomorrista (proprio come loro) pontificano su tutto, su sistemi storici, su ideologie, su strutture sociali, dall’alto della loro infangata turris eburnea ed hanno la teodicea in tasca, essendo leibniziani (…ovviamente senza saperlo) (6)
  • Ora queste sono tutte celie e scherzi della natura, che fa e disfa in continuazione, ed anche l’ominazione - portata a questi livelli di pesanteur - (7) ormai è natura e forse i filmacci americani sono già o saranno presto il nostro futuro. Molti, se potessero, si posizionerebbero a quell’utopico livello intermedio dove certi afrori dell’antico non ci sono più sopportabili e meno che meno almeno razionalmente riproponibili e certe già enfatizzate globalizzazioni in usum serenissimi Delphini siano ancora rimodellabili in un mondo sperabilmente più multipolare. Ma molti credono - forse a ragione - che questa partita quasi impossibile ce la siamo persa definitivamente, almeno per il mondo bianco, negli ultimi decenni del Novecento. Residua la speranza, quella sì basata su dati di fatto, della lotta di tutti contro tutti, tutti gli ex sconfitti e gli ex vincitori dell’ultima epoca, che possa riequilibrare, per la magia insita nell’orgoglio inestirpabile e nella natura profonda dell’essere vitale, nuovi territori più o meno stabilizzati dall’inquieto destino del terrore reciproco.    Certo… ma qualcuno a questo punto potrebbe alzare il ciglio ed obiettare che qui non vi è orma di speranza oltreché ombra di spirito. Ma l’orma e l’ombra appartengono a due campi collegati ma distinti. Collegati perché non conosciamo alcuna attesa che non abbia la necessità di una lucida e concreta visione (incancellabile) del peso delle cose (l’orma), né alcuna esperienza iper o extra sensoriale che non abbia una ragione nel nostro qui ed ora (ineliminabile) e non porti con sé tutto l’essere via via più sottilmente definito (l’ombra), sino all’indefinibile, che può dimostrarsi anche del tutto estroverso da noi, intesi come materialità pura e corpo esteso. Ad esempio, quando Hillman descrive come comprese perché nelle lezioni di Izutzu ad Eranos nulla parlasse esplicitamente di psicologia, ma parlasse sempre di altro. (8) Fenomenologia distinta nell’apparente dicotomia, come la ragione del pensiero ed il luogo del pensiero, proposta nel dialogo platonico dove Socrate inizia il suo percorso sulla bellezza partendo dall’amenità di quel paesaggio che fa da cornice iniziale al dialogo. (9) Il paesaggio esterno, il luogo, in realtà profonda si lega all’immaginale (alla Corbin), una dimensione che non è né spirito né materia e che quindi non dipende unicamente dal dove ma che risente potentemente del come, rispondendo all’interno di noi, inconsciamente e consciamente, dalle rêveries sino alle proiezioni, dai sogni all’intuizione astraente, nutriti al meglio dall’immagine. (10)
  • Con questa visione noi procediamo verso una nuova discussione della paideia necessaria. Ci sovviene a tal punto della nostra riflessione la memoria del lavorio interiore di un Noica quando accettava la sua posizione epocale eppure la sfidava senza sconti né ideologici né etici. Perché tale risposta ideologica ed etica è nell’orgoglio dell’essere vitale che ambisca al suo spazio legittimo ed incomprimibile, e non in quella del virtuoso che speri o che preghi. Posto il rispetto necessario per chi spera e/o prega, non è questa la colonna anacoretica da cui trarre luce ed insegnamento attivo. Con la stessa lucidità con cui un Rutilio passava accanto a quelli che giudicava dei disertori, ma con ben minore iattanza non avendo noi dietro le spalle se non una meravigliosa visione ancora attiva ma indubbiamente postuma di una civiltà sempre discutibile ma insuperabile. E non v’è nessun superomismo deteriore nell’essere ciò che si è, se si può ambire a tanto, sostanzialmente tra infiniti compromessi incombenti. Non c’è bisogno né di facce feroci né di sguaiatezza, né di me ne frego, anche e soprattutto se c’è già chi li coltiva ampiamente e forse legittimamente ed efficacemente. La paideia negativa allora si rivolge ad una ben ristretta schiera di pensanti attivi, per aumentare le difese dell’organismo (d’altronde repertate scientificamente da pochi decenni e sappiamo bene a causa di quale pandemia), e così procedere con mano destra e sinistra per l’immemoriale e l’origine, che sono il sempre possibile. La sorgente simbolica, al centro per noi necessario di tante altre, la fonte originaria come simbolo e logos d’infiniti suggeriti insegnamenti tutti utili, ma gerarchizzabili solo avendo una mappa interiore robusta ed essenziale, senza spostare mai il centro di gravità della vita fuori, nell’“al di là”, nella vanità discutibile e forse disprezzabile di avere “…il diritto di immaginare che per essi le leggi della natura si infrangano senza posa, una gradazione tale di tutti gli egoismi fino all’infinito”. (F.N.) Non scambiare la potente verità della postura vitale che cresce con l’autocoscienza con il piccolo necessario egoismo della particella originaria, che è quello che essa fa di sé senza pensare di sé, perché noi siamo anche cultura oltreché natura e tale consapevolezza dell’espandibile limite è intrinseca all’orgoglio nello stesso momento in cui può non scadere nell’esser “degna di pietà” (F.N.), cioè nel prendersi troppo sul serio come meccanismo di azione-reazione. Anche perché, come abbiamo detto altrimenti, la chiusura antinomica non è fruttifera di doni spirituali e saper cogliere la dialettica metafisica di vacuità e destino può avvenire solo mettendo sotto controllo l’inganno illusionistico, nello stesso momento in cui si sa che si parte dalla superficie, dal recto e non dal verso, (…dal prevedibile, dallo scontato). (11) Ma, appunto, la paideia negativa toglie il terreno sotto ai piedi all’illusione meccanicistica - in se ineliminabile, non per nulla maya in divinis - mentre valorizza l’orgoglio dell’azione comunque si sia piccoli e deboli. Eroica è l’azione di chi non si illude di nulla. E’ per questo che tante vie dell’occidente e dell’oriente si sono rese visibili nel momento di cessioni progressive di sovranità spirituale nel proprio e più o meno accessibili anche se con modalità spesso contorte ed a volte persino risibili. Il “tu devi” non può essere mai contro di noi, se non sia un “tu puoi” che ci corregga - per esperienza - ben oltre ogni ottimismo evoluzionistico ed ogni evoluzionismo dialettico. Ci possiamo tranquillamente determinare, in forza della nostra passione di verità, liberandoci di tutti gli attributi illusori, di tutta l’ingannevole largeur del cuore senza per questo forzatamente divenire cinici, conoscendo per esperienza certa, oltre la facoltà del pensare, quella del sentire complesso, che media gli infiniti esistiti e forse sempre più espandibili sensi, irrelati alla materialità/immaterialità creatrice, da sempre. Ma la “paideia negativa” non agisce solo nel foro interiore. Media tra i pochi non rassegnati una koinè come vacuità e destino, cioè come visione esatta della nostra fungibilità ed altrettanto precisa della nostra irripetibilità, due dimensioni, anch’esse, apparentemente antinomiche. Anche perché non sappiamo e non sapremo mai, di quell’infinità di semi dispersi nella depénse - (dove la catastrofe del mito utilitario sempre messa sotto gli occhi di tutti, macroscopica verità segreta esposta in evidenza, mito utilitario nella sua versione temporale o post-temporale, materialistica od idealistica, sempre spacciato efficacemente per le masse contro evidenza e spesso sedato od oppiato dall’affidamento religioso) ritrova su un ben diverso e più elevato piano la sua vera ragione di porsi e riporsi drammaticamente e continuamente nella storia - quale attecchirà, quale darà frutto. (Finché non lo avrà perfezionato). Le due dimensioni, quindi, apparentemente contrarie, si corrispondono perché non s’elidono ma moltiplicano - solo per noi umani - il duro volano della consapevolezza con una spinta parametrata a difficoltà quasi insuperabili e potenzialità sempre abbordabili. “…I cancelli furono dapprima il termine del mondo… e dietro ogni cosa appariva alcunché di infinito…” (12)

  • Note:
  • (*) La paideia negativa - III - come parte di una nuova paideia necessaria, è il terzo progressivo intervento sul tema. I due precedenti sono: Una diversa versione di cattivi maestri eDiscentrare il disordine, usciti su vari siti ed ora su “Rivista online Heliopolis” (www.heliopolisedizioni.com). Qui non si tratta più però di dare indicazioni puntuali, apparentemente illuminanti o risolutive, quanto d’iniziare un processo d’ulteriore approfondimento di dinamiche di pensiero antidicotomiche che non perdano però alcunché della propria forza potenzialmente dirompente. In tal senso sono prima di tutto suggestioni che vorrebbero dialogare con chi più capisce e pur rimane profondamente attivo nel suo antagonismo radicale al sistema di valori dominanti, e quindi aperte ad ogni possibile superiore centratura, nella certezza di un processo non ulteriormente evitabile.
  • 1) F.N.:“La verità è brutta: abbiamo l’arte per non perire a causa della verità”. F.P.,16 (40), 1888.
  • 2) Arnfrid Astel, da: “Giovani poeti tedeschi”, Einaudi, 1969: “Sguardo retrospettivo: Ho avuto cattivi maestri. E’ stata una buona scuola”.
  • 3) Jacob Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, 1905, Mondadori, Oscar Classici,1995. “Il mondo è inondato di falso scetticismo. Quanto allo scetticismo vero, non ce ne sarà mai abbastanza”.
  • 4) ELOGICON:Sadici
  • 5) Monica Cirinnà: “DIO PATRIA FAMIGLIA… CHE VITA DE MERDA!!!”, 8 Marzo 2019.
  • 6) G. W. Leibniz, Scritti filosofici, UTET, Torino, 1967, vol. I, pag. 279: “…Dalla perfezione suprema di Dio deriva che, creando l’Universo, ha scelto il miglior piano possibile, nel quale la più grande varietà (possibile) è congiunta con il massimo ordine (possibile). … E ciò perché, nell’intelletto divino, in proporzione alle loro perfezioni, tutti i possibili aspirano all’esistenza; il risultato di tutte queste pretese deve essere il mondo attuale, il più perfetto possibile. Senza di ciò non sarebbe possibile rendere ragione perché le cose siano accadute così e non altrimenti…”
  • 7) Il paradigma pesanteur, che ritorna in molti miei scritti, è tratto anche da alcune suggestioni su di me operate dalla lettura de “La pesanteur et la grâce”” di Simone Weil. Vorrei sottolineare che… “Tutti i movimenti naturali dell'anima sono controllati da leggi analoghe a quelle della gravità fisica. La grazia è l'unica eccezione”. E, se al posto della grazia mettiamo il destino, la volontà, qualche indecidibile favore che ci venga comunque dall’alto, ci dobbiamo porre il richiamo sull’invariabile resistenza nel lavoro su di sé e sulle rinvenibili diversità di reazioni, rammemorazioni, evocazioni, proiezioni, utili a contrastarla… ma - così come nel foro interiore così nell’illimitata vicenda umana - se la pesanteur collima necessariamente con la forza e questa forza è quella che illumina con la sua luce livida ogni atto della storia umana (…“L’Iiade, il poema della forza”, o “Sull’Iliade” di Rachel Besspaloff, personale vicenda parallela a quella della Weil…), allora ancor più tra vacuità/ nulla/ maya/ pesanteur/ forza/ grandezza/ destino/ grazia (e/o fortuna), felicità da appagamento, bellezza (dello stile) che salva - anche nella sconfitta - (Ettore… Venezia salva) si conferma e s’accentra tutta la suprema illusione e la suprema realtà (…di decisione, di volontà, di nobiltà nella sconfitta, d’azzardo nella vittoria, di accettazione non passiva del Fato, di scelta di felicità) del vivere nostro. Come potrebbe parafrasare C. Campo: “Si direbbe che la grazia sia la materia prima della Grazia e indubbiamente i santi avventurieri, i lucenti eroi di fiaba che con lieve cuore, con lievi mani gettarono la vita nell’Immutabile erano tagliati di quella stoffa”.
  • 8) James Hillman, Il piacere di Pensare, Rizzoli, 2001: “…ed ho sempre cercato di capire come mi fosse possibile attingere tanta psicologia da lezioni sulla filosofia, sulla logica, sul pensiero dell’Estremo Oriente e la sua storia… Soltanto quando sono andato in Giappone, in uno dei miei viaggi, mentre passeggiavo in un giardino mi sono reso conto che la psiche non è semplicemente quella cosa che chiamiamo così in psicologia, quella cosa che risiede dentro la nostra testa, o la nostra storia, o i nostri sentimenti. Ma che la psiche è tutta attorno a noi… (…) Jung ha detto più volte che la psiche non è dentro di noi: siamo noi dentro la psiche. Nei giardini di Kyoto questa affermazione diventa reale in modo palpabile. E’ come essere in un tempio greco, dove ti senti circondato da un campo psichico; oppure nella tomba di Re, vicino a Luxor, dove, mentre camminiamo fra le immagini sotterranee dipinte, siamo nella psiche stessa; o anche in una moschea di Isphahan, dove lo splendore dell’anima è manifestato dalle piastrelle e si è circondati completamente dalla presenza dell’anima. In questi spazi il rapporto tra il corpo e psiche si rovescia completamente - non più l’anima nel corpo ma il corpo che passeggia in quel giardino che è l’anima…”
  • 9) Platone, Fedro, traduzione di Giovanni Reale, Rusconi, 1993, 230, B 1-5, C 1-5: “S.:Per Era!, Bel luogo per fermarci! Questo platano è molto frondoso e alto, l’agnocasto è alto e la sua ombra bellissima, e, nel pieno della fioritura, com’è, rende il luogo profumatissimo. E poi scorre sotto il platano una fonte graziosissima, con acqua molto fresca, come si può sentire col piede: dalle immagini e dalle statue poi sembra che sia un luogo sacro ad alcune Ninfe ed ad Archeloo. E se vuoi altro ancora, senti com’è gradevole e molto dolce il venticello del luogo. Un dolce mormorio estivo risponde al coro delle cicale. Ma la cosa più piacevole di tutte è quest’erba che, disposta in dolce declivio, sembra cresciuta per uno che si distenda sopra, in modo da appoggiare perfettamente la testa. Dunque hai fatto da guida ad un forestiero in modo eccellente, o caro Fedro”.
  • 10) S.G., “Dall’immagine”, in: “…come vacuità e destino”, NovAntico Editrice, 2013.
  • 11) S.G., “Lo scontro d’inciviltà”, II - “Maya in divinis”, (Rivista online Heliopolis, su: Heliopolis Edizioni www.heliopolisedizioni.com): “…C’è bisogno - per l’uomo - di una forma dell’essenza (vuoto)... e quindi di una manifestazione del vuoto (shȗnyamȗrti).  Allora è necessitata questa lettura superficiale, anche a partire dalla superficie, mai riducibile al rango d’inutile apparenza e quindi impenetrabile all’intelligenza, ma anzi sovrabbondante di un’esperienza insostituibile, che viene fornita necessariamente (ma pur non sufficientemente) dallo stesso concreto svolgersi storico.  E, d’altra parte l’Essere non appare, via per via, se non in destino, qui; non è l’altro, proprio il totalmente differenziato, anche se dell’altro, del vuoto, del ni-ente, come tra materia ed antimateria, condivide la connessione pleromatica.  In tale linea di comprensione, per noi, l’intellezione accompagnata da veracità tra parole ed atti, dovrebbe però superare di gran lunga ogni intellettualismo ed ogni fideismo, fini a se stessi e che per giunta ci abbandonano alla vera sola superficie delle cose e portarci a considerare come possibile una vita meno auto condizionata, con un orizzonte che si apra nelle vie...  Ma se acquisissimo questa postura unificante, questo doppio volto di Giano, allora saremmo anche in grado di considerare credibilmente l’agire senz’agire, fuori da ogni suggestione esotista, che altrimenti rischia di essere, per noi, solo un dover essere, sempre limitatamente praticabile, ma privo di esiti esterni. Perché poi andare alla struttura della forma, partendo dalle cose, immagini, visioni, non significa necessariamente ricreare (magari solo amplificandola oltre il prevedibile), in una sorta di parodia ritardata ed ultrapostuma del verosimile aristotelico (per giunta inconsapevolmente), la fantasmagoria d’illusionistici giochi per adulti, come in molta arte e pensiero contemporanei, perché anche un rozzo graffito di croce o labirinto può ben essere vuoto di effetti ma carico di qualità simbolica, che nelle altre si riduce (nel migliore dei casi) ad una cartografia citazionista...   Così nel proprio recto (nella propria forma), che agisce come unico punto stabile, si ha come base il fulcro della leva di comprensione, non quindi priva di realtà, in relativo, ma solo in assoluto.  E vale per diversi campi.  Ad esempio, nell’universo dogmatico/confessionale, due tra i principali strumenti per aprirsi dei varchi effettivi (la gnosi e la liturgia) sono i medesimi che determinano, ovviamente con diversa designazione, le chiusure e le antinomie, perché sovente, come dicono i maestri, contraddizioni estrinseche velano compatibilità intrinseche.  E questo forse ci può far intuire come la chiusura antinomica, di cui dicevamo sopra, non sia affatto fruttifera.  E d’altronde è risultato difficile anche per una grande civiltà come quella greca, pur capace di metter in campo uno strumento così potente come quello dialettico, capace di superare il baratro del “contro legge”, distinguere sapientemente tra illimitato e caotico, come se tutto ciò che rifluisse al di là di un preciso canone di supposta perfezione, (tutto genialmente autocostruito, seppur sotto influssi potenti dall’area minoica, egiziana, trace) fosse per condizione necessitata un rischio inaffrontabile ed insuperabile, al modo del pròblema colliano...  Perché impedire o rendere difficile od ostracizzare, (che si mostri la possibilità... che esista) l’essere assieme assoluto e relativo, (destino e vuototutto e nulla) come contrattamente poi rivela il credo niceno, come se il logos manifestato non potesse possedere nella propria persona, oltre la pur rivelatoria e giustificante ipostasi trinitaria, un’assolutezza organicamente priva di determinazioni, così in alto come in basso, così nel macrocosmo come nel microcosmo, inibisce la ricerca e tiene, almeno fino al riaffiorare carsico - un tempo e sempre - della mistica (dalla gnosi), tutti dietro la linea, il segno. E non possiamo poi far finta che esistano solo ostracismi materiali.. (od ideologici)... esistono (sono ben esistiti) anche quelli teologici, che hanno formato di sé interi secoli e che scemano solo al procedere, (non necessariamente e corrispettivamente omogeneo, in spazi e tempi) del relativismo estrinsecamente applicato a fedi e costumi originari...”
  • 12) Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, 2014. Ad esergo di “In medio coeli”, citazione da Thomas Traherne…